Qualcuno dei suoi confratelli, nel 2005, lo voleva perfino Papa. E, infatti, il cardinale Dionigi Tettamanzi, morto oggi all’età di 83 anni nella villa Sacro Cuore di Triuggio dopo una lunga malattia, ricevette qualche suffragio nella prima votazione del conclave chiamato a eleggere il successore di Karol Wojtyla. Voti confluiti subito su Joseph Ratzinger che fu eletto Papa e assunse il nome di Benedetto XVI. Ma in quella Sede Vacante apertasi dopo il lunghissimo regno di san Giovanni Paolo II, Tettamanzi rappresentò l’unico candidato italiano al papato. Il porporato era arrivato alla guida dell’arcidiocesi di Milano da appena tre anni, nel 2002, dopo il ventennio del cardinale Carlo Maria Martini dal quale, nel 1989, era stato ordinato vescovo.

Un’eredità non facile per Tettamanzi che, a differenza del predecessore gesuita, arrivò a Milano già con la porpora che san Giovanni Paolo II gli aveva dato nel concistoro del 1998, tre anni dopo averlo nominato arcivescovo di Genova. Si parlò di una nomina di ripiego con il Papa polacco ormai seriamente provato dalla malattia e la necessità di liberare la sede cardinalizia di Genova per l’allora monsignor Tarcisio Bertone, che lasciò la Curia romana dove era il numero due di Ratzinger all’ex Sant’Uffizio. In realtà nei suoi nove anni sulla cattedra dei santi Ambrogio e Carlo, Tettamanzi è riuscito a lasciare il segno con la sua bonomia pastorale e la sua capacità di entrare in dialogo con tutti, perfino con i bambini ai quali in occasione di ogni Natale iniziò a scrivere delle bellissime lettere.

Amatissimo dal clero, prima di lasciare Genova per Milano salutò la mamma Giuditta che seguirà tutto il suo episcopato ambrosiano morendo, nel 2012, all’età di 101 anni. Significativo ed emozionante per entrambi fu il passaggio del pastorale, nel duomo del capoluogo lombardo, tra Martini e Tettamanzi. “Il cardinale Martini – disse il giorno dei funerali del porporato biblista – mi ha imposto le mani per la consacrazione episcopale. Lui è stato, per me come per tantissimi altri, punto di riferimento per interpretare le divine Scritture, leggere il tempo presente e sognare il futuro, tracciare sentieri per la missione evangelizzatrice della Chiesa in amorosa e obbediente docilità al suo Signore. Il cardinale Martini mi ha accolto come suo successore sulla cattedra di Ambrogio e Carlo consegnandomi il pastorale mentre mi diceva: ‘Vedrai quanto sarà pesante!’”. Tettamanzi non aveva dubbi: “Il ‘torrente Martini’ è stato un grande alimento per il cammino della Chiesa, la nostra in particolare”.

Nato a Renate, oggi in provincia di Monza e della Brianza, il 14 marzo 1934, Tettamanzi era il primo di tre figli. Per lui la vocazione sacerdotale fu chiara fin da subito. A 11 anni entrò in seminario e nel 1957 fu ordinato prete dall’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. I primi anni di sacerdozio il giovane don Dionigi li passò a insegnare teologia morale nel seminario lombardo e fu proprio per la sua notevole preparazione sui temi del matrimonio, della sessualità e in modo particolare della bioetica che Wojtyla gli chiese di collaborare alla stesura di alcune sue encicliche. Nel 1987 diventò rettore del Pontificio seminario lombardo di Roma. Nel 1989 il Papa polacco lo nominò arcivescovo metropolita di Ancona-Osimo.

Passarono soltanto due anni e Tettamanzi fu costretto a lasciare l’arcidiocesi perché san Giovanni Paolo II lo nominò segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana dove subentrò al cardinale Camillo Ruini divenutone presidente. Nel 1995 il Papa gli affidò l’arcidiocesi di Genova e i vescovi italiani lo elessero vicepresidente della Cei per il Nord, incarico quest’ultimo che Tettamanzi ricoprì per cinque anni. Nel 1998 diventò cardinale e nel 2002 fece il suo ingresso a Milano come nuovo arcivescovo. Nel 2008, mentre anche in Italia si sentivano forti le conseguenze della crisi economica, costituì il Fondo famiglia-lavoro per aiutare i disoccupati. “Come avvio di questo fondo, – annunciò lui stesso durante la messa della mezzanotte di Natale – attingendo dall’otto per mille destinato per opere di carità, dalle offerte pervenute in questi giorni per la carità dell’arcivescovo, da scelte di sobrietà della diocesi e mie personali metto a disposizione la cifra iniziale di un milione di euro”. In soli tre anni il Fondo raccolse 12 milioni e mezzo di euro.

Nel 2009 il cardinale finì nel mirino de La Padania che lo attaccò ripetutamente dopo che egli aveva criticato l’allora sindaco di Milano, Letizia Moratti, per la campagna di sgombero contro i rom e aveva chiesto a politici e cittadini lombardi di riscoprire il “solidarismo ambrosiano”. “È un vescovo o un imam?”, si domandò il quotidiano leghista. L’allora ministro Roberto Calderoli incalzò in modo ancora più pesante: “La grande capacità della Chiesa territoriale dovrebbe essere la vicinanza con il territorio. Tettamanzi con il suo territorio non c’entra proprio nulla. Sarebbe come mettere un prete mafioso in Sicilia”. Calderoli lo definì anche “uno degli ultimi baluardi del cattocomunismo” e un “paladino delle moschee”.

Nel centrodestra, però, non tutti furono d’accordo con gli attacchi leghisti. Beppe Pisanu replicò duramente a Calderoli: “A Tettamanzi si è voluta impartire una lezione di pastorale cristiana da parte di un esperto di matrimoni celtici”. Il porporato affrontò serenamente le polemiche mentre, avendo compiuto 75 anni, l’età canonica della pensione, consegnò a Benedetto XVI le sue dimissioni. Ratzinger le respinse e lo prorogò alla guida dell’arcidiocesi di Milano per altri due anni. Al termine del suo mandato, l’allora sindaco del capoluogo lombardo, Giuliano Pisapia, gli conferì l’Ambrogino d’oro. Ma anche questa volta le polemiche leghiste furono roventi con Matteo Salvini che abbandonò l’aula del Consiglio comunale al momento della decisione del conferimento della prestigiosa onorificenza.

Fu proprio Tettamanzi a scegliere come suo diretto collaboratore monsignor Mario Delpini, nominato recentemente da Bergoglio nuovo arcivescovo ambrosiano dopo i sei anni di episcopato del cardinale Angelo Scola. Nel 2006 gli affidò l’incarico di vicario episcopale di Melegnano e l’anno successivo lo ordinò vescovo ausiliare di Milano a seguito della nomina firmata da Benedetto XVI. Abbastanza rovente fu, invece, lo scontro con l’allora Segretario di Stato di Ratzinger, il cardinale Bertone, che gli chiese invano di dimettersi dall’incarico di presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo, all’epoca ancora “cassaforte” dell’Università Cattolica. Tettamanzi non si fece intimorire dal porporato salesiano, che disse di agire in nome del Papa tedesco e che al suo posto avrebbe voluto nominare Giovanni Maria Flick, e scrisse direttamente a Benedetto XVI che clamorosamente smentì Bertone e annullò il provvedimento.

Nel 2011 il sereno passaggio di consegne con Scola che, proprio come il suo diretto predecessore, arrivò nel capoluogo ambrosiano già cardinale. Il suo “testamento” all’arcidiocesi non fece sconti: “Gli anni della cosiddetta Tangentopoli pare che qui non abbiano insegnato nulla, visto che purtroppo la questione morale è sempre d’attualità. Ogni giorno, leggendo i giornali, si è portati a pensare che si stia sprofondando sempre più in basso. L’immoralità è dilagante, a tutti i livelli della società, e pare che al peggio non ci sia più limite, che la catastrofe sia alle porte. Molti sono corrotti, ma non mancano gli amministratori onesti. Penso ai tanti sindaci, amministratori locali, consiglieri provinciali o regionali, parlamentari che incontro e che mi testimoniano la loro passione per il bene comune, quasi consumati dalla voglia sincera di servire e migliorare il proprio comune, il territorio, il Paese”.

Monumentale è la lettera pastorale che Tettamanzi scrisse agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione dal titolo “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito”. Una mano tesa a coloro che nella Chiesa cattolica erano sempre stati considerati “irregolari”, preludio delle aperture ai divorziati risposati che, alcuni anni dopo, farà Papa Francesco. Gli ultimi anni il porporato li trascorre a Triuggio continuando a far sentire la sua voce pacata ma ferma sui temi della morale cristiana. Suo è il celebre Dizionario di bioetica, un testo di studio fondamentale per comprendere la dottrina cattolica sui temi dell’accanimento terapeutico, della biotecnologia, della clonazione, del dna, dell’aborto e dell’eutanasia. L’ultima apparizione pubblica risale al 25 marzo 2017 quando, già abbastanza provato dalla malattia e costretto sulla sedia a rotelle, nel duomo di Milano, salutò Papa Francesco in visita pastorale all’arcidiocesi ambrosiana.

Twitter: @FrancescoGrana

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