Lo studio apparso su The Lancet che ha portato alla sospensione dell’uso dell’idrossiclorochina da parte dell’Oms è stato messo in discussione da oltre 120 ricercatori, provenienti da autorevoli università di tutto il mondo, tra cui Oxford ed Harvard. Gli accademici hanno scritto una lettera aperta al direttore della rivista, chiedendo spiegazioni in merito allo studio pubblicato, in cui si indaga un legame tra farmaco e complicazioni cardiache. Come anticipato da Il Fatto Quotidiano, attraverso l’analisi di Andrea Savarino, il ricercatore dell’Iss che aveva evidenziato le criticità del lavoro di Lancet, anche il The Guardian ha sollevato la questione, evidenziando i dubbi della comunità scientifica.

“Preoccupazioni relative all’analisi statistica e all’integrità dei dati” è l’incipit della lettera. Di norma, la moderazione e il garbo sono alla base delle comunicazioni all’interno della comunità scientifica, ma questa volta qualcosa parrebbe essersi incrinato. È un evento raro che una pubblicazione di The Lancet sia messa in discussione con queste modalità. Un solido gruppo di accademici, clinici, ricercatori, statistici di prestigiose università di tutto il mondo, che chiede con toni abrasivi spiegazioni chiare e tempestive a una delle riviste più autorevoli al mondo. Innanzitutto va ricordato il contenuto dell’articolo della nota rivista inglese: la pubblicazione sostiene che i pazienti Covid-19 trattati con idrossiclorochina vadano incontro a tassi di mortalità più elevati per complicazioni cardiache dovute al farmaco. Dopo un esame dettagliato dello studio, la ricerca è stata messa sotto la lente della comunità scientifica che ne ha sottolineato varie criticità: incoerenze sia nella raccolta dati sia dal punto di vista metodologico.

La lettera riassume in 10 punti le critiche sollevate. Ad esempio, i dati provenienti dall’Australia non sono compatibili con i rapporti del governo (più decessi in ospedale di quanti ne siano avvenuti in tutto il paese durante il periodo di studio). Surgisphere (la società di raccolta dati) ha dichiarato che si è trattato di un errore di classificazione di un ospedale dell’Asia. Ciò indica la necessità di un ulteriore controllo degli errori in tutto il database. Inoltre, le dosi medie giornaliere di idrossiclorochina somministrata sono di 100 mg superiori a quelle raccomandate dalla Fda, ma questo dato è “impossibile” dal momento che il 66% dei dati provengono da ospedali nordamericani. A questo si aggiunge che i dati provenienti dall’Africa sembrano “improbabili”, per altro non è stata fatta menzione dei Paesi o degli ospedali che hanno contribuito alla fonte dei dati. La lettera termina con una richiesta formale: “nell’interesse della trasparenza, chiediamo a The Lancet di rendere disponibili le valutazioni (peer review) che hanno portato all’accettazione di questo manoscritto per la pubblicazione”.

A questa lettera aperta si sono aggiunte anche altre critiche: una tra tutte, quella della Columbia University che ha chiesto chiarimenti sui modelli statistici usati nella pubblicazione, spingendo Surgisphere, la società che gestisce il database dei pazienti utilizzati per informare lo studio, a rilasciare una dichiarazione pubblica a difesa dell’integrità dello studio.

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