“Sono molto soddisfatto del risultato del referendum” dice Maroni. Ma ci sono volute quasi 13 ore per sapere che a votare son0 stati 3.010.434 di lombardi mentre la Regione caricava i dati definitivi: 95,29% sì; 3,94% no e 0,77% schede bianche. Al voto sono andati il 38,25% degli elettori. La provincia in cui si è votato di più è stata Bergamo con il 47,37%, quella con l’affluenza più scarsa la città metropolitana di Milano con il 31,20%. Al di là del risultato netto, però, s’impone il clamoroso ritardo che fa gridare al flop della rivoluzione del voto elettronico che sotto la Madonnina doveva essere il fiore all’occhiello che (in parte) giustifica la richiesta autonomistica. Siamo più bravi, lasciate fare a noi. E invece a vincere la gara dell’efficienza è stato il vecchio sistema di voto del Veneto di Luca Zaia che dopo un’ora aveva il dato sull’affluenza, da ore festeggia un risultato pieno e i veneti al lunedì mattina sono tornati al lavoro certi del risultato. Non così a Milano, dove fino a pochi minuti fa si parlava di “circa 3 milioni di lombardi e lo stesso Maroni è stato costretto a rimandare tre volte la conferenza stampa celebrativa dei risultati. E ad ammettere: “Abbiamo avuto problemi con 300 chiavette, problemi tecnici, che stiamo risolvendo, di collimazione di dati”. Davanti ai giornalisti poi sosterrà che “Il voto elettronico ha funzionato, il non dare ora il 100% deriva da due criticità”. La prima è “il fattore umano, perché in alcuni seggi il presidente ha digitato lo stesso pin in più voting machine e questo ha bloccato la lettura”. La seconda, un fatto tecnico: “alcune voting machine hanno iniziato in modalità ‘test’e non ‘voto’. Sono criticità minori. Siamo al 99% mancano 122 chiavette: entro oggi chiudiamo”, aggiunge Maroni.
In ogni caso il debutto-flop è un bel problema perché per arrivare male e tardi la Regione a trazione leghista ha speso 23 milioni di euro solo in tablet, mettendo a segno una figuraccia che è già storia, coi presidenti di seggio rimasti ostaggio fino a notte fonda a causa, pare, delle procedura di consegna delle chiavette Usb. Lo spauracchio alla vigilia erano gli hacker, più di loro poté la burocrazia. Che serve un sonoro schiaffo a chi aveva cantato prima del gallo alla “prova di efficienza”, insieme alla rivincita dell’analogico.
“Io ancora al seggio e non posso andare via nonostante scrutinio finito da ore”, è il message in a bottle che all’una di notte di Stefano Bolognini, presidente di seggio e del responsabile ufficio stampa dei Cinque Stelle in regione, affida a Facebook. Il paradosso è che erano stati proprio i consiglieri M5S a perorare la causa del voto digitale. Uscirà dal seggio dopo le tre del mattino. L’indomani è ancora un po’ provato dalle ore piccole. “Il sistema di voto elettronico – racconta al fatto.it – è stato fantastico perché ha eliminato tutti i conteggi di schede, le matite copiative e ha funzionato. Il problema è stata una Caporetto della macchina organizzativa”. Cosa è successo? “Il problema è nato una volta trasmesse le chiavette dei tre apparecchi connessi in via Messina, dove sono arrivate a centinaia e il discarico dei dati deve aver avuto un impatto pesantissimo”. Come altri presidenti e scrutatori, a fine operazioni, attendeva la conferma della lettura delle penne Usb che contengono i dati di voto dei singoli tablet, coi digital assistants che dovevano ricavarli direttamente dalle memorie interne delle voting machine. Luca De Vecchi, avvocato e presidente di un seggio a Milano, si sfoga: “Abbiamo consegnato le chiavette con i dati delle sezioni a un pony express che le ha portate all’ufficio elettorale centrale dove 30 persone esamineranno 3000 chiavette. Nessun componente dei seggi può lasciare la scuola prima che le chiavette non vengano esaminate dall’ufficio centrale”. Per poi aggiungere, alle due di notte: “Finito lo scrutinio da due ore e mezza e siamo ancora tutti chiusi nella scuola ad attendere la verifica tecnica delle memorie“.
Così risuonano beffarde le dichiarazioni della vigilia. La società Smartmatic che si è aggiudicata la commessa dei tablet alla vigilia del voto assicurava: “La tempestiva comunicazione di risultati elettorali precisi è fondamentale ai fini della credibilità di un moderno processo democratico. Proprio per questo motivo i risultati verrano pubblicati online quasi in tempo reale”. Molto “quasi”, visto che ancora mentre scriviamo, a 12 ore dalla chiusura dei seggi, non ci sono. Mentre si moltiplicano le segnalazioni di macchinette in palla (persino nel seggio in cui ha votato Salvini) e l’assessore Gianni Fava, coordinatore del referendum, è chiuso dall’alba in una stanza al Pirellone da cui fa capolino ogni tanto per dire “i disguidi sono minimi. Tutti i cittadini hanno potuto votare”. Come, l’indomani, non si sa. La notizia non potrà non ferire quei “nonni” che ci avevano messo la faccia, cui diversi esponenti leghisti avevano fatto ricorso per dimostrare con delle “demo” quanto fosse facile, intuitivo e immediato dire sì all’autonomia lombarda. Ad esempio la signora Rosalia Bosatra, ottuagenaria nonna del commissario della Lega in provincia di Mantova. Come hanno votato i mantovani? Ancora non lo sa. A dirla tutta l’operazione si è rivelata presto ben più complicata del previsto.
I problemi al sistema sono cominciati a mezzogiorno, quando la regione avrebbe dovuto diffondere i primi dati sull’affluenza. La regione Veneto ha comunicato i dati definitivi sull’affluenza alle 12 prima delle 13. La regione Lombardia, invece, non è riuscita ad avere dati definitivi prima delle 17. Due ore dopo, quando avrebbe dovuto comunicare i dati sull’affluenza delle 19, il sistema è definitivamente collassato. La regione Lombardia ha comunicato che non avrebbe più aggiornato i dati sul sito e ha detto che ci sarebbe stata una conferenza stampa alle 19 e 45. Non ha brillato, a fronte delle richieste di aiuto, neppure il numero verde 800.861.431 dedicato al supporto alle operazioni che è rimasto intasato per ore mentre sul web e via whats’up gli stessi “assistenti al voto” ricostruivano una giornata di delirio da lasciarsi dietro le spalle prima possibile. “Una pessima organizzazione”, dice uno dei 6.750 reclutati da una’genzia di lavoro interinale. Il gruppo si chiamava, forse non a caso, “dilettanti allo sbaraglio”.
l Pd non si lascia scappare l’occasione e con il segretario regionale Alessandro Alfieri, che attacca: “ll sistema che ci doveva portare nel futuro ci porta invece ad un passato lontano. E passata una notte intera e ancora non ci sono i risultati. Dopo aver festeggiato il superamento del 40 per cento, il sito della Regione dice che siamo al 38 per cento. Maroni deve chiedere scusa. Qualcosa non ha funzionato e la Regione deve mettere da parte l’arroganza”.