Il mondo FQ

Così Renzi voleva consegnare Montepaschi a Jp Morgan

La trattativa. L’incontro a palazzo Chigi tra premier, Grilli, Costamagna (Cdp) e il gruppo americano pronto a risanare Mps per poi prenderne il controllo
Così Renzi voleva consegnare Montepaschi a Jp Morgan
Icona dei commenti Commenti

Il 6 luglio scorso il capo mondiale della banca Jp Morgan, James Dimon, detto Jamie, ha pranzato a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio Matteo Renzi. A tavola con loro c’erano il capo di Jp Morgan per il Sud Europa Vittorio Grilli, ex ministro del Tesoro nel governo Monti e per molti anni direttore generale del Tesoro, e il presidente della Cassa Depositi e Prestiti Claudio Costamagna, in passato pezzo grosso della Goldman Sachs – altro gigante delle banche d’affari mondiali in cui ha lavorato l’attuale presidente di Mps Massimo Tononi.

Durante la colazione di lavoro, Renzi ha telefonato al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e gli ha detto in modo abbastanza spiccio che Dimon gli aveva portato la soluzione per il salvataggio di Mps: Jp Morgan si offriva di acquistare tutte le sofferenze e di ricapitalizzare la banca di Siena, diventandone di fatto l’azionista di controllo. Ovviamente avrebbe nominato un nuovo management. Nel palazzo di via XX settembre tra i collaboratori di Padoan ha cominciato a circolare il nome di Antonino Turicchi, oggi consigliere di Mps ma anche capo della direzione Finanza del ministero dell’Economia, considerato molto vicino a Grilli.

Da quel momento si è creata una certa tensione tra Renzi e Padoan. Il ministro ha provocato irritazione nell’impaziente presidente del Consiglio dispiegando le sue placide maniere per fare in sostanza orecchie da mercante. E ha continuato, con l’amministratore delegato di Mps Fabrizio Viola, a tessere la tela della soluzione annunciata venerdì sera. Renzi preferiva la proposta di Jp Morgan perché più diretta, più rapida, meno esposta a incidenti di percorso magari in zona referendum. L’unico risultato concreto per Renzi è stato che Jp Morgan è entrata nell’operazione, insieme a Mediobanca, come advisor e come curatrice dell’aumento di capitale, con conseguenti ricche provvigioni.

Va notato un dettaglio significativo: questa partita si è giocata sotterraneamente dal 6 al 29 luglio mentre Palazzo Chigi e il Mef riuscivano a far scrivere a tutti i giornali che era in corso una serrata trattativa con Bruxelles per far passare una qualche forma di intervento pubblico su Mps senza pagare dazio al bail-in, la regola che impone il sacrificio di azionisti e obbligazionisti subordinati come condizione per un salvataggio statale.

Il duello strisciante tra Renzi e Padoan si è giocato sul prezzo delle sofferenze di Mps. La proposta di Dimon era di comprarle al 18 per cento del valore nominale (su 100 euro di credito inesigibile faccio conto di recuperarne 18). Questo avrebbe comportato per Mps, che ha in carico le sofferenze al 36 per cento, una svalutazione da 10 miliardi di valore netto a 5, quindi una perdita di 5 miliardi. L’aumento di capitale da 5 miliardi annunciato da Viola, avrebbe dovuto salire ad almeno 8 miliardi.

Ma Jp Morgan era pronta a garantire la ricapitalizzazione, finanziata con l’ampio guadagno conseguibile realizzando le sofferenze e finalizzata prendere il controllo di Mps risanato. Per Padoan la prospettiva era indigesta. Il 22 novembre scorso il governo e la Banca d’Italia hanno varato il cosiddetto salvataggio di Etruria e delle altre tre banche dell’Italia centrale (Marche, Ferrara e Chieti), valutando le loro sofferenze al 17,6 per cento e rendendosi conto solo dopo dell’errore di aver dato ai mercati internazionali il segnale che le banche italiane erano tutte marce.

Non è un caso che l’8 luglio, due giorni dopo la telefonata tra Renzi e Padoan, il governatore Ignazio Visco ha dedicato ampia parte del suo intervento all’assemblea dell’Abi (Associazione bancaria italiana) a un’appassionata requisitoria in favore delle sofferenze delle banche italiane, descritte come molto più solide di quanto non si dicesse in giro e con ampie possibilità di recupero nel tempo medio-lungo.

Visco e Padoan, in piena sintonia sul punto, hanno realizzato che, se l’operazione Mps si fosse fatta con le sofferenze valutate al 18 per cento, il segnale ai mercati sarebbe risultato infausto per tutte le banche italiane, anche le più sane. Per questo hanno tenuto duro fino alla fine per prezzare al 33 per cento le sofferenze di Mps. Ciò che per ora non è molto più che un’ipotesi di lavoro. Il valore del 33 per cento è ancora da dimostrare, e il fondo Atlante Due che si farà carico delle sofferenze di Mps lo deve ancora accettare.

Il primo segnale utile sarà, nelle prossime settimane, l’operazione sulle sofferenze della Popolare di Bari, che darà al mercato il primo prezzo vero e di mercato. Nel frattempo la partita Mps resta dunque aperta. E Jp Morgan partecipa all’operazione pronta ad approfittare di ogni sorpresa.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Resta in contatto con la community de Il Fatto Quotidiano L'amato strillone del Fatto

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.