Il professor Gaetano Azzariti, costituzionalista de La Sapienza di Roma, vuol fare una premessa: “In questo dibattito sulle fake news si confondono tre diversi piani: la disinformazione, ovvero la propaganda, l’informazione falsa e il pensiero critico. Gli ultimi due sono già regolamentati: se si dà un’informazione falsa esistono sanzioni giuridiche. Il limite del rimedio giudiziario è che arriva tardi, ma c’è. Il pensiero critico deve essere salvaguardato e non può avere limitazioni perché fa parte della sfera delle libertà. In cui rientrano i reati d’opinione, che nel nostro ordinamento sono fin troppi e andrebbero sfrondati. Un caso emblematico è quello di Erri De Luca che sul Tav ha espresso un’opinione critica, discussa e pure discutibile. Ma la sua libertà di pensiero non poteva essere limitata: l’art. 21 della Carta garantisce un principio che sta alla basa della vita democratica”.
Il problema riguarda quindi la disinformazione.
È un terreno molto scivoloso, ma non si può pensare a sanzioni né pubbliche né private. Per una ragione semplice: qui non vale il rapporto vero-falso. La propaganda può essere becera, ma non si può multare. L’unico vero contrappeso è il pluralismo informativo.
Si può dare a un’Authority il compito di multare la disinformazione?
No. Facciamo un esempio: il referendum del 4 dicembre. Si è affermato che con la riforma costituzionale si sarebbero risparmiati 500 milioni di euro. È stato possibile contraddire questa informazione, citando per esempio i dati forniti dall’Ufficio studi del Senato. La disinformazione sulla “riduzione dei costi” è caduta quando un’altra informazione ha chiarito agli italiani che era un imbroglio. Se avessero creduto a quella non verità, o post-verità come si dice ora, l’esito referendario poteva essere diverso; è stato, invece, quello che conosciamo anche grazie al fatto che una notizia con maggior fondamento è prevalsa. Un problema ulteriore è il seguente: se un tempo la disinformazione arrivava dai partiti, ora è istituzionale. Una volta l’informazione istituzionale era noiosa e asettica, oggi è gioiosa e tendenziosa.
A cosa si riferisce?
Si pensi alla cosiddetta “buona scuola”: forse chi l’ha proposta ci crede pure che quella riforma è “buona”, ma è evidentemente un caso di propaganda. Come si può pensare che un’Autorità possa servire per ristabilire la “verità” e magari ci dica quale riforma sia buona o cattiva, solo la discussione pubblica può stabilirlo. Tornando all’intervista del presidente dell’Antitrust, mi pare di capire che l’idea, secondo me condivisibile, sia quella di non poter affidare a chi gestisce i social network il controllo sui contenuti per un potenziale conflitto d’interessi. La soluzione però non può essere trasferire il potere sanzionatorio a un’Agenzia o a una rete di Agenzie. È vero, il web è un tubo complesso. Ci sono molti imbecilli in giro, come diceva Eco. Ma non si può impedire loro di parlare: il passo successivo è impedirgli di votare. L’unico antidoto, ripeto, è il pluralismo informativo. Non dimentichiamo anche che i social network sono stati lo strumento grazie al quale sono è stato possibile organizzare grandi manifestazioni democratiche, persino le primavere arabe.
Nella risoluzione dell’Europarlamento si legge che il pluralismo dei media è un valore ma “può essere in certa misura limitato”.
Quel documento è spaventoso: è un misto di inesattezze e culturalmente molto regressivo. Sembra di leggere un testo degli Anni 50, in piena Guerra Fredda. Si mischiano la propaganda di Putin con quella dell’Isis. Non sono due cose confrontabili. Il reclutamento da parte dell’Isis è un reato; se Putin dice le peggio cose sull’Ue è propaganda. La risoluzione si propone di sostenere finanziariamente la stampa oggettiva e indipendente che poi è quella filoeuropea: una cosa inaudita. Criticare l’Unione europea anche ferocemente è un diritto. E deve restare tale. Leggo che in Germania, in previsione delle elezioni, il governo sta pensando di sanzionare con una multa da 500 mila euro chi non rimuove entro 24 ore le notizie false, includendovi diverse forme di espressione, anche di propaganda: una deriva assai pericolosa.