I dati che ormai, nonostante tutto, cominciano ad essere prodotti e resi pubblici dai registri tumori, mostrano nelle città metropolitane di Napoli e Roma un “paradosso” epidemiologico che nessuno vuole vedere: ci si ammala e si muore di più dove ci sono più spazi verdi, aree demaniali o spazi privati ma abbandonati, che possono essere “rimpinzati” di monnezza varia e spesso tossica, da abbandonare perché prodotta in regime di evasione fiscale. Si parla invece soltanto di correlazione con la “deprivazione economica”.
Sia a Roma (è possibile ricavare i dati dal sito OpenSalute Lazio) che a Napoli i quartieri abitati dai cittadini meno abbienti ma anche più giovani di queste città metropolitane, risultano i più colpiti dall’inquinamento, con incidenza e mortalità per cancro elevate, ben maggiori dei quartieri del centro storico, eppure sono anche i quartieri a maggiore disponibilità di spazi verdi e demaniali.
A Roma il distretto Asl 6, a Napoli Chiaiano-Scampia a est, Soccavo Pianura Bagnoli a ovest e Portici-Ponticelli a est sono anche i quartieri a maggiore concentrazione di “aree verdi” cittadine, specialmente Chiaiano-Miano-Scampia che detiene il 70% del verde pubblico di Napoli.
Non più tardi di tre giorni fa abbiamo scoperto l’ennesima vergogna di una discarica abusiva molto ampia, rimpinzata di rifiuti tossici come l’amianto, realizzatasi all’interno degli ampi spazi verdi di una struttura sanitaria abbandonata da pochi anni, a non più di 400 metri in linea d’aria dalla bellissima fabbrica delle Real Porcellane del Bosco di Capodimonte, principale polmone verde di Napoli.
Al contrario di come pensiamo tutti e di come è nelle metropoli di tutto il mondo, le aree verdi, residenziali e periferiche delle nostre città metropolitane sono molto più pericolose e mortali per inquinamento dei nostri centri storici metropolitani. Sembra un paradosso ma ormai da decenni tutti i dati epidemiologici convergono.
Il primo a dimostrarlo fu il cosiddetto “Studio Bertolaso” del 2008, nato da una felice collaborazione tra Oms, Iss e Arpa.
Lo scopo era solo quello di dimostrare una correlazione diretta tra rischio di cancro e discariche abusive di rifiuti n Campania, ma fu tracciata una mappa dove con precisione i Comuni a maggiore disponibilità di verde e/o di aree demaniali (Acerra, Villa Literno, persino Bacoli, ecc) risultavano a maggiore rischio di cancro dei Comuni a minore disponibilità di verde, maggiore antropizzazione e massimo consumo di suolo, esempio Casavatore che oggi detiene il triste record di Comune a zero metri quadri di verde pubblico della Campania.
Non comprendiamo quanto sia grave oggi il “gioco dei tre sacchetti” da smaltire ogni giorno (rifiuto urbano più rifiuto industriale “legale” più rifiuto industriale prodotto in evasione fiscale) che porta a più del raddoppio della produzione di rifiuti urbani da smaltire con la quotidiana quanto tossica sovrapposizione dei rifiuti prodotti.
L’incessante richiesta di maxi inceneritori, la cui portata desiderata non è mai inferiore in Italia alle 500mila tonnellate l’anno (proprio per rendere pressoché impossibili efficaci controlli), pare ormai l’unica possibile soluzione per cancellare qualunque traccia della micidiale sovrapposizione dei rifiuti industriali illegali ai rifiuti urbani ormai sempre più solo “copertura” di questa tragica sceneggiata.
Questa tragedia va in scena tutti i giorni dovunque in Italia uccidendo i cittadini giovani e meno abbienti di tutte le periferie delle nostre città metropolitane. Oggi sappiamo che anche nella verde periferia romana ci si ammala e si muore molto di più che al centro storico, come a Napoli. Se proviamo a fare correlazioni non solo con lo stato socio economico della popolazione ma anche con la presenza di impianti legali e/o illegali per il trattamento o lo smaltimento dei rifiuti, che non sono mai censiti, potremo osservare una correlazione forte tra incidenza di cancro e sedi di trattamento e/o smaltimento (legale e/o illegale) dei rifiuti nelle nostre metropoli.
Essere poveri significa ammalarsi prima perché le nostre zone residenziali periferiche hanno molto più verde pubblico ma mal curato e aree demaniali abbandonate che sono le sedi privilegiate di smaltimento dei rifiuti della cosiddetta evasione fiscale “di sopravvivenza” delle attività produttive. Siamo proprio sicuri che la presenza di tossici maxi inceneritori risolverà veramente il problema? O sarà solo la “legalizzazione”, richiesta persino da una magistratura sconfitta, della sparizione delle prove delle nostre attività produttive “a nero”? Riusciremo veramente a far cessare, abbandonandoci alla sconfitta, l’inferno dei roghi degli impianti sostituendolo con l’inferno dei maxi inceneritori?
Si dice che i maxi inceneritori sono controllati nelle emissioni, ma è certo che nulla si crea e nulla si distrugge. Oltre alle emissioni, un maxi inferno come Acerra che incenerisce oggi non meno di 700mila tonnellate di munnezza nel “gioco dei tre sacchetti”, produce comunque non meno di 150mila tonnellate di ceneri tossiche da smaltire senza tracciabilità certa. Dove? Come? Chi controlla? Saranno controllate forse le emissioni, di certo non lo sono a sufficienza i rifiuti in entrata e le ceneri in uscita, specie per varie migliaia di tonnellate di rifiuti ogni giorno.
Dovunque si crea un inferno così grande, da Copenaghen ad Acerra, è certo che per almeno due terzi e per non meno di trenta anni non si brucerà solo rifiuto urbano, ma anche rifiuto speciale industriale. Soltanto quello legale? Direi proprio di no! Basta una qualunque indagine, faticosissima ma ben fatta, per scoprire le quotidiane truffe che uccidono ogni giorno in Italia ormai da troppi decenni. Oggi più al nord che al sud!