La grande falla del nostro sistema scolastico, ma non solo, educativo in generale, è che si punta tutto sulla valutazione delle capacità dei ragazzi, anziché sul loro riconoscimento. Chi è in grado di capire la differenza è avanti, perché esiste ed è sostanziale. Ogni allievo ha potenzialità e la cosa migliore che gli può capitare è riuscire a  esprimerle, in ogni ragazzo esiste una scintilla, un campo dove brillare e trovare soddisfazione, anche se non sempre questo avviene, quella scintilla vive con lui tutta la vita, deve trovare spazio e attenzione.

Il periodo e il luogo migliore per scoprirsi, certamente non l’unico, è la scuola. L’istituzione scolastica ha una responsabilità, l’insegnamento delle singole materie non basta, anche se qualcuno riesce a farselo bastare e splendere, per troppi non è così.

La scuola deve essere il luogo che aiuta i ragazzi a capire cosa sono in grado di fare e poi a farlo al meglio. La scuola raggruppa una collettività attraverso la quale dare valore all’individualità. Differenziare e valorizzare, non omologare e valutare. Una base comune per tutti dalla quale man mano far diramare le varie specializzazioni. Il problema è che il sistema valutativo, se da una parte stimola molti, dall’altra fa sì che tanti altri si perdano, perché non riconosciuti come in grado di rendere.

Il voto è la valutazione di una prestazione e la cultura non deve essere una prestazione, ma un piacere, l’interesse deve nascere dentro. Partendo dal presupposto che dell’altro non ci si possa fidare, meglio porre la votazione come vincolo, castigo o premio, ma così il ragazzo viene stimolato a rendere e non a dare, è un limite all’autonomia dell’individuo in formazione.

Capiamoci, il voto è comodo, semplifica la vita di chi insegna, ma fa scomparire tutto quello che non può o non vuole essere oggetto di parametro. Non è un caso che spesso grandi menti o artisti non fossero brillanti a scuola.

Quando il ragazzo ha problemi inerenti o indipendenti dal contesto scolastico, il voto si rivela spesso inutile e controproducente, lo etichetta come scarso e a nulla valgono le classiche giustificazioni “è intelligente, ma non si applica” anzi una frase del genere è sintomo di un malfunzionamento del sistema, non del ragazzo. Perché la scuola non riesce a farlo “applicare”, visto che è “intelligente”? Non è a lui che manca qualcosa.

Immagino tanti insegnanti che, con anni di esperienza alle spalle, potrebbero raccontare di studenti dai quali pensano di non essere riusciti a ricavare abbastanza, nonostante ce l’abbiano messa tutta, potrebbero raccontare di lotte caparbie e inutili, di tanti ragazzi testardi, svogliati, che fanno perdere la pazienza. Un singolo insegnante può fare la differenza, ma non essere la differenza per tutti, è il sistema che deve “rivalutarsi”.

Maggiore spazio agli psicologi nelle scuole perché possano aiutare i ragazzi e gli stessi adulti a leggere correttamente le loro emozioni, individuare situazioni a rischio, stimolare e accrescere le loro scintille, spazi dove ci si possa aprire in merito alle  relazioni.

La scuola educa e l’educazione non si ferma al sapere. Quello che si investe sui formatori andrà a portare benefici a chi viene formato. Se da una parte mi sembra di dire delle ovvietà, dall’altro tutto questo raramente si verifica.

Un allievo con difficoltà non è un problema, ma una possibilità che si dà a un ragazzo di cambiare e vivere meglio. Non esiste metro di valutazione di un ragazzo che possa misurare quanto può realisticamente dare di sé e apprendere.

Se valuto le capacità non le sto valorizzando, ma solo quantificando. Le persone non sono quantificabili, ma qualificabili.

Vignetta di Pietro Vanessi

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