Inutile. Non si passa.
Non ha senso insistere. Non si passa.
Sono mesi che provo a rientrare in Siria. Ho tentato tutte le strade. Tutte. Tutti i contrabbandieri, tutti i comandanti che conosco. Tutti gli attivisti. Niente. Un paio di volte è stata anche questione di sfortuna. Veramente molta sfortuna. Ma in fondo, fa parte del mestiere. E ora, è l’ultima cosa che vorrei, l’ultima – ma non mi resta che andare via.
Non ha senso insistere.
Non si passa.
Però no. Non è come immaginate: il problema non sono i jihadisti. I sequestri. No. Quel momento, per fortuna, è finito. La Siria, ovviamente, resta il regno di bande criminali di ogni tipo, ma adesso il rischio sequestri è lo stesso, più o meno, di un paese come la Libia. Come lo Yemen. Il problema non sono i jihadisti: è il confine. Il problema è la Turchia. Dopo i vari attentati dell’Isis, la Turchia ha intensificato i controlli, e ha modificato le norme sull’attraversamento, che sono diverse per gli operatori delle ong, per i rifugiati. E per i giornalisti. Per i quali, semplicemente, il confine ora è chiuso. Ed è per questo che non c’è nessuno di noi in Siria. Non per i jihadisti. Ma perché se provi ad attraversare illegalmente la frontiera, la polizia spara. Spara davvero.
E so solo che se questa fosse Gaza, invece che la Siria, se fosse Israele a fermarci, come nel 2008, come durante Piombo Fuso, saremmo tutti qui a protestare.
Ma è solo la Siria.
E la Siria ha regole tutte sue.
Per la Siria abbiamo un altro metro, un’altra logica.
Un’altra coscienza.
Per anni, per 5 anni e 500mila morti, siamo rimasti indifferenti, ci siamo chiesti: Aleppo? Cos’è Aleppo? – come se la guerra, qui, non esistesse. E ora, semplicemente, abbiamo deciso che è finita. Che è in vigore un cessate il fuoco, che sono state definite delle aree di cosiddetta de-escalation: e quindi è tutto tranquillo. E non importa che in Siria si continui a bombardare. Che dal cessate il fuoco siano esclusi non meglio precisati “terroristi“, e cioè, fondamentalmente, chiunque non si sia arreso. Non importa che queste tregue non siano, in realtà, che uno strumento della strategia di Assad, che infatti, ancora vieta l’accesso agli aiuti umanitari, non importa che il modello sia il famoso Accordo delle 4 Città, siglato a fine marzo – quando combattenti e attivisti di Madaya e Zabadani, due città sunnite vicino Damasco, hanno accettato di trasferirsi a Idlib, mentre quelli di Fuaa e Kafraya, due città sciite vicino Idlib, hanno accettato di trasferirsi a Damasco: non importa che più che tregue, siano scambi di popolazione. Che attraverso questa serie di cessate il fuoco a livello locale, Assad stia solo concentrando tutti i suoi oppositori a Idlib. In cui al-Qaeda, poi, che ora si chiama Ha’yat Tahrir al-Sham, giusto per aiutarlo, in questi giorni sta attaccando tutte le milizie non jihadiste: in modo che quando Assad, tra un po’, con calma, finito di riunire tutti lì, spazzerà via Idlib come ha spazzato via Aleppo, il mondo non avrà niente da dire. Perché tanto, no?, a Idlib erano tutti terroristi.
Anche se sono mesi che i siriani, a Idlib, protestano contro al-Qaeda.
Ed è la ragione per cui sono mesi, appunto, che sto cercando in ogni modo di andarci.
Ma è inutile. Non si passa.
L’informazione è un diritto, è un mio diritto entrare in Siria: e soprattutto, è un vostro diritto che io entri. Perché oggi l’opinione pubblica ha un ruolo essenziale, in ogni guerra. In ogni guerra siamo nostro malgrado, noi e voi, parte delle equazioni di chi materialmente combatte, non siamo neutrali: mai. E le limitazioni all’accesso, che sono sempre esistite, ma che non per questo sono normali, non per questo dovrebbero essere accettate, sono un po’ come gli assiomi di un teorema: sono le premesse da cui deriva il nostro lavoro. Che plasmano il nostro lavoro. Perché condizionano quello che possiamo vedere, il modo in cui possiamo vederlo – altrimenti, no?, pensate che non entriamo in Siria perché i siriani ci sequestrano. Perché sono tutti terroristi.
Ma nessuno dice niente, qui. Nessuno protesta.
Anche se se fosse Gaza, staremmo tutti a sbraitare contro Israele.
E invece è solo la Siria.
E quindi sono mesi che gli altri giornalisti mi chiedono: ma dove diavolo sei?
Ecco. Ero qui. Dove siete voi, piuttosto.