È la pedofilia il nodo cruciale del pontificato di Papa Francesco. Da un lato i tanti mea culpa accompagnati da gesti forti come quello di celebrare la messa con alcune vittime degli abusi. Dall’altro la forte opposizione, soprattutto all’interno della Curia romana, nella politica di tolleranza zero. Emblematiche in questa direzione sono state prima le dimissioni delle due vittime degli abusi, Peter Saunders e Marie Collins, dalla Pontificia Commissione per la tutela dei minori istituita proprio da Bergoglio. E poi il processo al cardinale australiano George Pell, prefetto della Segreteria per l’economia, accusato nel suo Paese da una commissione d’inchiesta nazionale di aver stuprato alcuni bambini oltre ad aver coperto decine e decine di sacerdoti pedofili quando era arcivescovo di Melbourne.
Infine, il licenziamento del cardinale Gerhard Ludwig Müller dal ruolo di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il dicastero vaticano che si occupa anche dei processi a preti e vescovi pedofili. Proprio Müller, mandato da Bergoglio in pensione a 69 anni e mezzo, ben cinque anni prima rispetto all’età canonica delle dimissioni, era stato indicato dalla Collins come il principale oppositore all’opera di contrasto della pedofilia messa in atto dalla Pontificia Commissione per la tutela dei minori.
La pubblicazione anche in Germania – in Italia era uscito nel febbraio 2017 – del volume di una vittima di abusi, Daniel Pittet, ha riacceso il dibattito su quanto concretamente siano state efficaci le riforme contro la pedofilia messe in atto da Francesco. È proprio il Papa latinoamericano a firmare la prefazione del volume intitolato La perdono, Padre, in Italia edito da Piemme, nel quale l’autore, uno svizzero oggi 57enne, racconta di essere stato vittima degli abusi di un frate cappuccino da quando aveva 9 anni fino al compimento dei 13.
Le parole di Francesco, che condanna la pedofilia come “un’assoluta mostruosità”, fanno eco ai tanti anatemi di quella che più volte Bergoglio ha definito una vera e propria “messa nera”. Eppure dopo oltre quatto anni di pontificato è indubbio che la lotta agli abusi attraversa ora una fase di ripartenza, soprattutto dopo la rimozione di Müller dalla guida dell’ex Sant’Uffizio. Al Papa e al cardinale di Boston, il cappuccino Sean Patrick O’Malley, era sembrata un’ottima idea nominare all’interno della Pontificia Commissione per la tutela dei minori due vittime di abusi. Ma era anche abbastanza prevedibile che sia Saunders che la Collins non avrebbero mai accettato di fare le comparse in un’operazione maquillage.
Le loro critiche, al momento di rassegnare le dimissioni, sono state chiare contro le resistenze attuate dalla Curia romana anche sotto il pontificato riformatore di Francesco. Entrambi hanno evidenziato le intenzioni sincere di Bergoglio nella lotta alla pedofilia, pur sottolineando però, con enorme amarezza, che ancora oggi le vittime degli abusi che scrivono in Vaticano non ricevono risposta e non vengono credute. L’atteggiamento, ancora abbastanza radicato, soprattutto nell’episcopato cattolico, è quello di considerare queste lettere delle calunnie contro i preti e cercare di mettere tutto sotto silenzio procedendo, se il clamore tende ad aumentare, a spostare i sacerdoti accusati da una parrocchia all’altra.
Un sistema che è andato avanti per decenni e che ha coperto migliaia di abusi in tutto il mondo. Scandalosi, solo per fare alcuni esempi più eclatanti, sono stati gli episodi emersi nell’arcidiocesi di Boston con san Giovanni Paolo II che fu costretto a rimuovere l’allora arcivescovo, il cardinale Bernard Francis Law, trasferito a Roma senza subire alcuna punizione. Così come la piaga della pedofilia deflagrata in modo impressionante in Irlanda tanto da costringere Benedetto XVI a scrivere una lettera di scuse ai cattolici del Paese.
E ancora la doppia vita, definita “immorale” proprio dal Papa tedesco, di padre Marcial Maciel Degollado, il fondatore dei Legionari di Cristo, la congregazione religiosa che ancora oggi vanta il maggior numero di vocazioni nel mondo. Ma anche la vicenda dell’ex nunzio Jozef Wesolowski, morto in Vaticano mentre era sotto processo penale per pedofilia e pedopornografia, ed era stato già ridotto da Francesco allo stato laicale dopo due condanne canoniche.
Infine, l’ultimo scandalo emerso recentemente con la scoperta che, nell’arco di oltre 40 anni, 547 bambini del Regensburger Domspatzen, il coro del Duomo di Ratisbona, hanno subito violenze fisiche e 67 di loro anche abusi sessuali. Una vicenda che ha coinvolto anche il fratello maggiore di Benedetto XVI, monsignor Georg Ratzinger, oggi 93enne, che di quel coro è stato direttore per 30 anni. Anche se il presule ha sempre dichiarato di non essere mai stato a conoscenza degli abusi sessuali, ammettendo invece di aver ricevuto confidenze dai bambini su alcune violenze fisiche subite dal rettore e da altri educatori del Convitto dove alloggiavano e di aver dato anche lui qualche scappellotto.
Tutte vicende che interrogano su quale siano i risultati concreti della lotta alla pedofilia nella Chiesa cattolica. Il 26 luglio 2017 il cardinale Pell si è presentato davanti ai magistrati australiani che lo accusano e, in un’udienza durata in totale 6 minuti, ha ribadito, come era del resto prevedibile, la sua totale innocenza. Il processo continuerà ed è immaginabile che subito dopo l’estate sarà emessa la sentenza. Nel frattempo Francesco ha “congedato” il porporato dal suo incarico nella Curia romana in attesa di conoscere cosa decideranno i magistrati australiani. Mai prima d’ora un cardinale era stato accusato di aver commesso in prima persona abusi sessuali su minori.
In Vaticano c’è chi da tempo aveva considerato a dir poco inopportuna, se non addirittura sbagliata, la scelta di Francesco, fatta appena un mese dopo la sua elezione, di nominare Pell nel Consiglio di cardinali, composto da 9 membri, che lo aiutano nel governo della Chiesa e nella riforma della Curia romana. Una vera e propria bomba a orologeria dalla quale si era salvato in calcio d’angolo perfino Benedetto XVI che, nel 2010, aveva pensato proprio al porporato australiano per il ruolo delicatissimo di prefetto della Congregazione per i vescovi.
Bergoglio, però, ha deciso diversamente affidando proprio a Pell la regia delle riforme economiche della Santa Sede. La speranza è che il processo al porporato, che è già in età da pensione avendo compiuto 76 anni, e il licenziamento di Müller consentiranno ora al Papa, liberato di questi pesanti e ingombranti fardelli, di far ripartire con maggiore incisività il contrasto della pedofilia. Non è in gioco solo la credibilità del suo pontificato, ma dell’intera Chiesa cattolica.