Un flusso invertito, che dalla Campania e dal Lazio portava in Piemonte e Lombardia i rifiuti da tombare o bruciare illecitamente. Con procedure legali sulla carta, ma in realtà fuori da ogni regola, con il solo obiettivo di ridurre al minimo i costi e moltiplicare i guadagni per tutte le ditte che partecipavano al malaffare. A portare alla luce quella che appare una vera e propria filiera, consolidata da prassi che vanno avanti da tempo, è un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Brescia con i carabinieri del Noe di Milano, che ha portato due persone agli arresti domiciliari con l’accusa di traffico illecito di rifiuti e vede indagate a vario titolo 26 persone, anche per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti. Nel registro degli indagati ci sono i nomi di dipendenti di colossi come Herambiente (gruppo Hera) e A2A Ambiente e della Aral, di proprietà dei Comuni della provincia di Alessandria. La custodia cautelare è scattata per l’imprenditore lombardo dei rifiuti Paolo Bonacina e per il responsabile tecnico di un impianto di Aral, Giuseppe Esposito. Tra gli indagati anche alcuni amministratori come il sindaco di Vobarno (Brescia), Giuseppe Lancini. Un incendio alla sua Trailer spa a Rezzato nel 2014 fece partire le indagini: dalle prime analisi emerse che in quello stabilimento erano state stoccate illecitamente mille tonnellate di rifiuti solidi urbani provenienti da impianti campani a dispetto delle autorizzazioni. Partendo da quelle fiamme, i carabinieri del Noe che continuano a indagare sui diversi incendi avvenuti di recente in tutto il Nord Italia, hanno scoperto una filiera sporca ma ben oliata, dimostrando per la prima volta con prove di indagine l’inversione di rotta dei rifiuti: da Sud verso Nord.
Trattamenti solo sulla carta e senza autorizzazioni
A muovere le fila dei diversi flussi da Campania e Lazio era proprio Bonacina. Era lui ad avere rapporti commerciali con Herambiente, A2a Ambiente e Linea Ambiente e con Aral. Attraverso Bps e Crystal Ambiente svolgeva il ruolo di intermediazione tra i diversi soggetti, mentre con B&b e New Energy Fva si occupava dei trattamenti dei rifiuti, secondo i pm in realtà solo dichiarati sulla carta ma mai avvenuti. Bonacina non aveva né autorizzazioni necessarie né i macchinari: in realtà si limitava al classico “giro bolla” cambiando solo l’etichetta dei rifiuti. Lo stesso trucco veniva usato, secondo gli inquirenti, nei casi di trattamenti nello stabilimento di proprietà di Aral.
La fase successiva era lo smaltimento: con la complicità anche di tre ditte di trasporto, la monnezza finiva agli inceneritori sparsi in Lombardia, tra cui quello di Brescia gestito da A2a o in discariche in Piemonte. Tra queste, anche un sito ormai esaurito a Castelceriolo (Alessandria) di proprietà di Aral, che non poteva più ricevere rifiuti.
La rete di relazioni
In questa architettura erano fondamentali i rapporti personali intrattenuti da Bonacina con il personale degli impianti. “Gli illeciti smaltimenti sono stati effettuati grazie a conoscenze dirette dei responsabili tecnici che assicuravano agli indagati il ricevimento di materiale non conforme e tuttavia non contestato”, scrive il gip del tribunale di Brescia Alessandra Sabatucci. E’ lo stesso Bonacina a riconoscerlo: “Il rapporto con Marco per me è un rapporto principale e prioritario eh!”, esclama l’imprenditore al telefono con un consulente ambientale, riferendosi al responsabile commerciale per i grandi impianti di A2a Ambiente, Marco Piglia. Da parte sua, A2A Ambiente si dice “certa di aver sempre agito nel rispetto di tutte le disposizioni di legge e prescrizioni autorizzative”. Rapporti costanti e di “stretta collaborazione” anche con il responsabile dell’impianto Aral di Castelceriolo Giuseppe Esposito, che il gip definisce la longa manus del primo. Così come con lui collaboravano “dando concreta attuazione al progetto delinquenziale” anche Claudio Galli e Claudio Amadori, ad e procuratore speciale di Herambiente.
Money, money, money: inquinamento ambientale ed economico
L’obiettivo era semplicemente fare soldi, soldi e ancora soldi. Secondo gli inquirenti, la filiera sporca dei rifiuti avrebbe fruttato agli indagati un profitto di 10 milioni di euro. Con il risultato che, come spiegano i Noe, all’inquinamento ambientale causato dallo smaltimento illecito di rifiuti si aggiunge quello “dei circuiti economici legali, visto che le economizzazioni derivanti dal mancato trattamento dei rifiuti hanno consentito, in sede di gara d’appalto, di avanzare offerte con ribassi d’asta difficilmente sostenibili per le aziende sane”, messe così fuori mercato. Ma i danni finanziari riguardano anche le casse pubbliche, perché secondo gli inquirenti nelle mani sbagliate è finita anche “parte dei milioni di euro messi a disposizione dalla pubblica amministrazione per far fronte alle storiche emergenze rifiuti nel sud Italia”. I carabinieri anche per questo hanno sequestrato il capitale sociale delle società B&b, Bps e Crystal ambiente e 80 automezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti, per un valore stimato che supera i 6 milioni di euro.
Il ruolo delle aziende
Nelle carte dell’indagine spuntano anche nomi noti come Colari, la società romana legata a Manlio Cerroni, che appaltava il trattamento e smaltimento dei rifiuti e non risulta indagata. La sua posizione, al momento, risulta piuttosto quella di parte lesa nella vicenda. Devono ancora essere vagliate le posizioni di Linea Ambiente, Herambiente e A2a Ambiente come persone giuridiche. C’è una responsabilità anche delle aziende, oltre che dei singoli dipendenti già iscritti nel registro degli indagati? Possibile che nessuno ai piani alti sapesse dei trattamenti illeciti effettuati da Bonacina?