Quello che si è avvicinato di più alla verità, ieri, alla Camera, è stato Renato Brunetta. “Una buona legge elettorale – ha detto – è quella che non accontenta, o che scontenta, tutti i partiti alla stessa maniera. E questa legge scontenta noi, il Pd, la Lega, M5s, ciascuno per ragioni diverse”. E’ vero: il Rosatellum, approvato dal patto ampio tra Pd e Pd insieme a Lega e Forza Italia, non conviene a nessuno dei partiti. Oppure, anzi, conviene a tutti perché fotografa l’esistente. Di sicuro quella che tutti – dal Pd ad Alfano fino ai berlusconiani – definiscono come una “buona legge” non conviene al prossimo Parlamento, però: con qualsiasi combinazione, anche la più fantasiosa, oggi non ci sarebbe nessuna maggioranza in grado di sostenere un governo.

Cosa accadrebbe, oggi, dunque, se il Rosatellum fosse applicato alle intenzioni di voto per ciascun partito? Quello che sanno tutti: non ci sarebbe nessuna maggioranza in Parlamento, qualsiasi fosse la composizione: di sicuro non ce la farebbero le coalizioni classiche, cioè il centrodestra e il centrosinistra. Ma non ci sarebbe un governo neanche con le larghe intese. Una situazione bloccata, simile a quella della Spagna nel 2015, quando il Paese iberico andò a votare per due volte in sei mesi e solo all’ultimo tuffo riuscì a non andarci per la terza. Anche in quel caso, come succede ora in Italia, il problema era quello di tre poli più o meno equivalenti. A confermarlo è un’elaborazione del Corriere della Sera che si basa sui sondaggi di Ipsos negli ultimi 15 mesi, quindi una base statistica larghissima e affidabile.

Di sicuro è uno scenario che conferma come la riforma elettorale, approvata ieri alla Camera grazie al patto tra Pd, Forza Italia, Lega Nord e Alternativa Popolare, sia solo “conservativa” della situazione attuale, che cristallizzi e ingessi lo stato attuale delle cose e al contrario non cerchi neanche di trovare correttivi che possano dare una maggioranza chiara in Parlamento. Per alcune forze politiche è una mossa da follia suicida, almeno in apparenza. Soprattutto il Pd: basti pensare che i principali avversari – i Cinquestelle – con il Rosatellum sarebbero avvantaggiati rispetto a quanto succederebbe con l’Italicum (attualmente ancora vigente alla Camera), conquistando 178 seggi anziché 175.

Nel dettaglio, secondo l’elaborazione del Corriere, il M5s sarebbe di gran lunga il primo gruppo alla Camera, proprio con quei 178 seggi, 70 dei quali conquistati con il maggioritario, cioè con l’uninominale in cui il primo candidato vince tutto, e i restanti con il proporzionale. Difficile capire quanti ne avrà di preciso il Pd perché si alleerà con altre forze politiche: forse con Alfano, forse con Pisapia, forse con altri movimenti centristi. Il Corriere per il momento ha simulato un’alleanza con Ap. In questo caso questo centrosinistra (nuovo e per così dire anomalo) conquisterebbe 174 seggi: dal proporzionale ne andrebbero 105 al Pd e 11 ad Ap, mentre nei collegi – in coalizione insieme – ne prenderebbero altri 58.

Certo, la coalizione più forte sarebbe ampiamente il centrodestra, come dicono anche i dati scorporati di tutti i sondaggi di queste settimane. Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia prenderebbero in tutto 238 seggi così distribuiti: col proporzionale ne prenderebbe 60 Forza Italia, 59 la Lega Nord e 16 Fratelli d’Italia. A questi si aggiungerebbero altri 103 seggi che i candidati dei tre partiti vincerebbero nei collegi. Infine resterebbero 23 seggi (tutti proporzionali) che andrebbero all’area di sinistra (Mdp, Sinistra Italiana, Possibile) e altri 4 che sarebbero distribuiti ad altri partiti. In questo conto non sono compresi i seggi attribuiti dalla Val d’Aosta e dalle circoscrizioni estere.

Se si cercano alleanze in Parlamento, si resta molto delusi. Il centrodestra, come detto, pur essendo la coalizione con il risultato più avanzato, non va oltre i 238 seggi (quindi gli mancano la bellezza di 80 seggi per raggiungere la maggioranza). Il centrosinistra, anche con il fronte più allargato possibile (da Mdp ad Alfano), non supera i 197 seggi. Non ce la fanno neanche le larghe intese (Pd, Fi, Ap) che non superano i 278 seggi, con la maggioranza minima di 316 lontana di quasi 40 deputati. Con l’Italicum – cioè l’attuale in vigore per la Camera dopo la “rivisitazione” della Consulta – erano 286. 

Quale sarebbe l’alleanza più vicina alla maggioranza? Quella “anti” che metterebbe insieme Cinquestelle, Lega Nord e Fratelli d’Italia e sfiorerebbe la quota necessaria a dare la fiducia a un governo: 310. Ma l’ipotesi diventa sempre più remota, specialmente dopo il dibattito di ieri proprio sulla riforma elettorale nel quale Lega Nord e M5s si sono attaccati ripetutamente a vicenda con accuse di “inciucismo” da una parte e di ipocrisia dall’altra. Non solo: è temporaneamente incrinato anche il rapporto tra il Carroccio e i Fratelli d’Italia con La Russa che ha parlato di “frattura” e benefici della riforma per mantenere i “seggi delle valli del Nord” e la Meloni che è stata attaccata in un paio di occasioni dallo stesso Salvini.

E d’altra parte La Russa ha ragione da vendere. Come dimostrano le elaborazioni del Corriere con i dati Ipsos, nella parte maggioritaria – cioè nei collegi – il centrodestra farebbe il pieno al Nord: 12 seggi su 18 conquistati in Piemonte, 16 su 18 in Veneto e addirittura 34 su 38 in Lombardia. E al Nord è chiaro che i candidati di coalizione nei collegi sarebbero in larghissima parte esponenti della Lega. Andrebbe molto peggio al Sud, dove invece sono più forti Forza Italia e Fratelli d’Italia (le uniche soddisfazioni arriverebbero da Lazio e Campania dove il centrodestra raccoglierebbe 8 deputati in ciascuna Regione). Il Pd? Resisterebbe solo in Toscana (12 seggi su 13) e in Emilia Romagna (10 su 16). Il Sud in realtà sarebbe il bacino di deputati per il M5s: i grillini nel maggioritario prenderebbe 9 seggi su 20 nel Lazio, 12 su 23 in Campania, 11 su 16 in Puglia e – con un quasi cappotto – 17 su 20 in Sicilia.

Visto che il Rosatellum per i due terzi sarà a trazione proporzionale, è interessante (per i partiti più che per gli elettori) capire la grandezza delle forze politiche. E, in generale, si intravede una debolezza del sistema di partiti e dei movimenti, anche quelli più rappresentati in Parlamento. Perfino i due principali – Pd e M5s – continuano ad allontanarsi dalla soglia psicologica del 30 per cento. Secondo Index Research per PiazzaPulita – che ha diffuso ieri l’ultima rilevazione – i Cinquestelle oggi sono al 26,8 per cento, mentre i democratici al 25,5. Entrambi sono più o meno stabili, avendo questi sondaggi un margine d’errore del 3 per cento. Nel campo del centrosinistra prosegue il travaso di voti andata e ritorno tra Mdp e Sinistra Italiana, rispettivamente al 3 e al 2 per cento.

Nel centrodestra continua la battaglia per guidare la coalizione tra Forza Italia e Lega Nord, entrambe tra il 14 e il 15 per cento. I Fratelli d’Italia comunque sopra al 5. Sempre difficile collocare Alternativa Popolare di Alfano: è al 2 per cento e pare comunque lontano dalla soglia di sbarramento anche col Rosatellum resta al 3.

Sondaggio Tecnè per TgCom24 dell’11 ottobre

Il quadro è stabile nel tempo, come si vede da un altro sondaggio, di un paio di giorni fa, realizzato da Tecnè per il TgCom24. Se ci si concentra sull’andamento dell’ultimo mese, chi guadagna di più sono Pd e Forza Italia – che però si stanno riprendendo da un periodo di crisi – mentre chi perde di più è proprio il M5s. Una tendenza che – a prescindere dal dato preciso per ogni partito, che può oscillare – è confermata da un altro

Il sondaggio Emg per il TgLa7 del 9 ottobre

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