L’intervista

Blue Whale, parla Matteo Viviani de Le Iene: “Sì, i video russi sono falsi ma il pericolo c’è”

Parla l’autore delle “Iene” che ha raccontato il gioco del suicidio. Prima del servizio zero casi, dopo forse sì. Soltanto emulazione?

Di Selvaggia Lucarelli
7 Giugno 2017

“Sai che sul web in molti definiscono il tuo servizio sul Blue Whale la nuova bufala de Le Iene, paragonandolo al caso stamina? “Ma per favore. La gente guarda il dito anziché la luna”. Matteo Viviani si difende con le unghie dalle accuse che molti giornali e siti gli hanno mosso negli ultimi giorni: aver parlato di suicidi giovanili legati al web in maniera imprecisa, senza prove, con video falsi e con un sensazionalismo pericoloso per via dei rischi di emulazione.

Il 14 maggio Viviani ha svelato in un servizio di grande impatto emotivo il fenomeno del Blue Whale: una sorta di gioco psicologico che attraverso il superamento di 50 prove in 50 giorni istigherebbe gli adolescenti al suicidio.

Si inizia con l’autolesionismo (tagli su pancia e braccia), per poi passare alla visione di film horror fino a buttarsi dal palazzo più alto della città il cinquantesimo giorno (possibilmente ripresi da una videocamera). Nato in Russia, dove tale Phillip Budeikin è stato arrestato perché accusato di essere l’inventore del gioco e di aver istigato alcuni ragazzi al suicidio, il fenomeno, secondo Viviani, si starebbe espandendo ovunque, Italia compresa.

Il servizio di Viviani era confezionato con maestria: un inizio d’effetto con le immagini di adolescenti in cima a palazzi che non esitano a lanciarsi e corpi schiantati. Viviani intervistava poi due mamme russe le cui due figlie si sarebbero suicidate per questo gioco. La sera in cui il servizio è andato in onda, sul web c’è stata una reazione forte. Da quel momento, caso strano, sono cominciati casi su casi di Blue Whale in Italia.

Matteo, perché quei video bufala?
Me li ha girati una tv russa su una chiavetta e ammetto la leggerezza nel non aver fatto tutte le verifiche, ma erano comunque esplicativi di quello di cui parlava il servizio.

Erano sconvolgenti, ma erano un falso.
Era solo il punto di partenza, cambiava qualcosa se mettevo un voice over di 4 secondi in cui dicevo che quei video non erano collegati al Blue whale?

Direi di sì. Come documentato dal sito “Valigia blu” nessuno in Italia prima del 14 maggio cercava “Blue Whale” su Google e dopo c’è stato un picco di ricerche. Non hai paura di aver diffuso tu il fenomeno?
Ieri sono andato in una classe e ho chiesto quanti conoscessero il Blue Whale prima del mio servizio. La metà degli alunni ha alzato la mano. Noi adulti ignoriamo parte del web, specie quella popolata dai giovanissimi.

Come mai la polizia ha cominciato a sventare suicidi legati a Blue Whale solo dopo il tuo servizio?
La polizia ha salvato una ragazzina che era quasi al cinquantesimo giorno del gioco, quindi aveva iniziato prima…

Di dov’è questa ragazzina?
Non si può dire per una ragione di privacy.

Leggo altri casi di interventi della polizia tutti successivi al servizio. E prima?
La polizia non aveva mai sentito parlare di Blue Whale.

Sai che il ragazzino di Livorno citato nel tuo servizio, secondo le indagini, non si è suicidato per il Blue Whale?
Ma noi abbiamo premesso che il legame col Blue Whale era la versione del suo amico e che era solo il punto di partenza del servizio.

Un punto di partenza falso.
In Russia i suicidi ci sono stati, in Ucraina ne sono stati accertati 4. Lo dice la polizia.

In Russia l’arrestato per il Blue Whale era collegato a una sola istigazione al suicidio delle 130 che gli erano state contestate.
È difficile fare indagini quando i server sono sparsi nel mondo e si utilizza Tor per navigare…

Però non si può spacciare un sospetto per una notizia.
La polizia italiana ha confermato l’esistenza di un allarme sociale e mi ha ringraziato per l’attenzione che ho portato sul fenomeno.

Non ti sei posto il problema di aver innescato tu l’emulazione?
Allora non dobbiamo dare più notizie neppure sul bullismo o sul femminicidio?

L’emulazione nel campo dei suicidi giovanili è un fenomeno accertato.
Non posso praticare l’omertà su un argomento e se ho contribuito a salvare anche una sola persona, il mio è stato un lavoro prezioso.

L’Oms ha fornito regole ai media su come trattare l’argomento suicidio giovanile per evitare il rischio emulazione. Punto primo: evitare il sensazionalismo. Ma quei finti video di suicidi erano sensazionalismo puro.
Le Iene hanno questo tipo di narrazione. Ti potrei mostrare tanti altri servizi confezionati così, scegliamo di raccontare la verità in modo crudo. Abbiamo eliminato immagini trovate sul web di tagli sul corpo mostruosi.

L’autolesionismo è sempre esistito, anche se non si chiamava Blue Whale.
Mica giochi al Blue Whale solo se ti suicidi.

È lo scopo, in teoria, altrimenti si parlerebbe di gioco che istiga
Cercare le debolezze nel servizio o certi titoli tipo “Le Iene incastrate nella loro falsità dal web” abbassano l’allerta su questo fenomeno che, secondo me, è anche più grave di come l’ho raccontato.

Sarà. Però la sensazione è che si sia passati da “Le iene portano bene” a (in questo caso) “Le iene non ne escono bene”.

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