Tutto si gioca sul dolo, ossia sul fatto che dietro quelli che per la procura di Roma sono dei falsi inseriti in un’informativa agli atti dell’inchiesta Consip, non ci sia alcun disegno. E ieri, davanti ai magistrati romani, il capitano dei carabinieri del Noe Giampaolo Scafarto ha cercato di dimostrare proprio questo, partendo dalle modalità con le quali sono state svolte le indagini. L’interrogatorio è durato quasi cinque ore, e con i pm Paolo Ielo e Mario Palazzi, a fare le domande al capitano c’era anche il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone.
Questa è infatti una vicenda delicata: non solo per la portata dell’inchiesta Consip che vende indagati anche il padre dell’ex premier Tiziano Renzi per traffico di influenze illecite e il ministro dello sport Luca Lotti per rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento, ma anche perché è qui che si giocano i rapporti tra la Procura di Roma e il Noe. Sono stati proprio i pm romani che dopo alcune notizie pubblicate sui giornali, hanno deciso di togliere la delega al Noe, differentemente dai colleghi di Napoli che invece hanno preferito lasciarla. E così mentre per Luca Lotti c’è stato non un’interrogatorio ma delle spontanee dichiarazioni e altri come i generali Emanuele Saltalamacchia e Tullio Del Sette (indagati per rivelazione di segreto) non sono stati convocati, per Scafarto ci sono volute cinque ore. Davanti ai pm, il capitano del Noe ha spiegato i passaggi dell’informativa del 9 gennaio redatti da lui.
Sono due le contestazioni di falso: la prima riguarda la frase intercettata “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato” che nell’informativa viene attribuita ad Alfredo Romeo, l’imprenditore napoletano ora in carcere per corruzione. Chi ha pronunciato quella frase non era Romeo, bensì Italo Bocchino. Nell’informativa, parlando della frase intercettata, Scafarto scrive che “assume straordinario valore e consente di inchiodare alle sue responsabilità Tiziano Renzi in quanto dimostra che effettivamente il Romeo e il Renzi si siano incontrati, atteso che il Romeo ha sempre cercato di conoscere Renzi Matteo senza però riuscirvi”. Il punto è che nei brogliacci questa frase era riportata correttamente e sarebbe questa – per gli investigatori romani – la differenza rispetto a tanti altri casi di conversazioni trascritte male dalla polizia giudiziaria che si vedono in tanti processi. Di quella conversazione Scafarto non ha sentito l’audio, e in ogni modo – ha spiegato ai pm – non è stata trascritta in modo erroneo volontariamente. “Il fatto storico c’è- ha spiegato l’avvocato Giovanni Annunziata, difensore del carabiniere – ma riteniamo che non ci sia dolo e quindi non c’è reato”.
Sulla seconda contestazione la situazione è diversa. In questo caso, il falso contestato riguarda il passaggio in cui si fa riferimento ad alcune persone ritenute “sospette” di appartenere ai Servizi segreti perché avrebbero seguito i militari durante le indagine alla Romeo Gestioni. Per i pm, “scientemente” Scafarto avrebbe omesso di inserire nell’informativa che una delle persone presenti era stata identificata (grazie a una jeep) ed risultava essere un dipendente dell’Opera Pia. Scafarto ai pm ha spiegato, in sostanza, che erano quattro le persone avvistate davanti alla sede della Romeo Gestioni, (una il 18 ottobre e tre il 19 ottobre). Nell’informativa però lui ha inserito i tre che non avevano nulla a che fare con la jeep e sui quali vi erano dei sospetti. Nei prossimi giorni arriverà sul tavolo dei pm la memoria difensiva del suo legale.