Ergastolo. Confermato. Dopo oltre quindici ore di camera di consiglio i giudici della corte d’Assise d’appello di Brescia ha emesso la sentenza nei confronti di Massimo Giuseppe Bossetti, unico imputato per l’omicidio aggravato dalla crudeltà di Yara Gambirasio, la 13enne ginnasta di Brembate di Sopra (Bergamo), trovata senza vita nel campo di Chignolo d’Isola tre mesi dopo la sua scomparsa avvenuta il 26 novembre del 2010. I magistrati hanno condannato il muratore di Mapello, sposato e padre di tre figli, all’ergastolo.
L’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore generale di Brescia Marco Martani, aveva chiesto la conferma del fine pena mai ripercorrendo punto per punto le accuse mosse già in primo all’imputato, che si è sempre dichiarato innocente. Secondo l’accusa il Dna trovato sui leggins e sugli slip della vittima è attribuibile a Bossetti. Ci sono poi, secondo l’accusa, gli accertamenti sulle telecamere di Brembate di Sopra che inquadrano il furgone del muratore in un orario “compatibile” con l’uscita di Yara dal centro sportivo. Il 26 novembre 2010, giorno della scomparsa di Yara, l’ultima telefonata del muratore di Mapello è delle 17.45, poi il telefono non riceve traffico fino alle 7.34. L’ultima cella che aggancia è quella di via Natta a Mapello, un segnale che certifica la presenza di Bossetti in zona. Da alcune intercettazioni successive emerge “che quella sera rientrò a casa più tardi del solito”. L’imputato aggancia la stessa cella della vittima “un’ora prima e in direzione diversa”. Ci sono poi fibre “compatibili” con la tappezzeria dei sedili del furgone e le sferette metalliche che riconducono a chi lavora “nel mondo dell’edilizia”. Infine il movente: l’uomo “attratto dalle ragazzine”, come confermerebbero secondo le ricerche a sfondo sessuale su Internet, potrebbe aver tentato un “approccio sessuale” poi sfociato nel delitto.
La difesa, sin dalle indagini preliminari, ha sostenuto la totale estraneità di Bossetti al delitto. L’imputato, che non ha saputo spiegare perché il suo Dna si trovava sugli indumenti della vittima, prima della camera di consiglio, durante le dichiarazioni spontanee, ha continuato a dichiararsi innocente. Ad eccezione del gip di Bergamo, a cui disse che soffriva di epistassi, il muratore non si è mai fatto interrogare.
Il caso della ginnasta, inghiottita nel nulla una sera di novembre e morta per le ferite inferte dal suo carnefice e per il freddo, aveva spinto la procura di Bergamo a portare avanti un’inchiesta senza precedenti, inedita per quantità e qualità di accertamenti svolti dagli investigatori di polizia e carabinieri con migliaia di test del Dna eseguiti per dare un volto a Ignoto 1, l’assassino di Yara. Che anche per i giudici d’appello appartiene a lui.