Quelle ceneri avrebbero dovuto essere qualificate come pericolose e quindi smaltite, invece venivano mescolate con altre polveri residuo della combustione del carbone e vendute alla Cementir che le utilizzava per la produzione del cemento. Nonostante contenessero nichel, vanadio, mercurio e ammoniaca. Quello che per l’Enel avrebbe dovuto essere un costo, secondo la procura di Lecce, è divenuto invece un guadagno pari ad oltre mezzo miliardo di euro tra il settembre 2011 e lo stesso mese del 2016. E qualcosa di simile avveniva con la loppa, uno scarto di produzione, dell’Ilva di Taranto, pure questa ceduta allo stabilimento Cementir del capoluogo jonico.

Per questo i pm Alessio Coccioli della Dda salentina e Lanfranco Mazzaria della procura di Taranto hanno chiesto (e ottenuto dal gip Antonia Martalò) il sequestro della centrale Enel di Cerano, alle porte di Brindisi, della Cementir e di una piccola area dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Le tre società avranno sessanta giorni per mettersi in regola e nel frattempo potranno continuare a produrre. In tutto sono 31 i manager e i dirigenti indagati. Tra di loro ci sono anche l’ex proprietario del sidergurico Nicola Riva, l’ex commissario Enrico Bondi, l’ex custode dello stabilimento ed ex prefetto di Milano Bruno Ferrante e gli attuali commissari Enrico Laghi, Corrado Carruba e Piero Gnudi. Le accuse per tutti sono di traffico illecito di rifiuti e attività di gestione di rifiuti non autorizzata, mentre gli illeciti amministrativi vengono contestati a tutte e tre le società.

La situazione più delicata è quella dei vertici dello stabilimento di Enel, che nella centrale brindisina ha uno dei centri di produzione di energia elettrica più grandi d’Europa e si è più volte ritrovata al centro di indagini sia per vicende legate alla dispersione del carbone sui campi dei contadini vicini all’impianto che per questioni inerenti gli appalti all’interno della centrale.

La società – che “confida di poter dimostrare la correttezza dei propri processi produttivi” e sottolinea che il sequestro “non pregiudica la corretta operatività della centrale” – aveva classificato le ceneri, residuo dalla combustione di Odc e gasolio, sostiene l’accusa, “come provenienti tutte dalla sola combustione di carbone, e classificate come rifiuto speciale non pericoloso”. Si tratta di oltre 2,5 milioni di tonnellate di polveri “contaminate da sostanze pericolose”. Nichel, mercurio, vanadio e ammoniaca, secondo quanto ha ricostruito il consulente tecnico della procura di Lecce, Marco Sanna.

Una gestione “promiscua”, la definiscono i magistrati, che aveva portato un “oggettivo vantaggio patrimoniale” derivante dal “risparmio dei costi correlati alla separazione” delle ceneri pericolose e non, oltre che dallo smaltimento dei rifiuti. Un comportamento ritenuto “particolarmente grave” perché, affermano i pm, “presso la centrale sono presenti impianti che avrebbero consentito lo stoccaggio e la separazione delle ceneri” ma che “non sono mai stati utilizzati” nel periodo delle indagini. E alcuni dirigenti – tra i quali risultano indagati Antonino Ascione, Luciano Mirko Pistillo e Fausto Bassi – erano “perfettamente a conoscenza” che le ceneri fossero pericolose. Tanto che, secondo gli uomini della Guardia di finanza, nelle intercettazioni telefoniche fanno riferimento “alla necessità di confondere gli inquirenti presentando dati alterati e non veritieri” oltre ad “evitare di comunicare con l’Arpa”. E uno di loro definisce “farabutto” il consulente tecnico della procura.

Evitando di smaltire Enel avrebbe avuto un “ingiusto profitto” pari a oltre 523 milioni di euro, oggetto di sequestro preventivo su conti correnti, quote e partecipazioni azionarie, depositi, crediti e beni immobili. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Ilva invece avrebbe venduto la loppa d’altoforno a Cementir nonostante presentasse “criticità” perché mescolata con “scarti” e “rifiuti” come scaglie di ghisa, materiale lapideo, profilati ferrosi, pietrisco e loppa di sopravaglio. E quando quella loppa arrivava nel cementificio la separazione delle parti inutilizzabili avveniva “parzialmente ed in maniera insufficiente”, senza tra l’altro che la Cementir avesse le “specifiche autorizzazioni” al trattamento di quel rifiuto. Che invece è stato impastato con altri materiali e commercializzato.

In serata sono giunte le repliche di Cementir e Ilva. La società che gestisce il cementificio tarantino “rivendica la correttezza del proprio operato” e “rileva di avere acquistato regolarmente ceneri da carbone“, il cui impiego “del tutto marginale” è “cessato all’inizio del 2016”, riservandosi “di tutelare i propri interessi qualora fosse provata la non conformità alle prescrizioni di legge del materiale fornitole da terze parti”. Per quanto riguarda la loppa di Ilva, Cementir specifica che è “il suo utilizzo è ammesso e disciplinato dall’Aia”. Mentre i commissari straordinari Gnudi, Carruba e Laghi, tutti indagati, fanno sapere che “la società è fiduciosa che al termine del procedimento si potrà dimostrare che Ilva opera nel rispetto delle normative comunitarie in materia di gestione e trattamento dei rifiuti”.

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