Quel censimento, compiuto oltre dieci anni fa, costò alla Sicilia oltre 80 milioni di euro. Ma i risultati di quel lavoro sono custoditi in una banca dati che la Regione, che allora sborsò i soldi, non può consultare. Il motivo? Non dispone della password. Il caso salta fuori durante una seduta d’Aula dell’Assemblea regionale siciliana. Il governo, infatti, ha deciso di inserire in una legge attualmente in discussione nel parlamento dell’Isola, una norma che attribuisce agli uffici della pubblica amministrazione il compito di censire il patrimonio immobiliare siciliano. E così, dai banchi di Sala d’Ercole, sono emersi i dubbi: quel lavoro non era stato compiuto anni fa ed era pure costato parecchio? La risposta è affermativa, ma l’assessore all’Economia Gaetano Armao ha dovuto allargare le braccia: “Non disponiamo della password”.
Com’è possibile? La risposta è in un contenzioso tra la Regione e un imprenditore finito più volte nelle cronache giudiziarie dell’isola e non solo: Ezio Bigotti per molti anni è stato l’amministratore della società regionale Sicilia patrimonio immobiliare. Una società mista, controllata per tre quarti dalla Regione e per un quarto in mano ai privati. Cioè a Bigotti, appunto. È stata questa società a portare avanti un censimento milionario su cui si sono presto allungate molte ombre. I dubbi, anche sull’entità dell’appalto, sono stati messi nero su bianco dalla Corte dei conti.
Da Pinerolo a Consip – Bigotti era già finito nelle carte dell’inchiesta su Consip, con l’accusa di turbativa d’asta sul mega appalto Fm4, gara da 2,7 miliardi di euro per l’affidamento di servizi nella pubblica amministrazione. La procura di Roma ha contestato, tra gli altri, a lui e ad Alfredo Romeo, di aver creato un cartello per spartirsi i 18 lotti di appalti.L’immobiliarista, titolare della società Sti, poi, nel febbraio dell’anno scorso era finito ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sul cosiddetto Sistema Siracusa insieme a Massimo Gaboardi, ex tecnico petrolifero. Sono accusati di corruzione in atti giudiziari e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale. Il procedimento è legato all’inchiesta della Procura di Messina, guidata da Maurizio de Lucia che aveva portato all’arresto di 13 persone accusate di far parte di un “comitato di affari” capace di condizionare indagini e procedimenti giudiziari. L’indagine ha coinvolto, oltre all’ex pm di Siracusa Giancarlo Longo, gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore.
La (s)vendita dei beni – Bigotti del resto ha un lungo e solido rapporto con la Sicilia. È stato infatti per molti anni amministratore unico e socio al 25 per cento, tramite la Psp Scarl, dell’azienda che ha gestito il patrimonio regionale siciliano e che ha anche portato avanti la vendita, a un fondo, dei beni della Regione siciliana. Una operazione voluta nel 2007 dal governo di Salvatore Cuffaro, quando la Spi individuò una rosa di immobili da mettere in vendita. Nella prima tornata sono scelti 33 palazzi e sono stati ceduti a un Fondo (capofila la società Pirelli Re) per il 65% della proprietà. Il valore complessivo dei beni era di 263 milioni. Alla fine delle operazioni, la Regione ha incassato (al netto delle spese) circa 179 milioni. Vendendo i propri immobili a un prezzo che la stessa corte dei conti, che avviò un’istruttoria sul caso, ha considerato “fuori mercato”: tra i mille e i 1.300 euro circa al metro quadro. In alcuni casi si tratta di prestigiosi palazzi nel pieno centro di Palermo.
Ma la Regione, tra gli edifici dismessi, aveva previsto anche alcuni immobili che in quel momento erano utilizzati come sedi di assessorati ed enti regionali. In quel caso, l’amministrazione decise di rimanere locataria, pagando un affitto pari al 7,95% del prezzo dell’immobile. Più di venti milioni all’anno. La pubblica amministrazione siciliana, insomma, ha finito per pagare l’affitto nei locali di cui essa stessa era proprietaria fino al giorno prima. Una situazione sulla quale la Corte dei conti ha chiaramente puntato i riflettori: “L’eseguita operazione – scrissero i magistrati contabili – è risultata in concreto non conveniente ed è assai criticabile”. Il motivo? Sintetizzando al massimo, la Regione ha “svenduto” i suoi beni a prezzi bassissimi al metro quadro, e ha invece pagato una locazione “fuori mercato”. Cioè troppo cara. Intanto, il Fondo ha cambiato veste e i soci “traslocano” in Lussemburgo.
Il censimento d’oro – Ma cifre da capogiro, intanto, la Regione aveva sborsato per il censimento di quel patrimonio immobiliare. Un censimento che doveva costare 13 milioni, e che nel corso degli anni, fino al 2008, è “lievitato”, di fattura in fattura, fino a 80 milioni. Un lavoro portato avanti sempre da Spi e sul quale si sono allungate altre ombre. Il governo di Raffaele Lombardo avanzò una “costituzione in mora” per oltre 90 milioni per una ventina di amministratori di quegli anni (tra il 2005 e il 2007). Poi il governo regionale ha deciso di togliere dalle mani di Spi la gestione del patrimonio siciliano, quindi l’azienda è stata anche posta in liquidazione. Nel frattempo, sono partiti i contenziosi tra la Sicilia e Bigotti. E la procura di Palermo ha anche aperto un’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Dino Petralia e dalla sostituta Claudia Ferrari.
Regione senza password – Intanto, come detto, la Regione non può nemmeno accedere a quella banca dati costata decine di milioni. “Non abbiamo la certezza – ha allargato le braccia l’assessore all’Economia del governo siciliano Armao – su quando potremo risolvere il problema. Adesso però rischiamo di restare fermi e di non rispondere a un adempimento previsto dalla legge. Noi abbiamo ereditato questa vicenda, non l’abbiamo prodotta”. Così, ecco che salta fuori quell’altra norma: “Ci pensino i dipendenti regionali” a compiere il lavoro. Un lavoro già fatto da altri. E pagato a peso d’oro.