Soffia ghiaccio a Garlasco. La villetta di via Pascoli 8 s’intravede appena in mezzo alla nebbia. Qui il 13 agosto 2007, la 26enne Chiara Poggi fu massacrata e uccisa. Aggressione senza scampo. Picchiata con un’arma mai trovata e poi scaraventata, già esanime, giù per le scale della casa. Morta tra le 9.23 e le 9.31. Un fatto di sangue per il quale è stato condannato in via definitiva Alberto Stasi, l’allora fidanzato di Chiara. Ora, però, a nove anni dal delitto, è successo qualcosa di clamoroso. Non a Garlasco, ma a pochi chilometri di distanza nel vecchio tribunale di Pavia. Qui al secondo piano, il procuratore aggiunto Mario Venditti, magistrato tosto e per molto tempo in forza alla Procura antimafia di Milano, ieri pomeriggio ha iscritto nel registro degli indagati un nome. L’accusa: omicidio volontario nei confronti di Chiara Poggi. Non si tratta di un presunto complice di Stasi. No, qui la storia, raccontata in un esposto-denuncia firmato da Elisabetta Ligabò, madre di Stasi, è un’altra. Esce dalla cerchia dei conoscenti dell’ex bocconiano ed entra in quella della stessa famiglia Poggi. Il ragazzo finito nel registro degli indagati, infatti, è un amico stretto di Marco Poggi, il fratello di Chiara. È questo il risultato arrivato dopo che Fabio Giarda e Giada Bocellari, legali di Stasi, il 19 dicembre scorso avevano annunciato, parzialmente, i contenuti di una lunga indagine difensiva, coordinata da una società d’investigazione privata che in passato ha collaborato con la Procura di Milano.
Le visite in casa Poggi e i giri con la bicicletta
Il dato che da subito ha colpito è stato quello genetico collegato a una nuova perizia sul Dna. Il richiamo al caso Bossetti viene naturale. Ma sarebbe un paragone sbagliato. Nel caso di Stasi, infatti, pare di comprendere dalle carte arrivate mercoledì sera sul tavolo del dottor Venditti, il risultato, pur giudicato importante, è strumentale a dare un nome e un volto al presunto killer, illuminando, e questo è l’aspetto cruciale, un contesto che, secondo la difesa di Stasi, va cercato all’interno della stretta cerchia dei conoscenti dei Poggi.
Le annotazioni arrivate alla Procura di Pavia descrivono questo ragazzo, che all’epoca dell’omicidio aveva 19 anni, abituato a girare per Garlasco in bicicletta. Un dato, quello della bici, che nella lunga istruttoria a carico di Stasi ha ricoperto un ruolo fondamentale. Il 13 agosto 2007, infatti, fuori dalla villetta di Garlasco una testimone disse di aver visto una bici nera da donna intorno alle 9.10 (ora compatibile con il delitto). E che alle 10.20 la bicicletta non c’era più.
Il Dna sulle unghie per dare un nome al killer
Il Dna, dunque. Come prova del nove a un percorso investigativo basato, soprattutto, sulla rilettura delle carte dell’inchiesta. L’analisi di un genetista di parte, il cui nome per ora resta un omissis, svela, secondo la difesa Stasi, un match completo con il Dna trovato sotto le unghie di Chiara Poggi. Secondo questa ricostruzione il nuovo indagato ha lasciato la sua impronta genetica.
La prova, per l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale dei Poggi, non ha, però, valore scientifico. La disputa si fa tecnica. Per scioglierla basta ripercorrere la perizia del genetista della Procura, Francesco De Stefano. Secondo lui il materiale genetico (viene identificato un profilo maschile Y) prelevato sotto le unghie di Chiara non è sufficiente per eseguire il test. Tanto che il confronto fatto con quello di Stasi fallisce. Si legge nelle conclusioni della perizia: “A causa della degradazione e della contaminazione ambientale, non vi è la possibilità di una indicazione positiva di identità”. Dunque, per la difesa dei Poggi, ogni raffronto è impossibile. Diversa l’opinione degli avvocati di Stasi: il match è completo per ben più dei nove marcatori richiesti. Il Dna del nuovo indagato è stato prelevato da una bottiglietta e da un cucchiaino da caffè. Particolare sul quale lo stesso procuratore aggiunto Venditti nutre dubbi di legittimità.
Il dato genetico, pur rilevante, non è conclusivo. Ma alla base dell’esposto della famiglia Stasi, letto dal procuratore Venditti, c’è una nuova interpretazione degli atti già depositati. Emerge che il giovane indagato – oggi lavora come impiegato – è stato sentito già due volte durante questi nove anni. La prima a ridosso del delitto. Il suo nome sta nell’elenco delle decine di persone ascoltate dai carabinieri.
Le verità nascoste dei tabulati telefonici
Un secondo interrogatorio va in scena circa un anno dopo l’omicidio: il ragazzo esibisce un alibi, che all’epoca non desta sospetti. Ora, però, la rilettura degli investigatori privati solleva dubbi su quella testimonianza. Un particolare importante che ieri la Procura di Pavia ha fatto sapere di voler vagliare con molta attenzione, assieme a tutte le carte dell’intera inchiesta conclusa con una condanna in Cassazione a carico di Stasi. Negli atti depositati a Pavia c’è poi una rilettura ragionata di alcuni tabulati telefonici che aiuterebbe a circoscrivere l’attenzione sul nuovo indagato prima del delitto e il giorno stesso dell’omicidio.
Tanti dati e una sola certezza: dopo nove anni la storia del caso Garlasco può cambiare traiettoria. Il procuratore di Pavia, però, prima d’iniziare chiede che la difesa faccia istanza di revisione del processo. “Senza quella – ha spiegato – non si fa nulla. Per ora abbiamo questo esposto. Lo studieremo attentamente”. Rita Preda, madre di Chiara, invece, non ha dubbi: “Il caso è chiuso: il colpevole è Alberto. Basta”.