Il tribunale della Figc ha deciso. Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, è stato inibito per un anno e dovrà pagare 20mila euro di multa. In sostanza non potrà rappresentare la Juventus negli eventi ufficiali della Federcalcio, ma rimarrà a guidare la sua società. Per certi aspetti, però, questo era per lui un problema minore: Agnelli e la sua difesa hanno sempre negato incontri consapevoli con personaggi vicini al mondo della criminalità organizzata, su cui puntava molto il procuratore federale Giuseppe Pecoraro nel suo atto d’accusa. Su questo aspetto i giudici hanno dato ragione al presidente bianconero: non era consapevole di avere a che fare con un presunto mafioso.
Questo emerge dalla sentenza che condanna anche i manager del club, l’ex direttore commerciale Francesco Calvo e il responsabile della biglietteria Stefano Merulla, inibiti per un anno (anche il primo dovrà pagare 20mila euro), mentre il security manager Alessandro D’Angelo si è preso un anno e tre mesi di inibizione più l’ammenda da 20mila euro. La società, inoltre, dovrà pagare 300mila euro. Il processo sportivo sul “caso biglietti” nasce dagli atti dell’inchiesta “Alto Piemonte” della Direzione distrettuale antimafia di Torino che ha rivelato l’interesse delle cosche della ‘ndrangheta nel bagarinaggio.
Gli investigatori stavano indagando su Saverio e Rocco Dominello, padre e figlio arrestati il 1° luglio 2016 e condannati nel maggio scorso per associazione mafiosa e tentato omicidio. Seguendo i contatti del giovane Dominello, ultras dei “Drughi” e fondatore de “I Gobbi”, e quelli del suo amico Fabio Germani (assolto dall’accusa di concorso esterno), erano emersi i rapporti con D’Angelo e Merulla, ma anche gli interessi e gli screzi tra tifosi per i biglietti.
A inchiesta chiusa, la procura federale della Figc ne ha avviata una propria che ha portato poi al deferimento di Agnelli, D’Angelo, Merulla e Calvo. Il procuratore federale Giuseppe Pecoraro contestava a tutti la violazione delle norme sui contatti con gli ultras, sulla cessione dei biglietti e il sostegno ai gruppi organizzati. Ai primi due, inoltre, contestava “incontri con esponenti della malavita organizzata” per via di alcune frequentazioni con Dominello. Così nella sua requisitoria il 15 settembre scorso, Pecoraro aveva chiesto per il presidente bianconero l’inibizione per un periodo di due anni e mezzo e un’ammenda di 50mila euro.
I giudici hanno accolto in parte la richiesta dell’ex prefetto di Roma. Ad esempio ritengono che i vertici della Juventus abbiano violato le norme del codice sportivo che vietano il sostegno alle tifoserie e regolano la cessione dei biglietti, fatti “in gran parte ammessi dai deferiti” e basati su “elementi di chiara colpevolezza”: “La ratio della norma è stata completamente stravolta”, si legge. Se il bagarinaggio è vietato per evitare la violenza, i dirigenti lo favorivano per “mantenere l’ordine pubblico nei settori delle stadio occupati dagli ultras ed i buoni rapporti con la tifoseria”, una circostanza “oltremodo preoccupante” anche perché era un “vero e proprio modus operandi di una delle Società più blasonate a livello europeo”. I manager sapevano del “business”, mentre Agnelli si è difeso affermando di aver delegato i suoi sottoposti e di esserne estraneo, ma per il tribunale “la indubbia frequentazione dirigenziale con gli altri deferiti”, il “lunghissimo lasso temporale” dei comportamenti e la “cospicua quantità di biglietti e di abbonamenti concessi illegittimamente” dimostrano il contrario e anzi, sugli aiuti agli ultras “si ritiene siano stati quanto meno tacitamente accettati dalla Presidenza”.
Tutti sono stati invece assolti dall’accusa di “avere rapporti con esponenti e/o gruppi di sostenitori che non facciano parte di associazioni convenzionate con le società”. Agnelli è stato prosciolto anche da quella che riguardava l’introduzione allo Stadium di uno striscione oltraggioso sulla tragedia di Superga esposto durante un derby. Per il tribunale Agnelli non sapeva nulla di quanto D’Angelo aveva permesso di fare ai tifosi.
Infine il tribunale sportivo si sofferma sulle infiltrazioni della malavita nella curva e sugli incontri con Rocco Dominello: “Tale frequentazione avvenne in maniera decisamente sporadica, ma soprattutto inconsapevole con riferimento alla conoscenza del presunto ruolo malavitoso dei soggetti citati”, si legge. Insomma, gli incontri ci sono stati, ma Agnelli non sapeva di avere a che fare con il rappresentante di una famiglia legata alla ‘ndrangheta. “Non ci può bastare il ridimensionamento delle accuse della Procura federale – ha dichiarato il professore Franco Coppi, che ha difeso Agnelli insieme a Luigi Chiappero -, ci aspettavamo un proscioglimento e ovviamente faremo ricorso“.