“Il problema di Ater? Pensa ancora di essere Iacp”. Tradotto: una società di diritto privato – seppure a capitale totalmente pubblico – che si comporta ancora come un istituto assistenziale del secolo scorso. E’ probabile che questa spiegazione, ricorrente fra i sindacati degli inquilini, possa riassumere in un colpo solo i mali endemici che hanno colpito l’Ater di Roma, l’azienda regionale che gestisce le case popolari nella Capitale, fino a spingerla in queste ore sull’orlo di un drammatico fallimento, non ancora scongiurato dall’intervento straordinario di garanzia operato dal suo socio unico, la Regione Lazio. Per i suoi 48.426 alloggi la società – commissariata dal dicembre 2015 – incassa esattamente la metà degli affitti dovuti (48,91% l’ultimo dato aggiornato), non riesce a vendere gli immobili che mette all’asta (sebbene i prezzi siano anche 5 volte più bassi di quelli di mercato) e conta una percentuale di inquilini “senza titolo” o “abusivi” pari a circa il 60% del totale, fenomeno in cui negli anni si sono insinuate le classiche clientele politiche e gli affari di clan criminali come i Casamonica e gli Spada.
MOROSITA’ E CORTE DEI CONTI
Il dato che salta maggiormente all’occhio è quello della morosità. I numeri ufficiali relativi al bilancio 2015 – quelli del 2016 non sono ancora disponibili – parlano di canoni non incassati per il 51,08%. Tradotto in denaro, a fronte di bollette emesse per 78,9 milioni di euro, gli inquilini corrispondono regolarmente appena 38,6 milioni, ben 40,3 milioni di differenza: in 10 anni sarebbero oltre 400 milioni persi per strada. I più indisciplinati sono i cosiddetti “occupanti senza titolo”, cioè chi non avrebbe diritto ad abitare quegli alloggi per motivi reddituali o per mancato rispetto delle graduatorie: ogni anno non versano nelle casse Ater ben 28,4 milioni contro i 34,8 milioni emessi in bolletta (84%). Più sostenibile, si fa per dire, la morosità degli utenti regolari (6,1 milioni, il 20,76%) mentre anche coloro che sono “in attesa di regolarizzazione” non pagano canoni per 4,9 milioni l’anno (41,21%). “Tra l’altro l’azienda – spiega Guido Lanciano, segretario dell’Unione Inquilini – ha la pessima abitudine di inserire in bolletta canone e utenze condominiali, per cui i morosi abituali finiscono per non pagare ne’ l’uno ne’ le altre”. Non solo. Sempre nel 2015, il tentativo di “aggredire le morosità” pregresse è miseramente fallito: su un importo di 25,3 milioni ne sono stati recuperati appena 2,3 milioni, più 4 milioni rateizzati. Uno “scandalo” che ha spinto il procuratore regionale della Corte dei Conti, Guido Patti, a portare sotto processo contabile ben 20 fra i dirigenti che si sono alternati ai posti di comando dell’ente fra il 2011 e il 2015, contestando loro un presunto danno erariale di ben 24,6 milioni di euro (sarebbero state spedite soltanto 844 diffide contro le 5.486 posizioni critiche): soldi che i manager in caso di condanna potrebbero essere costretti a pagare di tasca loro
DIATRIBA SUI CANONI
Altro tema è quello dell’importo dei canoni. E’ opinione comune che la quota degli affitti fissati dalla Regione Lazio sia troppo bassa. Gli assegnatari più indigenti, infatti, corrispondono l’importo minimo di 7,75 euro, la traduzione delle vecchie 15.000 lire previste da una legge regionale risalente al 1987. Da allora i canoni non sono stati più aggiornati. Un alloggio medio fra quelli presenti nel patrimonio Ater misura circa 75 metri quadri, mentre il canone mensile medio è di 128 euro, valori validi anche per quartieri romani oggi di pregio come Monti (zona Colosseo), San Saba e Trastevere. Da un confronto fra i ricavi da canoni Erp e i valori di mercato (dati dell’Osservatorio immobiliare) si evince sulla città di Roma una “perdita/utilità sociale” di circa 280 milioni di euro. “Da tempo proponiamo di elevare il canone del 20-25% – sottolinea ancora Lanciano – fattore che consentirebbe all’azienda di respirare. Per i più indigenti non cambierebbe molto spendere 7,75 o 10 euro al mese”.
VENDITE FALLITE
In una concezione moderna, l’obiettivo finale di un’azienda che gestisce l’edilizia residenziale pubblica dovrebbe essere la vendita: costruisco (o rigenero) e assegno con l’obiettivo di portare la famiglia in graduatoria all’acquisto dell’alloggio. Un meccanismo virtuoso che in Ater Roma non è mai iniziato. “Qui siamo fermi a Petroselli – ricorda Nicola Galloro, consigliere capitolino di centrosinistra ai tempi di Walter Veltroni – quando si toglievano i poveracci dalle baracche e si dava loro un tetto. Una grande stagione, fondamentale per la città, ma ora i tempi sono cambiati: le famiglie vanno aiutate ad emanciparsi”. Dunque, a un certo punto, l’Ater dovrebbe vendere, per monetizzare e tornare a investire. Eppure non ci riesce, nonostante i prezzi fissati siano a dir poco concorrenziali: in media appena 61.000 euro, quanto un privato chiede per un box auto in periferia. Basti pensare che nel 2015 l’azienda è riuscita ad “alienare” solo 283 alloggi, per un incasso di appena 17,2 milioni di euro e anche l’ultima maxi-vendita voluta dalla gestione commissariale è terminata con la cessione di 8 locali e 2 aree di proprietà. Si legge candidamente sulla relazione allegata al bilancio: “I quartieri in lavorazione presentano problematiche di tipo tecnico-catastale”, mentre “i reiterati tentativi di completare le vendite nei condomini costituiti non hanno dato i risultati sperati, trattandosi per lo più di utenza che non ha mostrato interesse all’acquisto’.
CAOS ICI E DEBITI
Il caos generato da anni di “gestioni allegre” e problematiche sociali non semplici da affrontare ha portato all’attuale, drammatica, situazione contabile. Ater Roma ad oggi conta debiti per 1 miliardo e 448 milioni di euro. Il cappio al collo è rappresentato dai 543 milioni di euro dovuti a Equitalia, che grazie alla rottamazione del debito potrebbero scendere a quota 280 milioni. Ma Ater deve versare entro la mezzanotte del 31 luglio la prima rata da 65 milioni. In pratica, l’azienda non ha mai pagato (dal 2000 a oggi) Ici e Imu, sperando che il governo approvasse una legge che la esentasse, provvedimento che non e’ mai arrivato. “E’ un po’ iniquo – afferma ancora Lanciano – che si debba pagare la tassa sulla casa popolare e il costruttore che ha un alloggio sfitto non debba versare un euro”. Ma non è l’unica voce passiva a preoccupare chi gestisce i conti. Ci sono anche 734 milioni relativi alla “gestione speciale per opere in corso di realizzazione”: in pratica sono soldi prestati dal Comitato Edilizia Pubblica che sarebbero dovuti servire per costruire nuovi alloggi popolari e “opere di urbanizzazione socialmente rilevanti” ma che nel corso degli anni sono stati utilizzati nella spesa corrente come liquidità.
FATTORE CLAN E CRIMINALITA’
Naturalmente, per analizzare a dovere la questione Ater, non si può far riferimento solo alla lettura dei bilanci e alle analisi economiche. L’edilizia residenziale a Roma, infatti, è da decenni preda delle organizzazioni criminali della capitale, le quali – al netto delle singole illegalità – hanno dato vita a un vero e proprio mercato nero degli alloggi. Basti pensare all’operazione “Sub Urbe”, grazie alla quale la Dda di Roma sgominò una parte degli affari del clan Spada a Ostia, protagonista di sfratti “coatti”, usura e traffico di alloggi. Situazione simile a quella che si vive nei quartieri a sud-est di Roma, dove il cognome di oltre 40 assegnatari è Casamonica e il prezzo è quasi sempre quello base di 7,75 euro. Secondo i rapporti della Polizia Locale – che negli anni ha indagato e provare ad arginare i fenomeni di illegalità – gli interessi degli “zingari” (Casamonica, ma anche Spada e Di Silvio) si incrociano con i “napoletani”, varie famiglie camorristiche fuggite dalle faide anni ’80 e ’90 all’ombra del Vesuvio e stabilitesi nella periferia romana. “Non mi stupirei se trovassi qualcuno dei Casamonica in case da sessanta metri quadrati e con la Ferrari in garage”, affermava beffardo qualche anno fa l’attuale deputato Pd Stefano Esposito. Secondo la Guardia di Finanza, il “traffico di alloggi” nella Capitale si aggira sui 1.500 appartamenti.
LA POLITICA E GLI INQUILINI “FACOLTOSI”
Ma non è solo questione di criminalità. Anche (o soprattutto) la politica, negli ultimi decenni e con tutti i colori politici, ha sguazzato nel far west delle case popolari a Roma. D’altronde il tetto – insieme al lavoro – è da sempre merce di scambio elettorale, specie fra le classi meno abbienti. “Sindacati e politica – denuncia a IlFatto.it Annamaria Addante, voce storica dell’Associazione Inquilini e Proprietari Ater – si sono spartiti da sempre la torta. Per anni ho denunciato i funzionari che hanno portato avanti il business delle occupazioni: davano le dritte per sfondare, poi prendevano mazzette e voti”. E nelle case ci finivano anche vip e personaggi “facoltosi”. Celebre il caso del quartiere San Saba, una delle zone più affascinanti del centro capitolino, dove un tempo furono costruiti alloggi destinati alle famiglie dei ferrovieri. Oggi, in quelle case popolari – è la stessa Ater a dirlo – ci vivono decine di avvocati, medici, diplomatici, professionisti e familiari di politici, i quali puntualmente, all’arrivo dei controlli, non si fanno trovare in casa. Celebre il caso dell’ex marito di Renata Polverini, Massimo Cavicchioli, venuto alla luce poco le elezioni regionali del 2010: l’uomo, esperto informatico ed ex sindacalista, venne sfrattato nel 2014 dalla casa in cui era nato e che aveva “ereditato” dalla madre scomparsa, ma che aveva anche più volte subaffittato.
COSA ACCADE SE FALLISCE
Il quadro, dunque, è questo. Ma cosa accade se Ater fallisce (oggi o fra qualche mese)? La prima conseguenza è quella comune a tutte le aziende in default: si blocca il pagamento degli stipendi (circa 460 persone) e delle fatture ai fornitori, creando un primo serio problema all’amministrazione regionale. C’è però dell’altro. Se il socio unico (la Regione Lazio) non ripianasse i debiti e, in pratica, internalizzasse la struttura, ai creditori potrebbe essere consentito di aggredirne il patrimonio, prendendo in custodia i quasi 50.000 immobili e, attraverso il curatore fallimentare, procedere alla vendita. A quel punto, non ci sarebbe alcuno spazio per la trattativa politica: indigenti o no, regolari o no, agli inquilini potrebbe essere concessa una prelazione (a prezzi di mercato), la cui alternativa sarebbe solo la vendita all’esterno e, quindi, lo sfratto. Con conseguente disastro sociale.
Cronaca
Ater, cronaca di una crisi annunciata. Tra case in cambio di voti e affari dei clan, il 51% degli affitti non viene pagato
L’azienda regionale che gestisce le case popolari nella Capitale rischia il fallimento. Che potrebbe sfociare in un'ondata di sfratti. Colpa del maxi debito accumulato negli anni causa incassi mancati, canoni fermi a pochi euro al mese e tentativi di vendita delle abitazioni falliti. Per non parlare degli interessi criminali (nei quartieri di sud-est il cognome di oltre 40 assegnatari è Casamonica) e degli inquilini facoltosi che sfuggono ai controlli
“Il problema di Ater? Pensa ancora di essere Iacp”. Tradotto: una società di diritto privato – seppure a capitale totalmente pubblico – che si comporta ancora come un istituto assistenziale del secolo scorso. E’ probabile che questa spiegazione, ricorrente fra i sindacati degli inquilini, possa riassumere in un colpo solo i mali endemici che hanno colpito l’Ater di Roma, l’azienda regionale che gestisce le case popolari nella Capitale, fino a spingerla in queste ore sull’orlo di un drammatico fallimento, non ancora scongiurato dall’intervento straordinario di garanzia operato dal suo socio unico, la Regione Lazio. Per i suoi 48.426 alloggi la società – commissariata dal dicembre 2015 – incassa esattamente la metà degli affitti dovuti (48,91% l’ultimo dato aggiornato), non riesce a vendere gli immobili che mette all’asta (sebbene i prezzi siano anche 5 volte più bassi di quelli di mercato) e conta una percentuale di inquilini “senza titolo” o “abusivi” pari a circa il 60% del totale, fenomeno in cui negli anni si sono insinuate le classiche clientele politiche e gli affari di clan criminali come i Casamonica e gli Spada.
MOROSITA’ E CORTE DEI CONTI
Il dato che salta maggiormente all’occhio è quello della morosità. I numeri ufficiali relativi al bilancio 2015 – quelli del 2016 non sono ancora disponibili – parlano di canoni non incassati per il 51,08%. Tradotto in denaro, a fronte di bollette emesse per 78,9 milioni di euro, gli inquilini corrispondono regolarmente appena 38,6 milioni, ben 40,3 milioni di differenza: in 10 anni sarebbero oltre 400 milioni persi per strada. I più indisciplinati sono i cosiddetti “occupanti senza titolo”, cioè chi non avrebbe diritto ad abitare quegli alloggi per motivi reddituali o per mancato rispetto delle graduatorie: ogni anno non versano nelle casse Ater ben 28,4 milioni contro i 34,8 milioni emessi in bolletta (84%). Più sostenibile, si fa per dire, la morosità degli utenti regolari (6,1 milioni, il 20,76%) mentre anche coloro che sono “in attesa di regolarizzazione” non pagano canoni per 4,9 milioni l’anno (41,21%). “Tra l’altro l’azienda – spiega Guido Lanciano, segretario dell’Unione Inquilini – ha la pessima abitudine di inserire in bolletta canone e utenze condominiali, per cui i morosi abituali finiscono per non pagare ne’ l’uno ne’ le altre”. Non solo. Sempre nel 2015, il tentativo di “aggredire le morosità” pregresse è miseramente fallito: su un importo di 25,3 milioni ne sono stati recuperati appena 2,3 milioni, più 4 milioni rateizzati. Uno “scandalo” che ha spinto il procuratore regionale della Corte dei Conti, Guido Patti, a portare sotto processo contabile ben 20 fra i dirigenti che si sono alternati ai posti di comando dell’ente fra il 2011 e il 2015, contestando loro un presunto danno erariale di ben 24,6 milioni di euro (sarebbero state spedite soltanto 844 diffide contro le 5.486 posizioni critiche): soldi che i manager in caso di condanna potrebbero essere costretti a pagare di tasca loro
DIATRIBA SUI CANONI
Altro tema è quello dell’importo dei canoni. E’ opinione comune che la quota degli affitti fissati dalla Regione Lazio sia troppo bassa. Gli assegnatari più indigenti, infatti, corrispondono l’importo minimo di 7,75 euro, la traduzione delle vecchie 15.000 lire previste da una legge regionale risalente al 1987. Da allora i canoni non sono stati più aggiornati. Un alloggio medio fra quelli presenti nel patrimonio Ater misura circa 75 metri quadri, mentre il canone mensile medio è di 128 euro, valori validi anche per quartieri romani oggi di pregio come Monti (zona Colosseo), San Saba e Trastevere. Da un confronto fra i ricavi da canoni Erp e i valori di mercato (dati dell’Osservatorio immobiliare) si evince sulla città di Roma una “perdita/utilità sociale” di circa 280 milioni di euro. “Da tempo proponiamo di elevare il canone del 20-25% – sottolinea ancora Lanciano – fattore che consentirebbe all’azienda di respirare. Per i più indigenti non cambierebbe molto spendere 7,75 o 10 euro al mese”.
VENDITE FALLITE
In una concezione moderna, l’obiettivo finale di un’azienda che gestisce l’edilizia residenziale pubblica dovrebbe essere la vendita: costruisco (o rigenero) e assegno con l’obiettivo di portare la famiglia in graduatoria all’acquisto dell’alloggio. Un meccanismo virtuoso che in Ater Roma non è mai iniziato. “Qui siamo fermi a Petroselli – ricorda Nicola Galloro, consigliere capitolino di centrosinistra ai tempi di Walter Veltroni – quando si toglievano i poveracci dalle baracche e si dava loro un tetto. Una grande stagione, fondamentale per la città, ma ora i tempi sono cambiati: le famiglie vanno aiutate ad emanciparsi”. Dunque, a un certo punto, l’Ater dovrebbe vendere, per monetizzare e tornare a investire. Eppure non ci riesce, nonostante i prezzi fissati siano a dir poco concorrenziali: in media appena 61.000 euro, quanto un privato chiede per un box auto in periferia. Basti pensare che nel 2015 l’azienda è riuscita ad “alienare” solo 283 alloggi, per un incasso di appena 17,2 milioni di euro e anche l’ultima maxi-vendita voluta dalla gestione commissariale è terminata con la cessione di 8 locali e 2 aree di proprietà. Si legge candidamente sulla relazione allegata al bilancio: “I quartieri in lavorazione presentano problematiche di tipo tecnico-catastale”, mentre “i reiterati tentativi di completare le vendite nei condomini costituiti non hanno dato i risultati sperati, trattandosi per lo più di utenza che non ha mostrato interesse all’acquisto’.
CAOS ICI E DEBITI
Il caos generato da anni di “gestioni allegre” e problematiche sociali non semplici da affrontare ha portato all’attuale, drammatica, situazione contabile. Ater Roma ad oggi conta debiti per 1 miliardo e 448 milioni di euro. Il cappio al collo è rappresentato dai 543 milioni di euro dovuti a Equitalia, che grazie alla rottamazione del debito potrebbero scendere a quota 280 milioni. Ma Ater deve versare entro la mezzanotte del 31 luglio la prima rata da 65 milioni. In pratica, l’azienda non ha mai pagato (dal 2000 a oggi) Ici e Imu, sperando che il governo approvasse una legge che la esentasse, provvedimento che non e’ mai arrivato. “E’ un po’ iniquo – afferma ancora Lanciano – che si debba pagare la tassa sulla casa popolare e il costruttore che ha un alloggio sfitto non debba versare un euro”. Ma non è l’unica voce passiva a preoccupare chi gestisce i conti. Ci sono anche 734 milioni relativi alla “gestione speciale per opere in corso di realizzazione”: in pratica sono soldi prestati dal Comitato Edilizia Pubblica che sarebbero dovuti servire per costruire nuovi alloggi popolari e “opere di urbanizzazione socialmente rilevanti” ma che nel corso degli anni sono stati utilizzati nella spesa corrente come liquidità.
FATTORE CLAN E CRIMINALITA’
Naturalmente, per analizzare a dovere la questione Ater, non si può far riferimento solo alla lettura dei bilanci e alle analisi economiche. L’edilizia residenziale a Roma, infatti, è da decenni preda delle organizzazioni criminali della capitale, le quali – al netto delle singole illegalità – hanno dato vita a un vero e proprio mercato nero degli alloggi. Basti pensare all’operazione “Sub Urbe”, grazie alla quale la Dda di Roma sgominò una parte degli affari del clan Spada a Ostia, protagonista di sfratti “coatti”, usura e traffico di alloggi. Situazione simile a quella che si vive nei quartieri a sud-est di Roma, dove il cognome di oltre 40 assegnatari è Casamonica e il prezzo è quasi sempre quello base di 7,75 euro. Secondo i rapporti della Polizia Locale – che negli anni ha indagato e provare ad arginare i fenomeni di illegalità – gli interessi degli “zingari” (Casamonica, ma anche Spada e Di Silvio) si incrociano con i “napoletani”, varie famiglie camorristiche fuggite dalle faide anni ’80 e ’90 all’ombra del Vesuvio e stabilitesi nella periferia romana. “Non mi stupirei se trovassi qualcuno dei Casamonica in case da sessanta metri quadrati e con la Ferrari in garage”, affermava beffardo qualche anno fa l’attuale deputato Pd Stefano Esposito. Secondo la Guardia di Finanza, il “traffico di alloggi” nella Capitale si aggira sui 1.500 appartamenti.
LA POLITICA E GLI INQUILINI “FACOLTOSI”
Ma non è solo questione di criminalità. Anche (o soprattutto) la politica, negli ultimi decenni e con tutti i colori politici, ha sguazzato nel far west delle case popolari a Roma. D’altronde il tetto – insieme al lavoro – è da sempre merce di scambio elettorale, specie fra le classi meno abbienti. “Sindacati e politica – denuncia a IlFatto.it Annamaria Addante, voce storica dell’Associazione Inquilini e Proprietari Ater – si sono spartiti da sempre la torta. Per anni ho denunciato i funzionari che hanno portato avanti il business delle occupazioni: davano le dritte per sfondare, poi prendevano mazzette e voti”. E nelle case ci finivano anche vip e personaggi “facoltosi”. Celebre il caso del quartiere San Saba, una delle zone più affascinanti del centro capitolino, dove un tempo furono costruiti alloggi destinati alle famiglie dei ferrovieri. Oggi, in quelle case popolari – è la stessa Ater a dirlo – ci vivono decine di avvocati, medici, diplomatici, professionisti e familiari di politici, i quali puntualmente, all’arrivo dei controlli, non si fanno trovare in casa. Celebre il caso dell’ex marito di Renata Polverini, Massimo Cavicchioli, venuto alla luce poco le elezioni regionali del 2010: l’uomo, esperto informatico ed ex sindacalista, venne sfrattato nel 2014 dalla casa in cui era nato e che aveva “ereditato” dalla madre scomparsa, ma che aveva anche più volte subaffittato.
COSA ACCADE SE FALLISCE
Il quadro, dunque, è questo. Ma cosa accade se Ater fallisce (oggi o fra qualche mese)? La prima conseguenza è quella comune a tutte le aziende in default: si blocca il pagamento degli stipendi (circa 460 persone) e delle fatture ai fornitori, creando un primo serio problema all’amministrazione regionale. C’è però dell’altro. Se il socio unico (la Regione Lazio) non ripianasse i debiti e, in pratica, internalizzasse la struttura, ai creditori potrebbe essere consentito di aggredirne il patrimonio, prendendo in custodia i quasi 50.000 immobili e, attraverso il curatore fallimentare, procedere alla vendita. A quel punto, non ci sarebbe alcuno spazio per la trattativa politica: indigenti o no, regolari o no, agli inquilini potrebbe essere concessa una prelazione (a prezzi di mercato), la cui alternativa sarebbe solo la vendita all’esterno e, quindi, lo sfratto. Con conseguente disastro sociale.
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Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Desidero esprimere la mia totale solidarietà al Presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, professionista di comprovata competenza e integrità, recentemente bersaglio di un attacco inaccettabile da parte del Senatore Zaffini. Non dovrebbe essere necessario ricordare che la Fondazione GIMBE svolge un ruolo essenziale nel garantire analisi indipendenti e basate su evidenze scientifiche nel settore della sanità pubblica. Analisi che non solo aiutano l’opinione pubblica a comprendere la realtà dei fatti, ma forniscono strumenti indispensabili proprio a noi parlamentari per svolgere il nostro lavoro con cognizione di causa". Lo scrive in una nota la senatrice del Pd Susanna Camusso.
Ma ormai chiunque osi dissentire con l’operato del Governo Meloni – scienziati, magistrati, professori, giornalisti – viene puntualmente delegittimato. Peccato che sia lo stesso Presidente Zaffini ad ammettere che su sei decreti attuativi promessi per smaltire le liste d’attesa, sia stato approvato solo quello sul funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio. La colpa? Dipende dal giorno: molto spesso è dei governi precedenti – nonostante la destra governi da tre anni – altre volte, come in questo caso, delle Regioni - nonostante la stessa destra stia spingendo per l’Autonomia. Mentre milioni di italiani non possono curarsi e il SSN è al collasso, il governo continua a giocare a scaricabarile, additando nemici immaginari e scaricando le colpe su chiunque tranne che su sé stesso”.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Dopo il record di 150.000 iscritti, Forza Italia rafforza il suo radicamento sul territorio con l’avvio della stagione dei Congressi Comunali e Circoscrizionali. Si parte da 9 regioni per eleggere i nuovi segretari comunali e circoscrizionali, in un percorso di partecipazione e crescita che coinvolgerà tutta Italia". Lo scrive Forza Italia sui suoi profili social.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Rispondo a chi ogni tanto ci accusa di non avere una visione. Certo che ce l'abbiamo, anche bella forte. Magari a qualcuno non piace, non sarà quello che si aspettavano dal Pd di prima, ma oggi il Pd è autodeterminato in questa direzione". In mezzo al dibattito su 'meglio presentarsi uniti o divisi per colpire uniti', innescato dalla proposta di Dario Franceschini, Elly Schlein continua a insistere sui temi piuttosto che sui tatticismi. E rilancia la visione del 'suo' Pd a fronte di perplessità, più o meno esplicite, avanzate nei suoi confronti nell'ultimo periodo.
"La giustizia sociale, la giustizia climatica, il lavoro dignitoso, l'innovazione, i diritti delle persone", elenca la segretaria dal palco della prima iniziativa col Terzo Settore (previste altre 4 a febbraio) a Monterotondo. Come aveva fatto la settimana scorsa davanti all'ospedale di Vicenza per parlare di sanità o con gli operai a Marghera o quelli della crisi Beko su lavoro e politiche industriali.
Alla questione aperta da Franceschini, Schlein ha però dato una risposta l'altra sera a Piazza Pulita dopo giorni di silenzi, conditi da freddezza dell'inner circle della segretaria. Andare divisi per colpire uniti? "Io continuo a insistere, sono testardamente unitaria", la risposta di Schlein. Insomma, nonostante al momento non vi siano passi avanti nella costruzione dell'alleanza, lo schema della segretaria non cambia. Resta 'testardamente unitario'. "Ce lo chiede la gente", la tesi di Schlein. Il sondaggio mandato in onda durante la trasmissione pare darle ragione con quasi l'80% degli elettori di centrosinistra a invocare un accordo tra le opposizioni.
Un accordo che però non c'è e la proposta di Franceschini ha avuto anche l'effetto di evidenziare ulteriormente le resistenze rispetto a un'alleanza organica. Basta leggere l'elenco di quelli che hanno promosso o quanto meno si sono detti interessati alla possibilità di 'marciare divisi, per poi colpire uniti' dopo il voto: da Carlo Calenda a Giuseppe Conte. Chi invece non è sembra interessato, è Romano Prodi che in una lunga intervista avverte: "Senza un programma condiviso non è politica, ma solo cinismo. Si possono anche vincere le elezioni, ma si uccide il Paese”.
"Ma come si può fare questo discorso due anni e mezzo prima delle elezioni?", si chiede Prodi. "Potrebbe essere l'ultima spiaggia alla vigilia del voto. Ma se partiamo dall'idea che non ci si può mettere d'accordo su un programma, mi pare difficile vincere le elezioni". L'Ulivo non è più riproponibile, aggiunge, "quel che si può fare è cercare quattro grandi problemi sui quali trovare una visione comune: sanità, casa, scuola, lavoro".
Non basta solo criticare: "Politica è dire quel che serve all'Italia per la distribuzione del reddito, la sanità, la casa. Non dire solo che mancano le risorse, ma dire come vanno riformati gli ospedali, i medici di base, le case di comunità". Chi può riuscire a federare il campo delle opposizioni in ordine sparso? Per Prodi la risposta è aperta: "Il problema è vedere chi è in grado di federare. Quel ruolo si conquista, non è dato. La competizione è aperta per tutti, Schlein e altri".
Tel Aviv, 1 feb. (Adnkronos) - Il primo ministro Benjamin Netanyahu sta valutando la possibilità di nominare il ministro degli Affari strategici Ron Dermer a capo del team negoziale di Israele per i colloqui sugli ostaggi con Hamas, secondo le notizie di Channel 12. Subentrerebbe al ruolo del capo del Mossad David Barnea. Secondo quanto riferito, Barnea resterebbe nella squadra insieme al capo dello Shin Bet Ronen Bar e all'uomo chiave per la presa degli ostaggi delle Idf Nitzan Alon, con Dermer a supervisionare i colloqui.
I funzionari israeliani hanno dichiarato che Netanyahu riconosce che i negoziatori vogliono fare tutto il possibile per garantire che la seconda fase dell'accordo sulla restituzione degli ostaggi con Hamas abbia luogo, e il premier vuole mantenere aperte le sue opzioni. Secondo Channel 12, i funzionari del team di Netanyahu affermano che, poiché i colloqui principali si stanno svolgendo con l'amministrazione Trump, dovrebbero essere guidati da qualcuno con una formazione più diplomatica, che non nella sicurezza.
Sembra che l'inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, abbia detto a Netanyahu che preferirebbe lavorare con Dermer e che ha delle riserve sulla collaborazione con l'attuale team negoziale. Witkoff e Netanyahu hanno parlato oggi, ha riferito Channel 12, aggiungendo che il primo ministro israeliano terrà un incontro stasera per decidere se inviare una delegazione di medio livello in Qatar questa settimana. In risposta, l'ufficio di Netanyahu ha affermato che "i resoconti non sono veri" e che "le decisioni sui negoziati saranno prese solo dopo il ritorno del primo ministro dagli Stati Uniti".
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Ieri è stato l’ultimo giorno di lavoro di dipendenti e dirigenti Rai a viale Mazzini. Lo storico palazzo, simbolo del Servizio Pubblico, che dagli anni 60 rappresenta la Rai, chiuderà per essere interessato da importanti ed ampi lavori di ristrutturazione". Lo dichiarano i componenti di Fratelli d’Italia della Commissione Vigilanza Rai.
"Interventi che consentiranno alla Rai di usufruire di una sede moderna, digitale e all’avanguardia, capace così di confrontarsi con un mercato televisivo sempre più competitivo. È un merito di questa dirigenza che oltre a garantire un sempre più ampio pluralismo, così come si pretende dal Servizio pubblico, un’offerta e una qualità nella programmazione, adesso garantirà alla Rai anche strutture di prim’ordine. Infatti, la sede di viale Mazzini si affiancherà al nuovo centro di produzione a Milano che sarà uno dei più avanzati in Europa. Al contempo va rivolto un vivo ringraziamento ai dipendenti Rai, che stanno affrontando con grande impegno e dedizione questo significativo momento di passaggio, che servirà a costruire il Servizio pubblico del futuro”.
Ramallah, 1 feb. (Adnkronos) - Le forze israeliane hanno arrestato due giornalisti palestinesi e sequestrato la loro attrezzatura nella città di Beit Ummar, a nord di Hebron, in Cisgiordania. Lo riporta l'agenzia di stampa palestinese Wafa, citando il giornalista Ihab al-Alami, che ha riferito, dopo essere stato rilasciato, che "lui e il suo collega, Nidal al-Natsheh, sono stati arrestati dai soldati israeliani mentre documentavano i danni su terreni di proprietà palestinese vicino all'insediamento israeliano illegale di Karmei Tzur". I soldati hanno sequestrato tre telecamere prima di costringerli ad abbandonare la zona, ha aggiunto il reporter.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Roma si è svolta la Direzione Nazionale di Fratelli d'Italia, un momento di confronto interno al partito in vista del giro di boa della metà legislatura. Non si è trattato, evidentemente, di una seduta del Consiglio dei Ministri, un dettaglio che i deputati di Italia Viva, cui resta solo la polemica, potrebbero facilmente cogliere solo sfogliando un qualsiasi manuale di diritto costituzionale". Così Antonio Baldelli, deputato di Fratelli d'Italia, risponde alle polemiche sollevate da Italia Viva sull'assenza del Presidente del Consiglio all'assemblea di FdI e sulla presenza del capo della segreteria politica, Arianna Meloni.