Anche Matteo Renzi sapeva dell’indagine segreta (si fa per dire) sulla Consip, la centrale di acquisto della Pubblica amministrazione. A tirare in ballo il segretario del Pd nella fuga di notizie che fa tremare il governo non è un funzionario amico del M5s o un burocrate con simpatie per Bersani e Speranza. Bensì un renziano a 24 carati: Filippo Vannoni, presidente di Publiacqua. Il testimone che fa il nome dell’ex premier davanti ai pm di Napoli è presidente della municipalizzata dell’acqua di Firenze e di altri 45 Comuni dei dintorni, perché scelto nel 2013 proprio da Matteo Renzi e confermato da Dario Nardella nel 2015. Prima di dedicarci a Vannoni cerchiamo di capire perché ci poteva essere tanto interesse tra Roma e Rignano su un’indagine lontana. A Napoli i pm Henry John Woodcock, Enrica Parascandalo e Celeste Carrano indagano da mesi sugli appalti della società Consip, cento per cento del Tesoro, incaricata di fare acquisti per sette miliardi all’anno per tutte le pubbliche amministrazioni.
Indagati per corruzione nell’esercizio delle funzioni (articolo 318 c.p.) sono Alfredo Romeo e Marco Gasparri, funzionario di Consip che si occupa delle gare per le forniture. I pm indagano anche sul più grande appalto d’Europa: 2,7 miliardi di euro suddivisi in decine di lotti, tre dei quali potrebbero finire anche alle società di Alfredo Romeo, in passato finanziatore legalmente della Fondazione Big Bang di Renzi ma soprattutto in rapporti con un amico di Tiziano Renzi: Carlo Russo.
Martedì 20 dicembre gli investigatori napoletani entrano nella sede Consip a Roma e acquisiscono i documenti sulla mega-gara. Poi sentono l’amministratore Luigi Marroni per chiarirsi un dubbio: prima della loro visita sapeva già dell’indagine tanto da far bonificare gli uffici dalle microspie, trovandole. Messo all’angolo dai pm che lo sentono come persona informata dei fatti, obbligato a dire la verità, nonché consapevole di essere stato ascoltato e pedinato, Marroni fa i nomi di chi gli avrebbe svelato l’esistenza dell’indagine: il presidente della Consip Ferrara, che lo aveva saputo – a suo dire – dal comandante dei carabinieri, Tullio Del Sette; poi il ministro Luca Lotti e il comandante dei carabinieri della Toscana Emanuele Saltalamacchia. Ferrara, sentito a ruota dai pm sminuisce il ruolo di Del Sette ma il comandante finisce comunque indagato con Lotti e Saltalamacchia per favoreggiamento e rivelazione di segreto. Il fascicolo finisce a Roma per competenza. Del Sette, sentito il 23 dicembre con grande cortesia istituzionale dal pm Mario Palazzi, nega. A rendere delicata la fuga di notizie istituzionale è il fatto che il padre dell’allora premier, Tiziano Renzi, pur non essendo indagato, è citato più volte nelle carte dell’indagine di Napoli. Tra i soggetti coinvolti nell’indagine su Romeo e compagni c’è poi un amico dei genitori di Matteo Renzi: l’imprenditore Carlo Russo, 33 anni di Scandicci.
Secondo il Tg La7, la signora Laura Bovoli, mamma di Matteo, sarebbe stata sua madrina di battesimo. Comunque Russo è in ottimi rapporti con il padre Tiziano con il quale condivide la passione dei pellegrinaggi a Medjugorje. Inoltre, al Fatto risulta una circostanza molto più importante: è proprio grazie ai buoni uffici di Tiziano Renzi che Carlo Russo è entrato in buoni rapporti con Luigi Marroni, a sua volta in buoni rapporti con Tiziano Renzi. Insomma, proprio Russo per gli investigatori è la figura che potrebbe dare un senso a questa storia perché in rapporti da un lato con Romeo, dall’altro con Marroni di Consip e da ultimo con Tiziano Renzi. Inoltre, secondo il quotidiano La Verità (vedi articolo senza smentita del 6 novembre) il padre di Renzi era terrorizzato per un’indagine di Napoli. Ora si scopre che, secondo quanto detto da Vannoni ai pm, anche il figlio, allora premier, sapeva dell’indagine sulla Consip. Le fughe di notizie sembrano sempre più pezzi di un puzzle a forma di Giglio Magico. Ricapitoliamo. Secondo Marroni, l’amministratore scelto da Renzi avrebbe saputo dell’indagine grazie al comandante dell’Arma scelto dal governo Renzi, al comandante della Toscana, amico di Renzi e al ministro braccio destro di Renzi. Uno spiffero, in questa bufera di soffiate, secondo La Verità, è arrivato all’orecchio del babbo di Renzi. Ora, secondo quanto detto da Vannoni ai pm, un altro spiffero sarebbe arrivato all’orecchio del figlio che allora era premier.
Urge un chiarimento in famiglia su queste soffiate, magari approfittando delle feste natalizie a Rignano. Anche perché il nuovo testimone è ancora più imbarazzante e interno al giro di Marroni. Filippo Vannoni è un renziano di ferro. Presidente di Publiacqua, già presidente del collegio sindacale della municipalizzata Sas, che si occupa di strade, è il marito di Lucia De Siervo, già capo di gabinetto di Renzi sindaco, ora direttore delle Attività economiche del Comune di Firenze con Nardella.
Vannoni è stato sentito a Napoli mercoledì scorso perché il giorno prima davanti agli stessi pm l’amministratore della Consip Marroni aveva citato anche lui, oltre a Lotti, e ai due generali, come fonte delle notizie sull’indagine. Marroni, ingegnere con un passato nel gruppo Fiat, promosso a capo della principale stazione appaltante italiana da Renzi è il punto debole del segretario del Pd in questa storia. Nonostante sia alto quasi due metri, con 59 anni e una carriera alle spalle che lo ha portato a essere vicepresident governance di Cnh a Chicago, Marroni martedì scorso si è trovato di fronte a una cosa più grande di lui. Quando gli è stato chiesto, sotto giuramento, perché avesse fatto fare la bonifica contro le microspie, non ha ceduto all’istinto di protezione dei suoi amici toscani. Così ha tirato in ballo anche il nome di Vannoni, che spesso sta a Roma perché nominato nel dicembre del 2015 come componente del Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica dal ministero dell’Economia.
Convocato d’urgenza di fronte ai pm, il presidente di Publiacqua, come tutti quelli chiamati in causa da Marroni, ha ricordato in termini molto più vaghi le circostanze riferite con precisione dall’Ad di Consip. Da quel che risulta al Fatto però ha messo a verbale anche lui i due nomi più pesanti. Per Vannoni, dell’inchiesta sulla Consip erano a conoscenza i massimi livelli del governo. Non solo il sottosegretario Luca Lotti ma, anche se in termini meno precisi e più vaghi, anche il premier Matteo Renzi. Il nome di Renzi jr entrerà in questa inchiesta non come indagato ma al massimo come persona informata dei fatti, se i pm di Roma decidessero di convocarlo. Le parole del boy scout Filippo Vannoni in fondo potrebbero far sorgere un dubbio nelle menti degli investigatori. Se il boy scout Matteo Renzi sapeva dell’indagine Consip, come spiega il boy scout Vannoni, forse sarebbe il caso di domandarsi: chi disse al boy scout Tiziano Renzi dell’esistenza della stessa indagine? Chissà cosa dicono in materia le regole degli scout.
(Il Fatto ha provato a contattare per telefono e via sms sia Filippo Vannoni che – in tarda serata – Matteo Renzi per avere una loro versione dei fatti, ma non è riuscito ad ottenere risposta).