L’Alta Corte di Londra ha rinviato la decisione sul destino di Charlie Gard, il piccolo di 11 mesi affetto dalla sindrome da deplezione del Dna mitocondriale malattia considerata incurabile. “Esaminerò il caso giovedì di questa settimana e potrei essere in grado di risolverlo. Oppure no”, ha stabilito Nicholas Francis, il giudice sotto il quale si sta svolgendo l’udienza di oggi e lo stesso che finora ha seguito il caso. Al termine dell’udienza il magistrato ha affermato che i genitori potranno esporre le “nuove informazioni” che dicono di avere sulla cura sperimentale per il bimbo.
Durante la seduta i genitori Chris Gard e Connie Yates hanno chiesto di poter sottoporre il bimbo a terapie sperimentali all’estero. E il legale della famiglia aveva anche chiesto più tempo, e cioè che l’udienza decisiva si tenesse tra il 25 e il 27 luglio, dal momento che alcune nuove evidenze scientifiche sul trattamento sperimentale a cui i genitori vorrebbero sottoporlo non saranno disponibili prima del 21. “Non c’è alcuna persona vivente che non vorrebbe salvare Charlie”, ha detto il giudice nel corso di quella che è diventata un’udienza drammatica, in cui il legale dei genitori è arrivato anche a chiedere se non debba essere un altro giudice a esaminare queste nuove evidenze, visto che la Corte così composta aveva già rigettato il caso. Osservazione alla quale Francis ha replicato: “Io ho sempre fatto il mio lavoro e continuerò a farlo”, aggiungendo che a suo avviso “sarebbe sbagliato cambiare giudice”.
Quanto al rinvio richiesto dai genitori, il giudice si è detto “molto preoccupato” considerate le condizioni del bambino descritte dal Great Ormond Street Hospital, struttura che lo ha in cura. Dal canto loro anche i legali della struttura ospedaliera osservano che nulla di davvero nuovo è stato portato all’attenzione del giudice, perché – precisano – tutte le presunte nuove ricerche sono studi di laboratorio e non sui pazienti. E i dati non sarebbero relativi a condizioni con danno cerebrale, ma solo muscolare. Durante l’udienza anche l’intervento disperato della mamma di Charlie, Connie Yates che ha urlato al giudice: “Ti stanno mentendo”, riferendosi ai rappresentanti dell’ospedale.
Dopo l’iniziativa del Great Ormond Street Hospital di presentare una nuova istanza ai magistrati alla luce delle offerte internazionali, anche quella del Bambin Gesù di Roma, di trattamenti ancora in fase sperimentale, i genitori del piccolo avevano lanciato un nuovo appello a provarle tutte per salvarlo e hanno presentato una petizione all’ospedale londinese dove è ricoverato perché gli sia consentito di curarsinegli Stati Uniti. Dove si pensa ad un certificato di residenza per tutta la famiglia che possa facilitare la procedura.
Connie Yates e Chris Gard sono stati sempre accanto al figlio che è tenuto in vita artificialmente. La coppia ha continuato ad affermare nei giorni scorsi che “se c’è anche un 10 per cento di possibilità che una cura funzioni bisogna tentare. Non abbiamo niente da perdere, ha diritto a quest’ultima chance”. Quindi, hanno ringraziato l’ospedale per il “lavoro straordinario” fatto finora, ribadendo però che avrebbe dovuto tentare qualcos’altro “da molto tempo”.
Le speranze della famiglia Gard si sono riaccese alcuni giorni fa, proprio quando i medici sembravano sul punto di staccare la spina alle macchine respiratorie – contro la volontà dei genitori – ritenendo che il bimbo non sarebbe potuto migliorare. L’ospedale vaticano Bambin Gesù ha scritto al Great Ormond Hospital spiegando di aver lavorato con un team internazionale ad un protocollo sperimentale che potrebbe funzionare. I medici inglesi se ne sono convinti e si sono rivolti all’Alta Corte. Il nuovo interlocutorio pronunciamento dei giudici è arrivato dopo una lunghissima battaglia legale combattuta dai due genitori fino alla Corte europea dei diritti umani. Negli Stati Uniti, intanto, è praticamente tutto pronto. Lo stesso presidente Donald Trump si è speso perché Charlie venga accolto. E due deputati – Brad Wenstrup e Trent Franks, entrambi repubblicani – presenteranno una proposta di legge al Congresso perché al piccolo e alla sua famiglia venga data la residenza statunitense.