Il Movimento 5 stelle come “un innamorato che pensa cose assurde e commette errori sul suo cammino”. L’Italia Paese di gente “costretta a guardarsi le spalle da uno Stato che non protegge”. Poi gli imprenditori che “fanno crescere il Pil nonostante le scelte di Roma” e i pensionati vittime della legge Fornero che danneggia anche i giovani. Il manifesto di Luigi Di Maio, quello raccontato a braccio davanti alla folla di Italia 5 stelle a Rimini, ha l’ambizione quasi impossibile di arrivare dappertutto: tranquillizzare l’Italia delle istituzioni e dei meno giovani, ma anche aggrapparsi all’anima anticasta e movimentista dei grillini delle origini. Così il nuovo capo politico del Movimento ha messo tra le priorità i diritti, quelli difesi dalla Costituzione, ma soprattutto il recall per i politici che cambiano casacca e il limite del doppio mandato, che, sia chiaro una volta per tutte, “non è in discussione”. Non è in discussione nemmeno la linea del Movimento, perché, ha detto Di Maio cercando di calmare le ansie dei suoi colleghi, “io so che devo portare avanti il programma”. C’è stata pure la necessaria ammissione di colpe passate: “Faremo tesoro degli errori commessi in questi anni”, ha detto. Infine un riferimento alla corsa per il “governo della riscossa”: la squadra sarà presentata prima del voto per evitare i fantasmi del passato, vedi il caso drammatico della giunta Raggi a Roma, e con un occhio al dopo. “Il giorno dopo le elezioni dovremo parlare anche con quelli che non ci hanno votato“. Parole che da sole significano poco, ma che aprono scenari nuovi e impensabili fino a oggi per il Movimento nel caso in cui si trovassero senza una maggioranza. Di Maio studia da leader da almeno cinque anni, a voler stare corti, e come da copione non si è fatto trovare impreparato per uno dei giorni più importanti della sua carriera. “Chi è che mi disturba con la voce nel microfono? Ah è Beppe”, ha detto scherzando a metà del suo intervento. Hanno riso in pochi di fronte a quello strano duo che da oggi potrebbe rischiare di pestarsi i piedi. “Ora torno a fare il pensionato“, gli ha risposto Grillo salvo subito rettificare: “Io ci sarò sempre”. Anche se il comico non va da nessuna parte, ora è venuto il momento di vedere la vera stoffa del leder che il Movimento si coccola e cura da anni.
Di Maio ha iniziato parlando del “se il M5s non fosse entrato in Parlamento”. “Noi siamo stati argine all’astensione, abbiamo coinvolto e messo insieme le energie per un progetto che unisce le persone di buon senso”. Gli uomini ragionevoli di cui sempre parlava Gianroberto Casaleggio e che non si schierano con i partiti: “Noi non siamo né di destra né di sinistra, noi portiamo avanti le buone idee. Non siamo chiamati a cambiare una forza politica, noi siamo chiamati a cambiare il Paese. Io so che porto avanti il programma“.
Dei cinque anni nelle istituzioni Di Maio porta anche i segni delle cose che non hanno funzionato, quelle stesse che ora vengono imputate al Movimento come gravi segni di incapacità a governare. “Noi siamo innamorati di questo Paese”, ha detto. “Quando sei innamorato l’amore ti fa fare cose assurde come pensare che possiamo diventare la prima forza politica del Paese. Oppure ti fa fare qualche errore. Noi faremo tesoro di tutti quelli fatti in questi anni. Non dobbiamo vergognarci del nostro percorso. Siamo il Movimento 5 stelle, siamo la prima forza politica del Paese che è nata dal nulla”. Quella stessa che, secondo il deputato, “è stata descritta per quello che non è”: “Ci hanno detto fascisti, populisti. Nell’ultimo periodo siamo diventati il male dell’Italia, come se tutti i problemi fossero da addebitare al Movimento 5 stelle”.
Il passato però non è niente in confronto a quello che succederà da ora, con la campagna elettorale più difficile mai affrontata. Tanto che la prima battaglia si chiama legge elettorale, ovvero la nuova bozza che si sta discutendo in Parlamento. “Stanno scrivendo una legge”, ha detto il neo-leader, “per fare in modo che la prima forza politica del Paese diventi l’ultima. E’ la legge Rosatellum bis e vede tutte le forze schierate per arginare il Movimento 5 stelle. Noi metteremo tutte le forze che abbiamo per fermare questa legge antidemocratica“. Anche se, sistema di voto favorevole o meno, la vera sfida è riuscire a convincere gli elettori con la propria idea di futuro. “Questo Paese”, ha continuato Di Maio, “nei prossimi sei mesi si gioca tanto, perché deve decidere se continuare a sopravvivere o iniziare a vivere. Anche chi se la passa bene, vive in uno stato perenne di guardia. Non siamo un popolo sereno. Vivere significa cominciare ad avere uno Stato che invece di venirti contro, ti dà una mano e ti dà i diritti che ti spettano. Allora il nostro primo punto del programma riguarda i diritti“. Il candidato premier ha quindi invocato istituzioni più vicine ai cittadini: “E se invece di avere uno Stato lontano iniziamo ad avere uno Stato vicino, allora inizia a proteggerti e tu inizi ad avere più fiducia”. Di Maio ha promesso che, contro la burocrazia, il governo 5 stelle non produrrà nuove leggi: “Lo Stato vicino non è solo uno stato che fa nuove leggi. E’ prima di tutto uno Stato che dà l’esempio. In questi anni abbiamo capito chiaramente che prima ancora delle leggi viene l’esempio delle istituzioni. Prima si agisce e si porta avanti il proprio mandato con disciplina e onore”.
Il discorso di investitura naturalmente si è concentrato soprattutto sull’indirizzo politico generale senza entrare nel merito delle proposte. Ma tra i settori su cui Di Maio ritiene importante intervenire ha citato: la sanità per tutti, quindi abbassare la spesa e agire sulla prevenzione; le pensioni e quindi la legge Fornero che ha danneggiato anche i giovani; l’ambiente, tema dimenticato per colpa di “maggioranza parlamentari che non vogliono andare contro le industrie”. Ma soprattutto Di Maio ha parlato agli imprenditori, quella fetta di popolazione che ora i grillini sono maggiormente preoccupati di conquistare: “Quando parliamo di politiche giovanili e quando io sento in questo Paese il presidente del Consiglio dei ministri dire che il prodotto industriale sta crescendo, io dico sempre che quei signori a Roma dovrebbero applaudire i nostri imprenditori che operano nonostante la nostra politica economica e non grazie alla politica economica di questi signori a Roma”. Il modello che intende proporre è quello di smart nation: “Ricordiamoci sempre che si sopravvive nonostante le centinaia di leggi che ci piovono addosso ogni giorno. Il nostro governo non vi farà nuove leggi, ma vi lascerà in pace. Ormai si fanno così tante leggi che quando abbiamo un problema non sappiamo neanche più qual è quella che ci dovrebbe aiutare. Dobbiamo rompere il muro della semplificazione”.
Puntare all’esecutivo vuol dire anche essere in grado di radunare le personalità giuste e di qualità prima del voto. “Per me non esistono tecnici, ma persone capaci”, ha detto. “Noi formeremo la squadra di governo prima: così che gli italiani non debbano votare a scatola chiusa. Così come è avvenuto negli ultimi cinque anni”. Senza dimenticare che c’è una grossa incognita sul dopo che si apre, tanto che Di Maio ha scelto di iniziare, molto vagamente, a parlare di dialogo: “Noi non possiamo illuderci di governare questo Paese con le sole persone che ci votano. Il giorno dopo le elezioni noi abbiamo il dovere di andare a parlare con tutti quelli che non ci hanno votato e coinvolgerli nel nostro progetto. Nel governo del Paese e nelle scelte che si dovranno fare”. Che vuol dire un po’ tutto, compresa l’ipotesi di alleanze, ma anche niente. Per bilanciare questo accenno a mediazioni impensabili ancora per i 5 stelle, ha subito ripreso la strada dell’ortodossia delle origini parlando di recall e doppio mandato: “Noi non siamo entrati nelle istituzioni per impadronirci delle istituzioni, ma per restituirvi le chiavi. E per questo serve fare molte cose: ci sono tanti cambi di casacca, voi avete il diritto di indire un referendum per mandarli a casa (recall); c’è la regola dei due mandati che non è in discussione: se sei bravo passi alla storia, se no dopo due mandati torni a casa e ti levi dal groppone. Per introdurle abbiamo bisogno del Movimento 5 stelle alla guida del Paese”.
Quel che è certo è che sarà una lunghissima campagna elettorale per Di Maio, soprattutto perché è iniziata da mesi con o senza investitura ufficiale. E ancora di più perché già a novembre avrà la prima prova: le regionali in Sicilia. “Vi prometto che ce la metterò tutta”, ha chiuso prima di concedersi l’unica citazione di tutto il manifesto: “Olivetti diceva: ‘Il sogno è un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte’. Io ci credo. Viva le persone libere”. Se non la si può chiamare utopia, poco ci manca.