Con gli schiaccianti successi di Virginia Raggi a Roma, di Chiara Appendino a Torino e di Luigi De Magistris a Napoli, con quello più prevedibile di Virginio Merola a Bologna e con quello più risicato di Beppe Sala a Milano, gli sconfitti sono Renzi e il centrodestra e i vincitori (oltre all’astensionismo, fisiologico nei ballottaggi) sono i movimenti, 5Stelle in primis. Il Pd di Renzi, che partiva favorito per l’abuso fatto dal premier del suo essere al governo, con promesse e annunci, minacce e ricatti, porta a casa due città, ma perde Roma e Torino grazie a una coppia di donne che avrebbe tanto voluto avere dalla sua parte, al posto degli sbiaditi Giachetti e Fassino. I 5Stelle, che non hanno favori né soldi pubblici da scambiare, ma solo voti di opinione e di protesta, conquistano due metropoli cruciali. E poi c’è il fenomeno De Magistris che si riprende Napoli senza partiti né potentati alla spalle, dopo 5 anni di governo decoroso, con un mix di onestà, sudismo, benecomunismo e ribellismo anti-Casta, in parte sovrapponibile a quello del M5S.
I 5Stelle, dopo tanto penare nelle passate amministrative a causa dei loro candidati improbabili o semisconosciuti, ma anche del sistema di potere dei partiti, ottengono un risultato storico: la Capitale è una roccaforte della sinistra in mano a un movimento fondato 7 anni fa da un comico e da un guru del web, sono una notizia che ha del clamoroso. Ma anche un potenziale boomerang per i 5Stelle, se non riusciranno a mettere in piedi due squadre di prim’ordine per competenza, efficienza e trasparenza e a risollevare soprattutto una Capitale piegata dal malgoverno e piagata dagli scandali; al contempo, dovranno resistere alle pressioni dei poteri marci che la comandano dalla notte dei tempi. La Raggi (come la Appendino) potrebbe diventare la testimonial di un nuovo modo di governare e trainare il M5S verso la vittoria alle elezioni politiche; ma anche una zavorra per i suoi e un formidabile spot per gli avversari, che non perderanno occasione per trasformare in travi le sue pagliuzze, come in campagna elettorale. Se sarà l’una cosa o l’altra, dipenderà soprattutto da lei e dal direttorio che l’affiancherà in questa sfida da far tremare le vene e i polsi. Ma dipenderà anche dalla parte migliore della società civile, che si spera riceverà e accoglierà l’invito a collaborare con le due giunte “marziane”, anziché sedersi ai bordi del Tevere e del Po in attesa che passino i due cadaveri, per tornare ai vecchi giochetti (o Giachetti).
I 5Stelle, a Roma come a Torino, dovranno tentare di diventare il più possibile inclusivi, facendo di tutto per coinvolgere la parte sana delle professioni, dell’economia e della cultura, per realizzare insieme un progetto politico che cambi, se non “tutto” come dice il loro slogan, almeno qualcosa.
Quanto a Renzi, può consolarsi con Sala e Merola. Ma l’aria che tira dalle sue parti è tutt’altro che favorevole. E non solo in questa o quella città. Le tre Italie – Pd, M5S e centrodestra – uscite per la prima volta dalle urne del 2013 e confermate dal primo turno di due settimane fa si stabilizzano. E questa è una pessima notizia per la sua illusione di giocare al bipolarismo fuori tempo massimo, scegliendosi l’avversario che di volta in volta gli pare più comodo: ora Grillo, ora Salvini, ora il redivivo B. Ci vuol altro che l’Italicum per mettere la camicia di forza bipolare a un sistema sempre più solidamente tripolare. Se ne accorgerà a ottobre, quando al referendum costituzionale la tenaglia delle sue due opposizioni – 5Stelle e centrodestra (senza contare la sinistra interna ed esterna al Pd) – tornerà a coalizzarsi sul No, lasciandolo solo con il suo Sì.
E se ne accorgerà, a maggior ragione, alle prossime elezioni parlamentari (sempreché non si sia ritirato a vita privata in caso di vittoria del No), quando difficilmente il suo Pd raggiungerà il 40% necessario per intascarsi il premio di maggioranza dell’Italicum, e sarà costretto a un ballottaggio che potrebbe riprodurre lo schema di ieri: tutti contro Renzi. Con il paradosso che chi, fra i 5Stelle e il centrodestra, arriverà secondo al primo turno, potrà anche battere il Pd nella finalissima grazie ai voti del terzo escluso e andare al governo. Se ieri quello schema non ha funzionato dappertutto (per esempio a Milano e Bologna), è soltanto perché nelle comunali contano ancora moltissimo la personalità dei candidati e le loro macchine di potere locali. Cosa che non accadrà al referendum d’autunno, quando si voterà pro o contro la nuova Costituzione Renzi-Boschi-Verdini o, per volontà dello stesso premier, pro o contro Renzi. L’esito ovviamente, per il referendum come per le prossime politiche, è aperto. Ma nessuno potrà più dire che non esistono alternative.