“Se andremo al governo gli faccio levare la scorta a Saviano…”, così Matteo Salvini ha pensato di concludere lo scambio polemico tra lui e lo scrittore sul tema dei migranti e del ruolo delle organizzazioni non governative. Parole simili non possono e non devono essere tollerate da chiunque creda ancora nello stato di diritto e nella necessità di una lotta senza quartiere contro mafie, camorre e malaffare.

Salvini ha tutto il diritto di polemizzare, anche aspramente contro Roberto Saviano, ma non può e non deve sfiorare il tema della scorta. Quella scorta non è stata invocata dallo scrittore napoletano, ma gli è stata imposta perché ritenuto, dai magistrati, dalla polizia, dalle istituzioni “soggetto ad alto rischio”.

Lui come decine di altri giudici, agenti, amministratori, cronisti, è costretto ad una “vita blindata” per aver infastidito le mafie, per aver “illuminato” i territori occupati dal malaffare e dalla corruzione. La sola minaccia di “levare la scorta” rischia di essere percepita come una strizzata d’occhio a quei mondi criminali che non hanno bisogno di molte parole per capire al volo eventuali segnali e disponibilità.

Avvertimento di questa natura avrebbero bisogno di una risposta immediata, rigorosa, capace di andare oltre ogni logica di appartenenza o di schieramento. Così non sarà perché molti, troppi, sono più impegnati a “combattere” i profughi che non a contrastare mafie, mafiosi e i loro protettori.

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