L’ARRESTO

Nella notte tra il 1 e il 2 novembre 1975, precisamente alle 2.30, i carabinieri Antonino Cuzzupè e Giuseppe Guglielmi sono nella stazione di Ostia Lido. Stanno mettendo a verbale quanto accaduto poco prima. Davanti hanno un ragazzo romano. E’ minorenne, ha i capelli folti e ricci ed è spaventato. Lo hanno arrestato – si legge nel verbale – un’ora prima, sempre a Ostia, nei pressi di piazzale Cristoforo Colombo. Era a bordo di un’autovettura sportiva, una Alfa Gt. Viaggiava sul lungomare Duilio, controsenso. I carabinieri erano di pattuglia, sulla loro “gazzella”. Hanno inseguito l’Alfa e raggiunto il ragazzo, dopo una breve fuga, tentata anche a piedi. E lo hanno portato in stazione. Cuzzupè e Guglielmi hanno scoperto che l’Alfa non appartiene a quel ragazzo tremante. Sicuramente l’ha rubata. Il libretto di circolazione dice che quell’auto appartiene a Pier Paolo Pasolini. Il ragazzo che viaggiava a bordo dell’Alfa Gt si chiama Giuseppe Pelosi, ha 17 anni, vive a Guidonia e ha qualche precedente penale di poco conto. Durante la fuga ha battuto la testa al volante, dice. E in effetti i medici del pronto soccorso gli diagnosticano una “ferita lacero contusa al cuoio capelluto”.
Pelosi fa anche una richiesta ai carabinieri. Chiede di cercare nell’abitacolo della Gt un anello. Ci tiene molto. Dopo Pelosi viene portato nel carcere minorile di Casal del Marmo. I carabinieri chiudono il verbale scrivendo che “il giovane non ha nominato un avvocato di fiducia”. Poi avvisano i genitori del ragazzo. Lo hanno fermato perché viaggiava contromano a bordo di un’auto rubata, un’Alfa Gt che appartiene al poeta e regista Pier Paolo Pasolini.

LA CONFESSIONE

Per molti Giuseppe Pelosi è “Pino la rana”, a causa di quegli occhi sporgenti. Non è la prima volta che si trova in carcere. Quella notte ai compagni di cella non dice di aver rubato l’auto di Pier Paolo Pasolini. Dice di aver ammazzato Pasolini. Il cadavere del poeta viene ritrovato da una signora alle 6.30 del 2 novembre, all’Idroscalo, vicino a un campo di calcetto amatoriale. Il corpo è disteso a terra. E’ stato massacrato. La signora lancia l’allarme, dopo un quarto d’ora arriva il commissario Vitali di Ostia, che riconosce Pasolini. L’auto dello scrittore si trova nella rimessa della stazione dei carabinieri. Il guidatore, Pino Pelosi, nel carcere minorile. Il capo della squadra mobile di Roma, Fernando Masone, dopo esser stato sul luogo del delitto decide di interrogare il ladro d’auto.
“Mi trovavo con gli amici Salvatore, Claudio e Adolfo […] di cui non conosco i cognomi e che però sono in grado di rintracciare, alla stazione Termini verso le ore 22; ci si è avvicinato un signore con gli occhiali sui 35-50 anni, col volto magro, di media statura, a bordo di un’autovettura”. Comincia così il primo verbale di interrogatorio di Pelosi. L’autovettura è l’Alfa Romeo 2000 GT e il signore è Pier Paolo Pasolini. Il poeta voleva compagnia, la sera prima. E’ risaputo che Pasolini ha un debole per i “ragazzi di vita”. E a Roma, in quelle sere, tra Termini e piazza Esedra o al Colosseo è possibile trovare compagnia. Pelosi accetta e sale sull’auto di Pasolini. Si fermano a mangiare, fanno benzina, e si muovono alla volta di Ostia. Masone interviene per descrivere il luogo del delitto. Il ragazzo conferma e prosegue il suo racconto. Prima l’approccio, poi il rifiuto di Pelosi, quindi la reazione violenta di Pasolini. Il ragazzo si difende, con molta energia, tra i due è lui ad avere la meglio. Sconvolto, sale sull’Alfa GT e fa manovra. Mentre fugge, aggiunge Pelosi, non fa caso a nulla. E’ importante dal suo punto di vista fare questa precisazione: l’auto è passata sul corpo esanime di Pasolini, dandogli il corpo di grazia. “Io non ho investito volontariamente il corpo del Paolo e nemmeno ricordo di esserci passato sopra con l’auto inavvertitamente”. Pelosi si giustifica: era sotto choc e non capiva niente. Da qui a dicembre Pelosi sosterrà altri 4 interrogatori. La versione che darà, dettaglio più dettaglio meno, sarà sempre la stessa. Pasolini è morto ucciso da un ragazzo di vita, per una banale “lite tra froci”. Pelosi è sì l’assassino, ma lo ha fatto per difendersi dall’aggressività di un intellettuale violento. Ma non voleva uccidere Pasolini, è stata una casualità. Tutto torna, in questo quadro d’insieme. Ma chi analizza i dettagli non è convinto della ricostruzione. E neanche delle indagini degli inquirenti, che sembrano aver risolto in caso nel giro di una notte. Ma non è andata così, ne è convinta Oriana Fallaci, insieme ai suoi colleghi dell’Europeo. Ne sono convinti gli avvocati di parte civile Nino Marazzita e Guido Calvi. Se ne convinceranno i giudici di primo grado: Pelosi non era solo quella sera. Pasolini se l’ha ucciso, non l’ha ucciso da solo.

di Federica Delogu, Emmanuele Lentini e Filippo Poltronieri