Le cose si mettono male per l’Eni: il giudice John Tosho della Alta Corte federale di Abuja, in Nigeria, ha stabilito che il controllo del giacimento Opl245 deve essere trasferito al governo, in via cautelare, mentre proseguono “le inchieste in corso e le indagini a carico dei sospetti” per l’accordo che nel 2011 ha concesso i diritti di sfruttamento a Shell e, soprattutto, a Eni. Le due società petrolifere sono colte di sorpresa e non commentano. Il giacimento è al centro di un’inchiesta internazionale per corruzione: in Italia, la Procura di Milano ha appena chiuso le indagini, con i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Tra gli indagati ci sono l’ex ad dell’Eni Paolo Scaroni e l’attuale capo azienda, Claudio Descalzi, che spera comunque di essere riconfermato al suo posto in primavera dal governo Gentiloni.
Le notizie che arrivano dalla Nigeria però rischiano di complicare le prospettive di Descalzi: la decisione dell’Alta Corte federale potrebbe far svanire i diritti dell’Eni sul giacimento Opl245, senza ovviamente far recuperare il miliardo pagato per ottenerli. Il 20 dicembre la Commissione di inchiesta nigeriana sui crimini economici e finanziari (Efcc) ha messo sotto indagine l’ex ministro della Giustizia Mohammed Adoke con una lunga lista di altre persone e società. Adoke è stato il primo promotore dell’operazione che, in teoria, doveva tutelare l’Eni: pagare soltanto al governo nigeriano dell’ex presidente Goodluck Jonathan, senza doversi preoccupare di che fine facevano poi i soldi. L’11 gennaio 2017, però, Ibrahim Ahmed, un funzionario della commissione Efcc, presenta un affidavit all’Alta Corte federale: è un documento di 21 pagine – che il Fatto ha potuto leggere – in cui si chiede ai giudici di togliere alle società petrolifere il controllo del giacimento “per preservare il bene”. La commissione è arrivata alla conclusione che l’Eni e la Shell non hanno titolo di sfruttarlo.
La commissione di inchiesta, guidata dal governatore della Banca centrale della Nigeria, ha ricostruito tutta la storia dell’Opl245 dopo che, nel 2012, una lettera anonima aveva denunciato un complotto per alterare la compagine azionaria della Malabu, la società titolare che ne aveva venduto la concessione. L’indagine ha rivelato quanto è emerso anche dalle due diligence interne dell’Eni e dall’inchiesta di Milano: la Malabu è stata fondata nel 1998 da Mohammed Sani, prestanome del generale Sani Abacha che governava il Paese, e da Kwekwu Amafegh, rappresentante dell’allora ministro del Petrolio Dan Etete. Proprio Etete concede alla Malabu la licenza di sfruttamento dell’Opl245 “in violazione di tutte le regole governative conosciute”, scrive la commissione. Nel 1998 Abacha muore e il suo prestanome viene fatto fuori dalla Malabu che inizia a trattare con la Shell. Il nuovo governo prova a riprendersi la licenza per darla alla Shell, ma Malabu resiste.
Nel 2011, si legge nell’affidavit, Shell e Agip (Eni) raggiungono un “accordo fraudolento” con la Malabu: le compagnie pagano 210 milioni di bonus alla firma e 1,2 miliardi “ai proprietari della Malabu”. Le indagini hanno rivelato “che i soldi erano mazzette per Dan Etete e i suoi”. Shell “era consapevole al momento della transazione che Dan Etete era il proprietario e che era stato condannato”, per riciclaggio, in Francia. Come fare per non dove trattare con Etete? Si muove Mohammed Adoke, prima consulente del governo per arbitrati a Londra sul giacimento e poi ministro della Giustizia, che “cospirò con Shell e Agip per indirizzare il pagamento di 1,2 miliardi di tangenti attraverso il conto del governo federale presso Jp Morgan Chase”.
L’Eni si è sempre difesa con questa linea: fare affari in Africa è difficile, l’unico modo per cautelarsi è trattare direttamente con i governi. Ma la commissione nigeriana rivela che il primo aprile 2011 Adoke ha mandato una lettera al ministero del Petrolio per riferire sulla trattativa. E il ministero ha risposto dando parere negativo alla transazione perché era “altamente dannosa per gli interessi del governo della Nigeria”. Nonostante questo Adoke procede: come si capirà poi, lo Stato della Nigeria di quei soldi non deve vedere un euro. Il pagamento di 1,2 miliardi arriva alla Jp Morgan Chase di Londra e poi viene “riciclato” attraverso vari conti e società.
Sulla base di tutti questi elementi, conclude l’Affidavit della commissione, “il governo nigeriano sta avviando una ulteriore indagine per le accuse di cospirazione, corruzione, riciclaggio contro Shell e Nigeria Agip Exploration”. L’associazione Global Witness, che da anni denuncia la corruzione intorno all’Opl245, esulta per la “decisione storica” della Corte che tutela quelle “generazioni di nigeriani che sono state derubate da servizi vitali mentre gli uomini bianchi del petrolio si arricchivano a loro spese”. Gli osservatori più cinici pensano che anche il nuovo governo di Muhammadu Buhari voglia la sua quota nell’affare Opl245. Per Eni sono comunque guai.