Trump che invita le star dello sport americano alla Casa Bianca e queste che – molto spesso – rifiutano. Lui che risponde ritirando l’invito e sprona i club a cacciare chi non canta l’inno nazionale, come il quarterback di football Kaepernick che rimase seduto per protestare contro le violenze della polizia nei confronti degli afroamericani. Tra il presidente Usa e il mondo dello sport non è esattamente luna di miele.
L’ultimo scontro è con la stella dei Golden State Warriors Stephen Curry. Dopo che la squadra californiana ha vinto il titolo Nba a giugno, Donald Trump li ha invitati alla Casa Bianca, com’è tradizione negli Stati Uniti. L’allenatore dei Warriors – che anche nel 2015 avevano vinto il campionato e avevano accettato l’invito a Washington di Barack Obama – ha spiegato che la squadra si sarebbe riunita per decidere se andare o meno all’incontro, ma Curry ha preannunciato alla stampa che non sarebbe andato all’incontro. “Non siamo d’accordo con quello che il nostro presidente dice. Prendendo una posizione e non andando alla Casa Bianca, speriamo di ispirare un cambiamento per quanto riguarda ciò che accettiamo e ciò su cui chiudiamo un occhio in questo Paese”, ha detto Curry ai media. Il campione dei Warriors non ha mai nascosto di essere un grande fan di Obama, tanto da giocare con un paio di scarpe dedicate all’ex presidente.
La risposta di Trump a Curry è stata secca e immediata: “Andare alla Casa Bianca è un grande onore per le squadre campioni. Stephen Curry esita, l’invito è annullato“. Ma al presidente ha risposto a sua volta, e senza mezzi termini, la star del basket LeBron James. “Andare alla Casa Bianca è stato un onore prima che arrivasse lei“, ha twittato la stella dei Cleveland Cavaliers. “Curry aveva già detto che non sarebbe venuto, quindi non c’è nessun invito da ritirare”.
U bum @StephenCurry30 already said he ain’t going! So therefore ain’t no invite. Going to White House was a great honor until you showed up!
— LeBron James (@KingJames) 23 settembre 2017
Il commissario Nba Adam Silver, però, ha difeso Curry e compagni. “Ritenevo che l’incontro alla Casa Bianca fosse un’opportunità rara per i giocatori di confrontarsi direttamente con il presidente e mi dispiace che questo non avverrà”, ha detto in una nota diffusa dall’Nba. “Ma più che altro sono orgoglioso che i nostri atleti abbiano un ruolo attivo nella comunità e dicano la loro su questioni così importanti”.
Lontani sono i tempi della love story tra la Casa Bianca e il mondo del basket, quando seduto alla scrivania dello Studio ovale c’era Obama. L’ex presidente, grande fan dei Chicago Bulls, ha coinvolto tante stelle della pallacanestro in svariate iniziative e, al momento di dare l’addio alla presidenza, l’ha fatto con una citazione cestistica: “Obama out“, ha detto lasciando cadere il microfono a terra, così come fece il campione Kobe Byrant quando abbandonò la carriera sportiva.
Ma Stephen Curry non è il solo ad aver detto “no” ad un invito di Donald Trump. Già i vincitori dell’ultimo Super Bowl, i New England Patriots, avevano opposto il “gran rifiuto”. La squadra li aveva lasciati liberi di scegliere se partecipare o meno all’incontro con l’allora neo-presidente e molti non si erano presentati, tra cui il campione Tom Brady, che si era giustificato con “motivazioni familiari”.
Lo scontro tra Trump e lo sport, tuttavia, non si limita agli inviti rifiutati. Poche ore prima di scontrarsi con Curry il presidente se l’era presa con i giocatori di football che non cantano l’inno americano. La National Football League dovrebbe cacciarli e i tifosi dovrebbero lasciare gli stadi, ha detto il presidente. Il riferimento è al quarterback Colin Kaepernick, che nell’agosto 2016 era stato il primo a rimanere seduto durante l’esecuzione dell’inno per ribellarsi alle violenze della polizia contro la popolazione afroamericana, e a quelli che l’hanno imitato. Kaepernick si era inginocchiato e molti hanno cominciato a imitarlo. Ieri lo ha fatto anche Stevie Wonder durante un concerto a New York. Ma la Nfl si schiera con gli atleti: “I commenti del presidente sono divisivi e mostrano una totale mancanza di rispetto per i nostri giocatori e per le idee degli altri”, ha commentato il commissario della Lega Roger Goodell.
Paradossalmente è proprio in mezzo a questa bufera sportiva che Melania Trump sta per fare il suo debutto da sola all’estero come madrina dello sport. La first lady è volata in Canada per guidare la delegazione Usa degli Invictus Games, le Paraolimpiadi dei reduci rimasti feriti in guerra, ideate dal principe Harry d’Inghilterra.