L’ultimo contentino arriva dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che propone uno “sconto” sui requisiti contributivi per le donne con figli che intendono accedere all’Ape social, l’anticipo pensionistico riconosciuto ad alcune categorie svantaggiate. “Bisogna evitare scorciatoie per affrontare il problema di fondo, la mancanza di potere contrattuale delle donne. Il problema è nel mercato del lavoro, più che nel sistema pensionistico”, ha commentato il presidente Inps Tito Boeri mettendo il dito nella piaga. Ovvero: oltre alle risorse economiche a mancare è una visione d’insieme. Una programmazione che renda strutturali le misure a sostegno della natalità e delle madri lavoratrici. Un anno fa, l’ex ministro della Famiglia Enrico Costa aveva annunciato la presentazione di un “piano organico”, con tanto di testo unico ad hoc. Ma il piano è rimasto invisibile. E nella legge di Bilancio sono stati inseriti solo interventi temporanei come il bonus ‘Mamma domani’ (riservato a chi ha un bimbo nel corso del 2017) e quello per l’asilo nido. Così la proposta di Poletti suona come l’ennesima toppa. “Non credo sia giusto che la riduzione dei requisiti sia applicata solo alle donne che accedono all’Ape social”, spiega a ilfattoquotidiano.it la sociologa Chiara Saraceno. Al contrario “occorre affrontare in modo più sistematico la politica di sostegno a chi si assume l’impegno di portare avanti una famiglia”. Un esempio è il buono asilo. “Gli asili nido bisogna prima trovarli”, dice la sociologa. Altro che “mille asili in mille giorni”, promessa che l’ex premier Matteo Renzi fece nel 2014 con accanto l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio che annunciava: “Vogliamo fare una misura molto forte”.
LA PROPOSTA DI POLETTI – Discutendo con i sindacati sulla ‘fase 2’ della riforma previdenziale, Poletti ha messo sul piatto uno ‘sconto’ di sei mesi per ciascun figlio (per un massimo di 2 anni), riconoscendo dunque il lavoro di cura ai fini previdenziali. Per l’accesso all’Ape social, una volta compiuti i 63 anni di età, a una donna con 4 figli basterebbero così “solo” 28 anni di contributi invece che 30 (o 34 invece di 36 per chi ha svolto lavori gravosi). La proposta parte dalla constatazione che tra i 66mila lavoratori che hanno chiesto l’anticipo pensionistico riservato alle categorie svantaggiate e pagato dallo Stato solo il 29% è rappresentato da donne. Proprio perché per loro è più difficile raggiungere gli anni di contributi richiesti. L’obiettivo del governo è quello di arrivare al 40%. Si tratta di 4mila lavoratrici in più secondo le stime di Cgil, Cisl e Uil, che ritengono però la proposta insufficiente a bilanciare lo squilibrio delle domande tra uomini e donne e, soprattutto, a sostenere le madri penalizzate dal mercato del lavoro e dall’assenza di politiche per la famiglia che vadano oltre i bonus spot.
BOERI: “RISCHIO CHE IL DATORE DI LAVORO APPROFITTI PER MANDARLE VIA” – “Questo ‘sconto’ riguarda una platea troppo limitata – spiega a ilfattoquotidiano.it Chiara Saraceno – ed è una scelta consapevole dato che le risorse sono scarse. La verità è che su questioni così importanti si investono troppo pochi soldi”. Secondo la sociologa “anche se è positivo che si riconosca che una donna che ha avuto figli ha svolto in sostanza due lavori, di cui solo uno retribuito, non è giusto ridurre i requisiti solo alle lavoratrici che accedono all’Ape social. Dovrebbero essere incluse tutte le mamme e, in situazioni particolari, i padri”. D’altro canto il peccato originale è rappresentato dalla mancanza di una politica che riconosca il lavoro di cura verso i figli “così come avviene in altri Paesi all’estero – aggiunge la sociologa – mentre a queste persone bisogna dare i contributi”. Lo ha sottolineato anche il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli: “Credo vada riconosciuto il lavoro di cura nel caso, ad esempio, della presenza in famiglia di una persona disabile e che si debba tenere conto dei figli avuti”. Boeri ha anche avvertito che in questo modo si espongono “le donne madri al rischio di essere mandate via dal datore di lavoro per ridurre la forza lavoro, obbligandole ad andare in pensione con una pensione più bassa per il resto della vita”. E “il secondo problema è quello di introdurre una discriminazione tra le donne che hanno figli e quelle che magari hanno preferito concentrarsi sulla carriera”.
IL SISTEMA DI SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA CHE NON C’È – A questi limiti si aggiunge la mancanza di una misura più ampia. Gli interventi arrivano a frammenti “che non fanno sistema – commenta la sociologa – e che rischiano di essere inutili”. Si va dal bonus di 80 euro mensili per ogni bimbo (960 euro all’anno per tre anni) alle famiglie con un reddito inferiore ai 25mila euro, fino a ‘Mamma domani’. E poi quello per gli asili nido. È ciò che è rimasto (ed è finito nella legge di Stabilità) del piano annunciato giusto un anno fa dall’ex ministro Enrico Costa. Ma nel Documento di economia e finanza era stata inserita la previsione di un Testo unico della famiglia. Obiettivo dichiarato: il riordino della materia e una semplificazione delle norme. Ad oggi non c’è nulla di tutto ciò. “Nessuno dice di fare tutto insieme – aggiunge la sociologa – ma è necessario disegnare un percorso e fare passi coerenti tra di loro”. È in discussione al Senato un disegno di legge delega che prevede l’assegno universale per i figli a carico, ma è stato proprio Stefano Lepri, il senatore dem che dà il nome al testo, quest’estate, a frenare gli entusiasmi spiegando che è difficile recuperare i 2 miliardi che servirebbero per avviare il suo ddl.
I 229 MILIONI PER GLI ASILI? BLOCCATI -In questo quadro, commenta Saraceno, “che senso ha dare un bonus per gli asili se le mamme hanno grandi difficoltà a trovarli, gli asili? Molto meglio investire per aumentare il numero dei nidi e lavorare sulle tariffe”. Mica facile. “Proprio giorni fa – aggiunge la sociologa – ho scoperto che i 229 milioni previsti dal decreto legislativo sul ‘sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni’ del gennaio 2017 e stanziati per i nidi sono bloccati”. La competenza è delle Regioni e non del ministro dell’Istruzione “quindi bisogna passare dalla conferenza Stato-Regioni e, ad oggi, non si è deciso né come distribuirli né come spenderli”. Non si tratta di un problema di secondaria importanza se, secondo i dati Istat, sui 13.459 asili nido esistenti in Italia il 35% è pubblico e il 65% privato per un totale di 360.314 posti disponibili (163mila nei pubblici). Solo il 12% dei bambini fino a 2 anni usufruisce del nido pubblico. Un bambino su cinque resta in attesa, gli altri devono per forza andare in un asilo privato. Le liste di attesa però sono lunghe e le rette alte: in media 300 euro al mese con picchi di 440, e nei privati si sale oltre i 500. Così sono sempre di più le famiglie che rinunciano.
Economia
Welfare, il contentino di Poletti alle madri che chiedono l’Ape social. Mentre manca un piano di sostegno alla famiglia
Il ministro propone uno sconto di sei mesi sui requisiti contributivi per accedere alla pensione anticipata riservata alle categorie svantaggiate. Boeri: "Scorciatoia". La sociologa Chiara Saraceno: "Non servono interventi spot ma una politica sistematica che aiuti le madri che lavorano. Che senso ha dare il bonus asilo se poi il posto in asilo non si trova? Ho scoperto che 229 milioni stanziati per i nidi sono bloccati"
L’ultimo contentino arriva dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che propone uno “sconto” sui requisiti contributivi per le donne con figli che intendono accedere all’Ape social, l’anticipo pensionistico riconosciuto ad alcune categorie svantaggiate. “Bisogna evitare scorciatoie per affrontare il problema di fondo, la mancanza di potere contrattuale delle donne. Il problema è nel mercato del lavoro, più che nel sistema pensionistico”, ha commentato il presidente Inps Tito Boeri mettendo il dito nella piaga. Ovvero: oltre alle risorse economiche a mancare è una visione d’insieme. Una programmazione che renda strutturali le misure a sostegno della natalità e delle madri lavoratrici. Un anno fa, l’ex ministro della Famiglia Enrico Costa aveva annunciato la presentazione di un “piano organico”, con tanto di testo unico ad hoc. Ma il piano è rimasto invisibile. E nella legge di Bilancio sono stati inseriti solo interventi temporanei come il bonus ‘Mamma domani’ (riservato a chi ha un bimbo nel corso del 2017) e quello per l’asilo nido. Così la proposta di Poletti suona come l’ennesima toppa. “Non credo sia giusto che la riduzione dei requisiti sia applicata solo alle donne che accedono all’Ape social”, spiega a ilfattoquotidiano.it la sociologa Chiara Saraceno. Al contrario “occorre affrontare in modo più sistematico la politica di sostegno a chi si assume l’impegno di portare avanti una famiglia”. Un esempio è il buono asilo. “Gli asili nido bisogna prima trovarli”, dice la sociologa. Altro che “mille asili in mille giorni”, promessa che l’ex premier Matteo Renzi fece nel 2014 con accanto l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio che annunciava: “Vogliamo fare una misura molto forte”.
LA PROPOSTA DI POLETTI – Discutendo con i sindacati sulla ‘fase 2’ della riforma previdenziale, Poletti ha messo sul piatto uno ‘sconto’ di sei mesi per ciascun figlio (per un massimo di 2 anni), riconoscendo dunque il lavoro di cura ai fini previdenziali. Per l’accesso all’Ape social, una volta compiuti i 63 anni di età, a una donna con 4 figli basterebbero così “solo” 28 anni di contributi invece che 30 (o 34 invece di 36 per chi ha svolto lavori gravosi). La proposta parte dalla constatazione che tra i 66mila lavoratori che hanno chiesto l’anticipo pensionistico riservato alle categorie svantaggiate e pagato dallo Stato solo il 29% è rappresentato da donne. Proprio perché per loro è più difficile raggiungere gli anni di contributi richiesti. L’obiettivo del governo è quello di arrivare al 40%. Si tratta di 4mila lavoratrici in più secondo le stime di Cgil, Cisl e Uil, che ritengono però la proposta insufficiente a bilanciare lo squilibrio delle domande tra uomini e donne e, soprattutto, a sostenere le madri penalizzate dal mercato del lavoro e dall’assenza di politiche per la famiglia che vadano oltre i bonus spot.
BOERI: “RISCHIO CHE IL DATORE DI LAVORO APPROFITTI PER MANDARLE VIA” – “Questo ‘sconto’ riguarda una platea troppo limitata – spiega a ilfattoquotidiano.it Chiara Saraceno – ed è una scelta consapevole dato che le risorse sono scarse. La verità è che su questioni così importanti si investono troppo pochi soldi”. Secondo la sociologa “anche se è positivo che si riconosca che una donna che ha avuto figli ha svolto in sostanza due lavori, di cui solo uno retribuito, non è giusto ridurre i requisiti solo alle lavoratrici che accedono all’Ape social. Dovrebbero essere incluse tutte le mamme e, in situazioni particolari, i padri”. D’altro canto il peccato originale è rappresentato dalla mancanza di una politica che riconosca il lavoro di cura verso i figli “così come avviene in altri Paesi all’estero – aggiunge la sociologa – mentre a queste persone bisogna dare i contributi”. Lo ha sottolineato anche il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli: “Credo vada riconosciuto il lavoro di cura nel caso, ad esempio, della presenza in famiglia di una persona disabile e che si debba tenere conto dei figli avuti”. Boeri ha anche avvertito che in questo modo si espongono “le donne madri al rischio di essere mandate via dal datore di lavoro per ridurre la forza lavoro, obbligandole ad andare in pensione con una pensione più bassa per il resto della vita”. E “il secondo problema è quello di introdurre una discriminazione tra le donne che hanno figli e quelle che magari hanno preferito concentrarsi sulla carriera”.
IL SISTEMA DI SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA CHE NON C’È – A questi limiti si aggiunge la mancanza di una misura più ampia. Gli interventi arrivano a frammenti “che non fanno sistema – commenta la sociologa – e che rischiano di essere inutili”. Si va dal bonus di 80 euro mensili per ogni bimbo (960 euro all’anno per tre anni) alle famiglie con un reddito inferiore ai 25mila euro, fino a ‘Mamma domani’. E poi quello per gli asili nido. È ciò che è rimasto (ed è finito nella legge di Stabilità) del piano annunciato giusto un anno fa dall’ex ministro Enrico Costa. Ma nel Documento di economia e finanza era stata inserita la previsione di un Testo unico della famiglia. Obiettivo dichiarato: il riordino della materia e una semplificazione delle norme. Ad oggi non c’è nulla di tutto ciò. “Nessuno dice di fare tutto insieme – aggiunge la sociologa – ma è necessario disegnare un percorso e fare passi coerenti tra di loro”. È in discussione al Senato un disegno di legge delega che prevede l’assegno universale per i figli a carico, ma è stato proprio Stefano Lepri, il senatore dem che dà il nome al testo, quest’estate, a frenare gli entusiasmi spiegando che è difficile recuperare i 2 miliardi che servirebbero per avviare il suo ddl.
I 229 MILIONI PER GLI ASILI? BLOCCATI -In questo quadro, commenta Saraceno, “che senso ha dare un bonus per gli asili se le mamme hanno grandi difficoltà a trovarli, gli asili? Molto meglio investire per aumentare il numero dei nidi e lavorare sulle tariffe”. Mica facile. “Proprio giorni fa – aggiunge la sociologa – ho scoperto che i 229 milioni previsti dal decreto legislativo sul ‘sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni’ del gennaio 2017 e stanziati per i nidi sono bloccati”. La competenza è delle Regioni e non del ministro dell’Istruzione “quindi bisogna passare dalla conferenza Stato-Regioni e, ad oggi, non si è deciso né come distribuirli né come spenderli”. Non si tratta di un problema di secondaria importanza se, secondo i dati Istat, sui 13.459 asili nido esistenti in Italia il 35% è pubblico e il 65% privato per un totale di 360.314 posti disponibili (163mila nei pubblici). Solo il 12% dei bambini fino a 2 anni usufruisce del nido pubblico. Un bambino su cinque resta in attesa, gli altri devono per forza andare in un asilo privato. Le liste di attesa però sono lunghe e le rette alte: in media 300 euro al mese con picchi di 440, e nei privati si sale oltre i 500. Così sono sempre di più le famiglie che rinunciano.
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Sankt Moritz, 13 mar. -(Adnkronos) - La prima tappa della Coppa delle Alpi by 1000 Miglia 2025, partita da Brescia alle 9:00 di stamattina, è in conclusione. La classifica aggiornata alla Prova di Media sul Passo Eira vede Francesco e Giuseppe di Petra in testa a bordo della loro Fiat 508C del 1938, seguiti da Belotti-Plebani sulla Bugatti T 37 A del 1927 e da un’altra 508C ma del 1937, quella di Aliverti-Polini. Conclusa la sosta per il pranzo a Tirano, gli equipaggi hanno iniziato a risalire la Valtellina toccando prima Grosio, con la vista del Castello Vecchio di San Faustino sullo sfondo, e poi Bormio, che ha ospitato un controllo timbro in pieno centro storico. Una volta lasciata alle spalle la cittadina, hanno iniziato a profilarsi i primi scorci imbiancati. Ben presto, gli equipaggi si sono visti immersi in un panorama completamente innevato, reso ancor più bello dalla luce del sole del pomeriggio.
Sul Passo Eira, ad un’altitudine di 2000 metri, si è tenuta la prima Prova di Media della manifestazione, dopodiché il convoglio è giunto a Livigno, che ha accolto i piloti per un coffee break nella Piazza del Comune. Il benvenuto del centro cittadino è stato caloroso, con una folla entusiasta che si è riunita nei pressi dell’arco all’arrivo nella cittadina, partner della Coppa delle Alpi 2025. Costeggiando il lago di Livigno, ghiacciato dalle rigide temperature invernali, gli equipaggi sono entrati in Svizzera passando dal tunnel Munt la Schera. Le vetture sono infine giunte a St. Moritz, primo traguardo di tappa della Coppa delle Alpi 2025.
Lasciandosi alle spalle la Torre Pendente di San Maurizio, hanno effettuato le ultime prove di giornata e, dopo aver costeggiato il lago di St. Moritz, sono finalmente giunte al Controllo Orario finale nella centralissima via Serlas sotto una consistente nevicata.
Verona, 13 mar. - (Adnkronos) - "Abbiamo voluto e portato all’interno di una manifestazione fieristica un progetto di natura sociale, per la prima volta in assoluto, in quanto non era mai accaduto che si dedicasse un intero padiglione alla fiera del sociale. Lo abbiamo fatto per la prima volta in occasione del primo evento di LetExpo, e ora siamo alla quarta edizione. Siamo partiti con tre organizzazioni tra fondazioni e associazioni: Fondazione Grimaldi, la Comunità Lautari e l’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon, con la sua Fondazione. Oggi sono più di 50 organizzazioni, c’è stata una crescita esponenziale. Sono felice di aver condiviso tutte queste annate con il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha condiviso con noi questi momenti”. Lo ha detto Eugenio Grimaldi, executive manager del Gruppo Grimaldi e presidente di Alis per il Sociale alla quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, in programma a Verona fino al 14 marzo. La fiera è promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
“Il ministro Locatelli ha ascoltato le istanze di queste fondazioni e organizzazioni, ci ha invitato a Palazzo Chigi, dove abbiamo avuto modo di parlare delle loro criticità e ascoltandole credo che nei nuovi decreti abbiano potuto portare e sollevare delle linee guida presenti oggi in questi nuovi decreti. Quindi, rappresenta un risultato tangibile che ci dà grande soddisfazione - afferma Grimaldi - Ho avuto la percezione anche di una crescita per i prossimi anni e questo dà sicuramente grande soddisfazione e ancora più voglia di lavorare”.
“E’ stato un momento di grande soddisfazione aver avuto momenti di condivisione con i gruppi del ministero della Difesa, come l’esercizio, che hanno partecipato in senso attivo non solo nel padiglione, dove c'è l'organizzazione del Ministero della Difesa, ma si sono avvicinati al padiglione 1, dedicato al sociale - spiega - Già abbiamo condiviso che l'anno prossimo avremo una partecipazione anche all’interno dell’organizzazione da parte loro. Abbiamo avuto anche l'Aeronautica militare, che con la Fanfara ha aperto il padiglione nella giornata inaugurale”. “Voglio ringraziare tutte le imprese, che rappresentano il senso di questo evento e le aziende che hanno già portato a termine alcuni progetti con la Comunità Lautari e con la Fondazione Grimaldi, ma soprattutto che hanno portato a compimento già con la Fondazione Santobono. C'è un senso pratico e tangibile del lavoro espresso in questo padiglione e in questa fiera, che porta sicuramente dei risultati nel terzo settore, dove ci sono i più fragili”, conclude Grimaldi.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Gruppo Webuild ha chiuso il 2024 con risultati record, superando gli impegnativi obiettivi previsti per l’anno grazie a una crescita a doppia cifra, con ricavi pari a 12 miliardi (+20% sul 2023) mentre l'Ebitda ammonta a 967 milioni (+18%, rispetto a una guidance fissata sopra i 900 milioni), corrispondente a un margine del’8,1%. Il gruppo sottolinea come la struttura finanziaria si è rafforzata ulteriormente mantenendo per il quarto anno consecutivo una posizione di cassa netta, che si attesta a 1.445 milioni nel 2024 (ben superiore agli oltre 400 milioni fissati nella guidance) mentre la leva finanziaria si è ridotta a 2,9x, attestandosi ad un livello migliore rispetto ai principali player internazionali di settore.
La crescita - si sottolinea - è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria MilanoGenova e Verona-Padova, Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia (Snowy Hydro 2.0, SSTOM Sydney Metro, Perdaman e North East Link di Melbourne) e in Arabia Saudita (Trojena Dams e Connector South).
Il Gruppo ha continuato a consolidare la propria leadership in Italia e nei principali mercati internazionali, tra cui Europa, Australia, Stati Uniti e Medio Oriente, che nel 2024 hanno contribuito per oltre il 90% ai ricavi, a conferma del proseguimento dell’impegno nella politica di de-risking.
A fine 2024 il portafoglio ordini totale di Weibuld risultava pari a 63,2 miliardi di euro, di cui 54,3 miliardi relativi a construction e 8,9 miliardi riferiti a concessions e operation & maintenance. Il backlog construction - si sottolinea in una nota - "si conferma tra i più alti rispetto ai principali peers europei nel segmento construction". Peraltro, ricorda Webuild, circa il 90% del backlog construction del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. In termini di geografie il portafoglio ordini risulta prevalentemente distribuito tra Italia, paesi dell’Europa Centrale e del Nord, Stati Uniti, Medio Oriente ed Australia - principalmente in segmenti legati alla mobilità sostenibile quali l’alta velocità, il settore ferroviario e il settore stradale - portando i progetti in queste geografie a quasi il 90% del backlog construction.
Alla luce dei risultati record raggiunti nel 2024, ma anche "del consolidato posizionamento in un mercato in forte espansione e della robusta piattaforma costruita nel tempo", Webuild ha rivisto al rialzo i target 2025, definiti nel piano "Roadmap al 2025 – The Future is Now", che già prevedevano obiettivi ambiziosi. La nuova guidance prevede per il 2025 ricavi superiori a 12,5 miliardi (il target precedente era di 10,5-11 miliardi), un Ebitda maggiore di 1,1 miliardi, rispetto ad un precedente target di €990-1.050 milioni, e una solida cassa netta superiore a 700 milioni, rispetto all’indicazione di una cassa netta positiva.
Webuild ha chiuso il 2024 con un utile netto attribuibile ai Soci della Controllante adjusted di 247 milioni di euro contro i 236 milioni del 2023.Il risultato prima delle imposte adjusted si attesta a 434 milioni con un aumento del 10% rispetto all’esercizio precedente mentre le Imposte sul reddito adjusted ammontano a 181 milioni. La Posizione finanziaria netta delle attività continuative al 31 dicembre 2024 era positiva per 1.445 (€1.431 milioni al 31 dicembre 2023), registrando un risultato superiore alle attese. Questo risultato - si sottolinea in una nota - "conferma l’efficacia delle strategie adottate per ottimizzare la gestione del capitale circolante e riflette i successi commerciali conseguiti dal Gruppo anche nel 2024, assumendo ancora maggiore rilevanza alla luce degli investimenti in dotazioni tecniche e beni in leasing (970 milioni) per l’avvio dei grandi progetti in corso".
A fine esercizio l’indebitamento lordo, al netto dell’effetto temporaneo di incremento del debito legato all’operazione di liability management di ottobre 2024, si attesta a 2,765 miliardi (2,609 miliardi nel 2023), con un rapporto Indebitamento lordo/EBITDA di 2,9x, in riduzione rispetto al dato di 3,2x al 31 dicembre 2023. Alla luce dei risultati nell'assemblea che sarà convocata per il 16 aprile sarà proposto un dividendo di 0,081 euro per azione ordinaria (+14%) e di 0,26 euro per ciascuna azione di risparmio.
Napoli, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - In una Campania in crescita, ma ancora segnata dal fenomeno della fuga di talenti, il legame tra formazione universitaria e sviluppo economico diventa cruciale. Se ne è discusso presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli, durante l’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', promosso dalla Luiss e dedicato alle lauree magistrali dell’Ateneo.
“La Luiss lavora in prima linea per costruire corsi di laurea magistrale strettamente legati alle necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma, dedichiamo particolare attenzione alla Campania, seconda regione di provenienza dei nostri studenti e territorio ricco di opportunità nei settori chiave come turismo, agroalimentare e aerospazio. Il nostro obiettivo è collaborare con le imprese campane affinché i nostri studenti possano realizzarsi professionalmente all’interno di esse, raggiungendo posizioni apicali”, ha spiegato Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss e responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’Ateneo.
Durante l’incontro sono state illustrate anche le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss: “E' importante farsi guidare dalle proprie passioni e dai propri interessi, ma anche essere pronti a sviluppare nuove competenze trasversali, saper dialogare con l’intelligenza artificiale con solide competenze verticali e lavorare sulle life skills, le cosiddette competenze della vita. Solo così si potranno affrontare le trasformazioni attuali e future. Per noi è fondamentale interagire con tutte le realtà del territorio, da cui traiamo spunto per disegnare un’offerta formativa sempre più aderente alle esigenze del mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è formare studenti altamente preparati, motivati e appassionati, in grado non solo di entrare nel mondo del lavoro, ma di costruire percorsi di carriera soddisfacenti e di successo”.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.