Ha una malattia neurologica degenerativa non diagnosticata in modo chiaro. Sopravvive grazie ai macchinari e mantenerlo in vita sarebbe “inumano“, secondo i medici. Non è la storia di Charlie Gard, ma di Alfie Evans, bimbo di 23 mesi in cura a Liverpool per una gravissima patologia cerebrale. Nel febbraio scorso i giudici avevano autorizzato il distacco dei macchinari, ma i genitori avevano presentato ricorso, chiedendo che il piccolo fosse trasferito all’ospedale Bambino Gesù di Roma, disposto a farsene carico. Ora il responso: il tribunale d’appello ha respinto la richiesta. Immediata la reazione dei genitori, che non demordono e si rivolgono alla Corte Suprema.

Nella diatriba legale del piccolo Evans, l’Alta corte di Londra aveva dato ragione ai medici dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool, approvando la richiesta di staccare la spina ai macchinari che lo tengono in vita. “Alfie ha bisogno di quiete e pace”, aveva detto il giudice Hayden nella lettura della sentenza. Contro la decisione si erano scagliati Tom Evans e Kate James, i genitori ventenni del bambino, perché proprio come nel caso di Charlie Gard l’ospedale Bambino Gesù di Roma si era detto disponibile a prenderlo in cura. “Qui è tutto pronto”, aveva confermato Mariella Enoc, presidente della struttura del Vaticano. “Potremmo prenderci cura di Alfie senza accanimento terapeutico, secondo lo spirito dei nostri operatori. Non esistono terapie. Lo accompagneremo verso la fine naturale“.

Alfie Evans è nato il 9 maggio del 2016, colpito da una malattia degenerativa senza diagnosi. Una condanna allo stato semi-vegetativo che gli impedisce di vedere i genitori, di sentire le loro parole, di percepirne il contatto. Un’esistenza garantita solo da respirazione e nutrizione artificiale. E su questo la legge britannica è chiara: se non c’è speranza, se le cure sono inutili, se non si riesce a garantire una vita che possa essere definita tale, le macchine devono essere staccate. Perché la dignità del bambino ha la priorità anche sulla volontà dei genitori.

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