Seguivano il movimento No Tav insieme. Non lo facevano da militanti, ma da studiose. Dettaglio inutile per la procura di Torino: entrambe sono state processate per concorso morale in violenza aggravata e occupazione di terreni. Una si è salvata, ma l’altra è stata condannata a due mesi perché secondo l’accusa lei, raccontando i fatti osservati in prima persona, avrebbe dimostrato la sua partecipazione. È il caso che ha unito Roberta Chiroli, 29 anni, e Franca Maltese, 41 anni. La prima studiava le proteste da laureanda alla Ca’ Foscari di Venezia in antropologia: “Ora e sempre No Tav: identità e pratiche del movimento valsusino contro l’alta velocità”, è il titolo della tesi. L’altra, studiosa delle comunità locali, lo faceva per il suo dottorato in sociologia all’Università della Calabria: “Istituzioni e progetto locale. Dalla partecipazione tradita alle comunità di resistenza. Il caso Valsusa”. Hanno seguito una manifestazione del 14 giugno 2013 e per questo sono finite davanti al gup Roberto Ruscello che mercoledì ha condannato la prima e assolto la seconda.
In Val di Susa erano i giorni del campeggio studentesco a Venaus, ma il clima in quei mesi del 2013 non era tranquillo. Un mese prima un gruppo di anarchici aveva preso di mira il cantiere con bombe carta, molotov e aveva e messo in pericolo operai e forze dell’ordine. In quel periodo il movimento No Tav ha i riflettori puntati addosso e le due studiose sono lì a fare delle ricerche sul campo con l’ok dei loro atenei. Così nel pomeriggio del 14 giugno seguono la protesta di un gruppo di liceali contro le ditte impegnate nei lavori della Torino-Lione, come la Itinera, con sede a Salbertrand. “Seguono il corteo e stanno ai margini – racconta l’avvocatessa Valentina Colletta, che le ha difese -, lo si vede anche dalle immagini girate da un dipendente dell’azienda e dal video fatto dai manifestanti stessi. Stanno sempre insieme e non prendono parte alle azioni”. Davanti alla ditta alcuni liceali bloccano l’ingresso mentre altri entrano nel cortile e con le bombolette scrivono slogan. Arriva un’auto dei carabinieri di Susa, ma i ragazzi non la lasciano entrare e non fanno passare neanche un’autobetoniera dell’azienda. Chiroli e Maltese sono lì, ai margini, osservano, poi ripartono con il gruppo per sottoporre dei questionari ai giovani No Tav. “Alla stazione, però, vengono identificati dalla polizia”, continua Colletta. E così risulta che anche le studiose fanno parte del gruppo. Sulla base di quelle annotazioni a Torino il sostituto procuratore Antonio Rinaudo le indaga: “Quando mi è arrivata la notifica pensavo che l’inchiesta avrebbe verificato la mia estraneità dei fatti”, racconta la Maltese. Non accade.
Dopo quella arriva anche il rinvio a giudizio: “Ma eravamo convinte che saremmo state prosciolte”, continua. Lei ci riesce, assolta per non aver commesso il fatto, mentre la sua compagna di avventure si becca due mesi per concorso morale in violenza aggravata e occupazione di terreni: “Ma Roberta non ha commesso quei reati”. L’avvocatessa Colletta è convinta che a influenzare il verdetto sia stato un elemento: “Chiroli ha scritto la sua tesi usando un espediente narrativo, il racconto in prima persona. Durante la requisitoria il pm ha affermato che è un ‘noi partecipativo’ con cui si indica la partecipazione materiale o almeno un contributo morale”. Il giudice, con la condanna a due mesi, deve aver dato retta al pm. Nel frattempo, dopo il processo a Erri De Luca e quello a due giornalisti che seguivano i No Tav, si rafforza una convinzione: “La sentenza si inserisce in un clima repressivo che – dice Maltese – si esercita in maniera accanita, anche contro il diritto allo studio e alla ricerca”.