Da Annaba, al Sulcis. Dall’Algeria alle coste sarde di Carloforte, Sant’Antioco e Porto Pino. La rotta è conosciuta dagli “harraga”- i migranti “che bruciano le frontiere”, come si dice in arabo – fin dal 2005-6. È il punto più vicino dell’Italia al Nord Africa, dopo la Sicilia e Lampedusa, ovviamente. Secondo il quotidiano algerino El Watan, il viaggio costa al massimo 700 dollari: i prezzi sono cresciuti rispetto al 2016.

Con la rotta libica del Mediterraneo centrale sempre più insicura e pericolosa, la via algerina torna una possibile opzione per i migranti irregolari diretti in Italia. I numeri segnano già in aumento: se nel 2016 gli sbarchi sono stati 1.106, ad oggi sono 1.310. Raddoppiati anche i migranti intercettati dalla Gendarmeria nazionale algerina: 400 persone in tutto il 2017, 800 solo tra gennaio e settembre, stando ai numeri riportati dalla stampa locale.

Per la stragrande maggioranza si tratta di uomini di nazionalità algerina: pochissimi i subsahariani. Poche le donne e i bambini. Una popolazione migrante che ricorda quella che lasciava la Tunisia nel quinquennio 2006-2011. Anche il tipo di barche è lo stesso di quegli anni: pescherecci, spesso dotati di un buon motore che in 16-18 ore è in grado di completare la traversata, spiegano i migranti sempre ai media algerini. “Quasi nessuno vuole restare in Sardegna. Il loro obiettivo è l‘Europa”, dice invece Angela Quaquero, delegata della presidenza della Giunta regionale per l’immigrazione.

I mesi più critici, in Sardegna, sono stati quelli tardo primaverili: l’isola era in mezzo a due flussi di migranti: uno diretto dall’Algeria, l’altro “di riporto” dalle navi della Guardia costiera e e della Marina con a bordo i profughi provenienti dalla Libia. Ad oggi al porto di Cagliari ci sono stati oltri 3.500 profughi portati in Sardegna dalle navi che li hanno salvati nello Canale di Sicilia. “C’è stato un momento in cui era difficile fare un’accoglienza come si deve, visto che il ricambio era continuo”, aggiunge Quuaquero. Infatti, né i profughi, né i migranti provenienti dall’Algeria – di cui quasi nessuno richiede l’asilo – vuole fermarsi. Nonostante questo ci sono stati episodi di grande tensione, come quello della notte tra il 27 e 28 luglio: a Dorgali, nel nuorese, alcuni sconosciuti hanno gettato una bomba carta in un centro di accoglienza, ferendo leggermente due nigeriani. Ora, però, la situazione si è stabilizzata, con oltre 5mila posti di accoglienza occupati quasi totalmente da profughi partiti dalla Libia. Gli altri, invece, dopo aver ricevuto un foglio di via, cercano di restare invisibili, di salire su una nave diretta verso l’Italia continentale lasciandosi la Sardegna alle spalle. Obiettivi: Germania, Belgio e Francia.

Algerine sono anche le organizzazioni criminali che gestiscono questi traffici. Su questo fronte indaga la Guardia di Finanza, anche con il supporto di Frontex, che da febbraio ha un suo centro di coordinamento attivo a Cagliari. Nessuna traccia, al momento, di agenzie umanitarie dell’Onu, Unhcr e Oim. Il timore che la rotta algerina possa ingrossarsi ulteriormente è tanto concreto da aver spinto il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ad andare ad Algeri per incontrare l’omologo algerino Nourredine Bedoui. “C’è un’alleanza strategica fra l’Italia e l’Algeria sulle grandi sfide che abbiamo di fronte oggi nel campo della sicurezza, dell’immigrazione e dello sviluppo. Avevamo già rapporti eccellenti tra i nostri due Paesi, oggi possiamo dire che li abbiamo ulteriormente migliorati”, dichiarava all’Ansa prima di partire.

Per fine ottobre, quindi, è prevista la firma di un nuovo accordo di cooperazione bilaterale Italia-Algeria sulla scorta di quello già siglato nel 2009. Uno degli scopi di questi accordi è rendere più semplice e veloce l’espulsione dei migranti irregolari. Sul modello dell’accordo con la Tunisia, che permette “rimpatri veloci”. “L’intervento del ministro è stato molto tempestivo, dopo che il presidente Francesco Pigliaru ha sollevato il problema in più occasioni”, continua Quaquero. Ora c’è da capire quali siano le reali proporzioni del fenomeno: i media algerini danno conto degli arresti di numerosi ragazzi, tendenzialmente sotto i 30 anni, originari della parte est, vicino al confine con la Libia, fermati sempre alla vigilia della partenza per l’Italia.

L’altro interrogativo è legato al caos in Libia. La guerra che sta attraversando Sabrata, la città dove comanda il clan Dabbashi – secondo diverse inchieste giornalistiche pagato dall’Italia per gestire e controllare il flusso dei migranti – ha reso più complessa la partenza delle imbarcazioni. Già oggi la rotta alternativa al deserto libico porta da Agadez – città snodo dei traffici via terra in Niger – all’Algeria. Non è da escludere che la situazione possa evolvere ulteriormente. A maggior ragione visto l’elevato tasso di mortalità nel Mediterraneo centrale. Gli ultimi dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) parlano del 2,1% dei migranti che muore durantela traversata. Un tasso così alto non si era visto nemmeno lo scorso anno, quando sempre l’Oim aveva registrato 4.700 vittime circa (5.096 secondo l’Unhcr). In pratica se nel 2016 moriva durante il viaggio un migrante ogni 82 passeggeri, oggi ne muore uno ogni 48: quasi il doppio. I mesi peggiori, al momento, sono stati maggio e giugno, con 13 e 547 morti. La causa principale è certamente data dalle condizioni di barche e motori, incapaci di completare la traversata. Per questo, dall’inizio dell’anno, la Commissione europea ha fatto approvare un embargo sulla Libia per impedire che vengano venduti i gommoni di plastica messi in acqua dai trafficanti.

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