Meglio tardi che mai. Adesso anche Stefano Folli chiede chiarimenti a Renzi sull’affare Consip. Per mesi ha dormito. Intendiamoci: ha scritto quotidianamente “Il Punto” su Repubblica ma qualcosa gli è “sfuggito” e comunque Renzi non era ancora completamente bollito, meglio non parlarne. Adesso sì, è possibile incalzarlo: chiarisca, “esca dalla nebbia”. Una grande prova di coraggio.
Ne parlo perché è un modello: mostra, come meglio non si potrebbe, i limiti di certa intellighenzia italiana. Dopo anni di renzismo, Folli tira fuori – dai meandri dell’inconscio dove s’era ben nascosto – lo spirito del giornalista che non fa sconti a nessuno: “Non si renderebbe un buon servizio alla verità edulcorando le notizie che arrivano da Napoli”. Incredibile. È proprio ciò che ha fatto per mesi: ha edulcorato le notizie. Di più: le ha ignorate, in linea con gli ordini di scuderia: “Non interloquire col giornale di Travaglio; ignorare gli scoop del Fatto”.
Poi però la realtà s’impone. Viene arrestato Romeo. L’affare Consip tocca livelli altissimi: “30.000 euro al mese promessi a babbo Renzi”. Si può ancora insistere nel non vedere? E allora: “Sta emergendo il reticolo di un sistema di potere… Qui si misura quanta retorica ci sia stata nell’approccio ‘nuovista’ degli ultimi anni”. Sentite come suona bene: “Approccio nuovista”. Folli denuncia la retorica di Renzi e i metodi da Prima Repubblica (“un sistema famelico”). Bisogna riconoscerlo: ha colto il punto. Ma con mesi di ritardo, dopo aver contribuito – non poco – dalla tribuna di Repubblica ad alimentare, pensa tu, proprio la retorica “nuovista”. E lo stesso potrebbe dirsi del suo direttore Ezio Mauro. È sorprendente la capacità di cancellare il passato, ora che Renzi è caduto in disgrazia: “L’attivismo affaristico del padre di Renzi… appariva molto inopportuno già da tempo”. Davvero? E come mai non c’è traccia su “il Punto”?
La verità è che solo adesso – che ha perso il referendum; non è premier; non è segretario; è indebolito dalla scissione – la firma di Repubblica, e i giornaloni, trovano il coraggio d’attaccare Renzi: “I nomi di Lotti e di Tiziano pongono l’ex segretario di fronte a una precisa responsabilità: chiarire quel che c’è da chiarire in una vicenda assai limacciosa”. Folli richiama Grillo e va giù duro: Renzi deve “spiegare perché accettò un finanziamento da Alfredo Romeo per la Fondazione Open, un Romeo già noto alle cronache processuali”. Riconosce – dopo un lungo sonno – l’urgenza di chiarire. In verità c’erano già indizi, incontri, trattorie romane, cene, pizzini, intercettazioni, eccetera. Non bastava. Solo adesso vuole sapere. Quanta ipocrisia in questo candore, dopo anni d’idolatria e mille editoriali renziani.
Infine. L’affare Consip investe anche il governo, i 5Stelle hanno presentato una mozione di sfiducia nei confronti di Luca Lotti, indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreto. Vannoni: “Fu Lotti a dirmi che c’era un’indagine su Consip e di stare attento”. È sulle pagine di tutti i giornali, ma qualcuno avvisi, lo stesso, Stefano Folli (non si sa mai) che l’affaire coinvolge il ministro, altrimenti ci spiegherà, coi suoi tempi – quando Lotti si sarà dimesso – che non poteva stare un minuto di più nel governo della Nazione. È una costante: arrivano sempre dopo – i soloni – ma hanno ogni volta l’aria di spiegarti, di darti una lezione. Soprattutto: accusano chi racconta i fatti di allarmismo. Dimenticano Enzo Biagi: “I giornali sono ansiogeni? Ma la Bibbia non comincia forse con un delitto?”. I giornali, quando fanno il loro mestiere, raccontano la realtà nuda e cruda, questo è il punto. Non tutto però è negativo. Il giornalismo italiano conosce felici eccezioni: le inchieste del Fatto fanno scuola e sono accompagnate – va detto – da quelle di ottimi professionisti presenti in altri (pochi) giornali. Uno per tutti: L’Espresso diretto da Tommaso Cerno. Ma questo è un altro discorso.