Da quasi 60 giorni Hakeem al-Araibi langue in una cella della Thailandia in attesa della decisione sulla domanda di estradizione presentata dal suo Paese.

In quel paese, il Bahrein, al-Araibi era titolare nella nazionale di calcio. Da quel Paese, nel 2014, è fuggito per evitare di finire in carcere con l’accusa di aver devastato una stazione di polizia.

Per dare un’idea di come si svolgono i processi in Bahrein, nel momento in cui avrebbe compiuto il reato, al-Araibi era impegnato in una partita all’estero (trasmessa pure in televisione! Quale prova migliore della sua innocenza?).

In Australia, dove è stato riconosciuto rifugiato, al-Araibi ha mantenuto la sua passione ed è stato ingaggiato da una squadra di Melbourne, il Pascoe Vale FC. Lì si è anche sposato. Con la moglie, ha deciso di trascorrere la luna di miele sulle isole thailandesi. E all’arrivo, il 27 novembre, è scattato l’arresto per via di un mandato di cattura dell’Interpol, sollecitato dal governo del Bahrein.

Entro il 1° febbraio la Thailandia deve decidere cosa fare. Solo poche settimane fa una vicenda simile, quella della ragazza saudita Rahaf Mohammed al-Qunun, si è risolta per il meglio grazie a una mobilitazione mondiale.

Mancano pochi giorni. Ma possono essere decisivi per salvare al-Araibi dal carcere e lasciarlo libero, com’è suo diritto, di tornare nel Paese che gli ha dato asilo. Appelli sono stati lanciati dal sindacato internazionale dei calciatori e da Amnesty International.

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