Nasce per riciclare la plastica, ma va in tilt quando si bloccano gli impianti per bruciarla. È questa la situazione in cui è impantanato il sistema che gira intorno al Consorzio Corepla: il suo obiettivo principale sarebbe dare seconda vita a bottiglie, flaconi e pellicole, ma oggi oltre il 40% di questi imballaggi ancora finisce negli inceneritori o in discarica. E ora che i forni, assediati dalla monnezza del Sud, hanno ridotto i ritiri della plastica, gli impianti che lavorano gli imballaggi sono pieni come un uovo e rischiano di non poter più ricevere i rifiuti dai cassonetti della differenziata. In aumento per la stagione estiva e perché la raccolta continua a crescere in tutta Italia. “O cerchiamo una soluzione urgente, o ci ritroveremo con la plastica per strada”, dice a ilfattoquotidiano.it il delegato Anci ai Rifiuti Ivan Stomeo, che insieme al presidente dell’associazione dei Comuni Antonio Decaro ha scritto una lettera al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti per lanciare l’allarme. Nel testo si descrive una situazione “di estrema criticità” che potrebbe comportare “la necessità addirittura di blocco della raccolta nei Comuni con gli evidenti e immaginabili impatti”. E che dunque, per essere risolta, scrivono Decaro e Stomeo, “richiede nell’immediato una misura d’urgenza”.
All’origine e al termine di questa storia ci sono i rifiuti bruciati. Tanti. Su circa 1 milione di tonnellate di plastica buttata dai cittadini, infatti, agli inceneritori vanno quasi 400mila tonnellate. I cittadini fanno la fatica di differenziare questi rifiuti e pagano per trattarli, ma inutilmente. Una quantità cresciuta tra il 2015 e il 2016 a un ritmo doppio rispetto alla raccolta differenziata (14% contro 7%) e in maniera esponenziale in confronto al riciclo della plastica, aumentato del 2%. Un sistema, spiega il presidente di Corepla Antonello Ciotti, “vittima del suo successo: funziona come un orologio svizzero, ma entra in crisi se qualcosa non va. Se quando gestivamo 200mila tonnellate di rifiuti risolvere delle falle era più semplice, ora che siamo riusciti a portare la raccolta a quasi 1 milione è più difficile”. Ma il punto è che il settore è sempre più dipendente dai forni: nel cda del consorzio siede anche il presidente di Herambiente Filippo Brandolini, che rappresenta le grandi multiutility proprietarie degli impianti di incenerimento. Se rallenta la combustione più che aprirsi una falla crolla un pilastro.
La lettera di Anci parte riferendosi alle “segnalazioni di congestionamento di alcuni impianti di trattamento della plastica”: “Inizialmente sembrava un puntuale e limitato problema di organizzazione logistica”, ma ha fatto “emergere un problema più strutturale”. Una situazione in cui i “disservizi delle multiutility che non stanno rispettando i contratti firmati con Corepla”, per usare le parole di Ciotti, si riverberano a cascata sugli stabilimenti fino a mettere in pericolo il servizio di raccolta.
Le difficoltà si registrano da nord a sud. “Siamo stati i primi a scrivere al consorzio segnalando questa situazione”, dice Marco Ravagnani, presidente dell’associazione di impianti Assosele. Un’altra associazione, Unirima, nella sua lettera parla di ritardi nei ritiri di oltre sette giorni “in diverse località del territorio nazionale, determinando gravi danni agli impianti, obbligati allo stoccaggio di notevoli quantitativi di materiale facilmente infiammabile in una stagione con temperature ben al di sopra delle medie”. Gli impianti arrancano in Lombardia e Veneto. “Siamo in zona rossa, pieni di rifiuti che Corepla non ritira. Se nei prossimi gironi la situazione non si sblocca saremo costretti a sospendere la raccolta nel nostro bacino, in cui vivono mezzo milione di persone”, spiega a ilfattoquotidiano.it il direttore generale della veronese Serit, Alessandro Dall’Ora. E in Toscana la situazione non è differente: diversi stabilimenti sono pieni zeppi di rifiuti stoccati. “Oggi questa problematica è comune un po’ in tutta Italia, ma confidiamo nel ruolo istituzionale di Corepla che si sta impegnando per risolverla”, aggiunge più diplomatico il presidente dello stabilimento Revet, in provincia di Pisa, Alessandro Canovai. E le cose vanno male anche in Piemonte, nonostante il direttore della piattaforma Demap e consigliere di amministrazione Corepla Michele Rizzello abbia cercato pubblicamente di sminuire.
Contattati da ilfattoquotidiano.it, dal ministero dell’Ambiente spiegano che Galletti nei prossimi giorni convocherà una riunione ad hoc con Anci e Corepla. “Siamo disponibili a lavorare insieme, il problema va risolto”, dice il delegato Stomeo. “Ho scritto alle Regioni Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna per spiegare la situazione di difficoltà e ho già parlato con le grandi multiutility proprietarie dei termovalorizzatori: da A2a e Hera abbiamo registrato delle aperture, la prima ci ha già indicato delle date, mentre Iren al momento rimane latitante”, aggiunge Ciotti. Il direttore di Fise Assoambiente, l’associazione che rappresenta le grandi aziende dei rifiuti, Elisabetta Perrotta, sostiene che servirebbero più inceneritori, “a fronte di una continua difficoltà degli operatori a sviluppare il necessario contesto impiantistico per preconcetti e luoghi comuni, oltre alle complessità autorizzative”. Per Ciotti, invece, “per risolvere il problema basterebbe che gli impianti di Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte esistenti destinassero alla plastica il 10% della loro capacità, dando la precedenza ai rifiuti plastici del loro territorio rispetto agli urbani provenienti da altre regioni”. È la proposta che Corepla farà al ministro, dimenticando però che nel risiko dei rifiuti a ballare, a quel punto, sarebbero le tonnellate di monnezza di Roma e Napoli. E per risolvere un problema se ne creerebbe un altro.
Se questa è la soluzione da attuare subito, Anci scrive che nel medio termine servirebbero politiche per ridurre i rifiuti e aumentare la riciclabilità degli imballaggi raccolti in modo differenziato ma che oggi hanno come unico sbocco l’inceneritore. “Più aumenta la raccolta, più crescono le plastiche eterogenee che oggi vanno a combustione. È fisiologico, ma siamo impegnati per ridurre questa quantità. Quest’anno investiamo 1 milione di euro in ricerca e sviluppo per assicurare nuova vita a imballaggi che oggi vanno ai termovalorizzatori, come bottiglie opache e vaschette”, assicura Ciotti. Dal primo gennaio 2018, il contributo ambientale che i produttori di contenitori in plastica pagano per il loro fine vita sarà differenziato. In teoria dovrebbe essere modulato sulla base della riciclabilità dell’imballaggio, ma le bottiglie opache, per esempio, pagheranno quanto quelle trasparenti. Nella speranza che gli investimenti in ricerca – 305mila euro nel 2016, meno di quanto speso per viaggi e trasferte e briciole a fronte dei 5 milioni di euro dei costi di comunicazione – diano presto dei risultati.