Sì, proprio quel Brunetta che soltanto pochi anni fa, su questo stesso giornale (allora da me diretto) dipingevamo come il peggior scherano di Silvio Berlusconi, oltre che affamatore del popolo, e sulla cui insolente vanità sghignazzavamo con la stessa battuta renziana sul Nobel (a cui se non ricordo male si era autocandidato). Come mai, mi chiedo adesso, quello stesso Brunetta, oggi feroce agit-prop del No, mi sembra molto meno irritante e pericoloso quando sbraita e azzanna? È cambiato lui o sono cambiato io?
Confesso. Ho apprezzato l’intervento di Massimo D’Alema al convegno “Perché No” di ItalianiEuropei. Sì, quello stesso D’Alema che non troppi anni fa, forse per un articolo sulla sua famosa barca o sulle sue costose scarpe, mi apostrofava definendo il Fatto “giornale tecnicamente fascista” (al che per fare lo spiritoso replicavo: “Perché solo tecnicamente?”). Acqua passata, caro Presidente, sappia che ogni qualvolta la vedo in tv prendere per i fondelli (diciamo) il premier mi sorprendo ad applaudire, e dunque avanti così. Confesso. Ho cambiato opinione anche su Gaetano Quagliariello, anche se non mi dispiaccio di aver giudicato la sua fondazione Magna Carta come un’accolita di insopportabili bacchettoni e baciapile. Ho trovato invece puntuale la sua prolusione nel succitato convegno là dove con poche e calibrate parole spiegava, soprattutto a certi pasdaran del Sì che (ho preso appunti) “quando si discute di Costituzione si decidono le regole della convivenza civile e la convivenza civile è la convivenza tra diversi”. Sacrosanto. Infatti, osservando nelle foto la prima fila del Residence Ripetta e gli antichissimi profili di Gianfranco Fini, Lamberto Dini, Paolo Cirino Pomicino, non riuscivo a reprimere un genuino moto di nostalgia (e pensando a certe facce odierne anche di umana simpatia) per la diversità spesso profonda che mi separava da essi, e dal loro operare, ma che, a quanto ricordo, mai tracimava nell’insofferenza personale.
Si dirà: il nemico del mio nemico è mio amico, e dunque niente di nuovo sotto il sole. Certo, ma in tutto questo c’è anche qualcosa di più umorale, di meno razionale e dunque di più autentico. Poiché, riflettendo sull’origine di questa improvvisa trasformazione dell’antipatia in simpatia, attraverso impulsi che non condivido, sono giunto a una conclusione assai poco politica. Per dirla tutta: se difendo Brunetta, se apprezzo D’Alema, se poso un occhio benevolo sul Dini assopito è soprattutto perché in questa battaglia referendaria mi stanno sentitamente sulle scatole Renzi e i renziani. Qui nella mia mente forse annebbiata c’entrano poco le ragioni del No o il merito della Riforma o i rischi per la Democrazia. Lo so, Massimo Recalcati mi avrebbe già diagnosticato una sindrome livorosa, patologia storico-ancestrale della sinistra, oltre a un incontenibile protagonismo narcisistico dell’Io. Ma che ci posso fare se quando li sento ripetere a macchinetta in televisione che con il Sì viene abolito il bicameralismo perfetto, si mandano a casa centinaia di politici e si chiude il Cnel e che ’sta roba la stiamo aspettando da trent’anni bla bla bla, ho voglia di tirare qualcosa contro lo schermo? Perché, mi aiuti la prego Professore, questi non li sopporto più. Pulsioni totalmente ricambiate a leggere l’istruttiva doppia pagina del Foglio di giovedì che ha raccolto le “idee pazze e sentimentali” di chi vota Sì.
Colgo fior da fiore, sentite un po’. “Stacci tu uomo del No con i salvini e con i grillini” (Sofia Silva). “Sì, per sconfiggere la santa alleanza degli ingrugniti” (Francesco Cundari). “Il principale movimento di opposizione a Renzi è una pericolosa alleanza di cretini e di analfabeti istituzionali” (Guido Vitiello). Ma quello che svetta è Claudio Giunta: “In sostanza vado a simpatia come fanno i cattivi insegnanti. Nella self-righteousness (arroganza, boria, tracotanza, ndr) di molti fautori del No – i paladini della democrazia in pericolo, i vendicatori dei Padri costituenti – mi è parso di ritrovare un atteggiamento che mi fa orrore: orrore. Tra la svolta autoritaria e il trombonismo sono così costretto a scegliere la svolta autoritaria”. Strepitoso. Più chiari di così non si può essere. Sostenitori del No e del Sì ci stiamo reciprocamente sulle scatole per non dire peggio, prendiamone atto. Fu così che la Grande Riforma che, secondo gli auspici di Giorgio Napolitano, doveva favorire la coesione nazionale in tempi calamitosi, una volta messa nelle mani dello statista di Rignano sull’Arno e dei suoi accoliti sta provocando, in Italia e tra gli italiani una colossale frattura politica, civile e sentimentale, nel senso dei sentimenti peggiori. Mancano ancora 50 giorni al voto e continuando così ci arriveremo, se tutto va bene, ficcandoci le dita negli occhi. Così il 5 dicembre chi avrà vinto festeggerà sulle macerie. Ne valeva la pena?