L’accusa

Cadaveri e ragazze sfruttate: chi ferma gli orchi del web?

Appelli nel vuoto - Alle denunce sull’imbarbarimento dei social network i gruppi chiusi rispondono alzando il tiro delle oscenità. Ma dopo questo articolo del Fatto, Facebook inizia a fare pulizia

Di Selvaggia Lucarelli
31 Agosto 2017

Quattro gruppi chiusi e account di amministratori e fondatori bloccati da Facebook: il social network di Mark Zuckerberg sembra aver iniziato a fare pulizia dopo questo articolo del Fatto Quotidiano a firma di Selvaggia Lucarelli. È solo l’ultimo di una serie di pezzi contro i gruppi chiusi e le oscenità continuamente pubblicate al loro interno.

In tema di cyberbullismo non si può dire che qualcosa non si sia mosso, negli ultimi mesi. Titoloni sui giornali, editoriali ficcanti, strali della Boldrini, minacce di denunce, solidarietà diffusa e grondante melassa nei confronti di chi subisce gli attacchi sul web. E non è cambiato niente. Anzi. A leggere i commenti in giro sullo stupro di Rimini e i toni della discussione, viene da pensare che non si stia neppure provando a svuotare il mare con un secchiello, ma con un cucchiaino da caffè. I famosi gruppi chiusi su Facebook, quelli in cui arriva il canale di scolo di tutta la fogna del web, per esempio, hanno preso le contromisure. Facebook ha aumentato i controlli? La Boldrini minaccia querele? Bene, noi alziamo il tiro. Tiriamo un po’ più su l’asticella degli insulti, dell’illecito, dello schifo.

E allora succede che i soliti gruppi creano dei nuovi gruppi Facebook (“Beverly Hills 90210” è il nuovo “Sesso droga e pastorizia” e “Psicologia applicata-Il Gruppo” è il nuovo “Welcome to favelas”, per esempio) e dentro queste nuove cloache virtuali si ricomincia a condividere di tutto: gore (foto di morti), porno, pedopornografia, video amatoriali diffusi senza il consenso delle ragazze, indicazioni per il deep web, Bibbia 2.0. Lo sa bene Massimiliano Zossolo, amministratore appunto della pagina “Welcome to favelas”, già citata in vari processi da ragazze che hanno subìto revenge porn, già famosa per il famoso video dei rom sequestrati dai dipendenti Lidl, già nota perché pubblica foto di persone ritratte di nascosto e poi derise dal branco e molto altro.

Quel Massimiliano Zossolo, già noto alle cronache per essere stato condannato a 6 anni per aver assaltato un blindato della polizia durante gli scontri di San Giovanni e che in più commenti sulle sue belle paginette fb ribadisce che delle denunce non gliene frega nulla. Solo negli ultimi tre giorni, i contenuti apparsi su “Psicologia applicata-Il Gruppo” di Zossolo sono stati i seguenti:

1) un dipendente Ama ha postato la foto delle gambe amputate alla povera donna ammazzata dal fratello a Roma un mese fa e ritrovate in un cassonetto dell’immondizia. Lo scopo era quello di ridere con gli utenti del gruppo dell’ingenuità dell’assassino che si è fatto beccare. Il dipendente Ama ha poi dichiarato che la foto gliel’ha passata un poliziotto. Così, come se quelle gambe non fossero parte di un cadavere, di una tragedia, ma di una barzelletta da raccontare agli amici davanti a una birra.

2) alcuni iscritti hanno pubblicato i link per accedere al Deep Web e consigliato siti in cui si vendono droghe, armi e documenti falsi.

3) tale Maurizio ha pubblicato foto scattate di nascosto a una ragazza definita “zoccolaccia” che prova una maglia nei camerini di Decathlon.

4) l’utente Francesco ha pubblicato le foto hackerate della Leotta.

5) molti utenti hanno pubblicato foto di ragazze che prendevano il sole al mare, ignare di essere state ritratte e condivise su una pagina fb.

6) Antonio ha pubblicato il video di una ragazza che fa sesso con un ragazzo, video già finito sulle cronache perché diffuso all’insaputa della ragazza.

7) Federico ha pubblicato il suo video amatoriale con una ragazza orientale girato in Australia e descritto così: “Meno chiacchiere più troie, vi regalo questa giapponese purgata personalmente.

8) Enrico chiede i video della Cantone.

9) Tommaso posta un video con delle ragazzine definite dagli stessi utenti “minorenni”.

10) tale Drew (nome falso) racconta di essere stato denunciato da una ragazza citata dal gruppo perché presente in un video porno amatoriale e raccomanda agli altri di fare attenzione perché lei potrebbe accorgersi della diffusione.

11) alcuni utenti pubblicano link della Bibbia 2.0 e foto di alcuni file pedopornografici.

E così via, in un crescendo di “Bravo!”, “Aahahhah”, “Dove trovo il link della troia?”. E non sono neppure tutti fake, molti sono utenti reali, con le foto del giorno della laurea, le foto allo stadio, le foto con la fidanzata o mamma e papà. Tutti, da Zossolo al dipendente dell’Ama Massimo che ha postato le foto del cadavere, pensano di non rischiare nulla. E non c’è neppure più l’alibi dell’inconsapevolezza del reato o del male che si fa anche senza commettere reati che aleggiava prima. Ora sanno, questi animali, che puoi essere denunciato, che la diffusione di materiale pedopornografico sul web può costare la galera, che gli insulti sono passibili di denuncia, che la Cantone s’è ammazzata, che la Leotta ha denunciato, che tante ragazze hanno sofferto, che lo screen con un tuo commento idiota può costare reputazione, dignità, posto di lavoro.

Eppure nulla. Vanno avanti. Non si può più archiviare il tutto come superficialità. C’è una componente di sadismo e crudeltà che non si può più celare, minimizzare. C’è la volontà di fare del male in branco. Di stuprare moralmente. Non si fermano neppure di fronte alla disperazione della madre di Tiziana Cantone, che non solo non ha avuto giustizia, ma che continua ad assistere alla derisione, alla diffusione dei video, alla mancanza di umanità mascherata da black humour. Non si fermano neppure sul posto di lavoro o di studio, che è diventato la peggior fucina di schifezze condivise e di bullismo spinto. Solo negli ultimi mesi, sempre su questi gruppi, uno studente di medicina che faceva uno stage in un ospedale di Palermo ha pubblicato le foto di un vibratore anale estratto a una paziente, dando dettagli sulla tizia. Una tabaccaia ha pubblicato le foto di clienti stranieri nel suo locale, deridendoli.

Il dipendente di un negozio di telefonia ha pubblicato le ricerche fatte col cellulare da una tizia che gli aveva lasciato il telefono in assistenza. Un dipendente della cancelleria di un tribunale ha raccontato la storia di una richiesta di aborto di una minorenne, apostrofandola come “zoccola che si è fatta ingravidare”. (con i like del figlio di un avvocato fiorentino che prometteva il silenzio). Non si è salvato neppure il mio libro. Un dipendente della stamperia in cui è stato stampato lo ha fotografato prima dell’uscita, ha pubblicato le foto nei gruppi chiusi e si è lamentato di dover lavorare “per questa troia”, cioè io. Ha scritto che pensava di dare fuoco alla stamperia. Ed è stato licenziato.

Ecco, questa è la situazione. Questi sono i risultati di dibattiti e belle parole. Perciò, al momento, non si può fare altro che denunciare. Perché le chiacchiere, fino a oggi, non hanno portato a nulla, se non a un ulteriore imbarbarimento. Forse, e dico forse, con le prime condanne i leoni da tastiera realizzeranno che i ruggiti scomposti possono costare caro. Per ora, noi persone perbene, stiamo perdendo la battaglia, ed è bene saperlo per non raccontarsi favolette.

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