C’è una frase del libro di Matteo Renzi che riguarda l’ex presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e la sua decisione del 2016 di diventare presidente non esecutivo della banca d’affari Goldman Sachs, all’indomani del voto sulla Brexit, per consigliare la banca nei rapporti con Bruxelles. Scrive Renzi: “Non ho mai apprezzato molto lo stile di Barroso. Quando è stato assunto con superstipendio da Goldman Sachs, mi ha colpito l’attacco durissimo che gli ha rivolto François Hollande. Io ne sono rimasto fuori: più che di Barroso – che ha fatto benissimo ad accettare, dal suo punto di vista – l’errore è stato di Goldman Sachs. È proprio vero che non ci sono più le banche d’affari di una volta”. Questo passaggio, che vorrebbe essere spiritoso, dice tutto di Renzi.
Per l’ex premier il problema è che una banca come Goldman si abbassi a reclutare un discutibile politico come Barroso. Ma Renzi non ha obiezioni sul fatto che un rappresentante legittimato da 28 Paesi che nel corso del suo mandato ha discusso di regolamentazione bancaria e di ristrutturazione di debiti greci detenuti da Goldman poi ne diventi dipendente. Renzi non sa, o considera irrilevante, che oltre 150.000 europei si sono mobilitati per denunciare lo scandalo della nomina, per chiedere che a Barroso venissero sospesi i benefici pensionistici di ex presidente della Commissione. Ignora o trascura che perfino la stessa Commissione che ha giudicato l’incarico conforme ai vincoli (erano passati i 18 mesi necessari dalla fine del mandato) ha riconosciuto che Barroso “non ha mostrato la capacità di giudizio che ci si potrebbe aspettare da qualcuno che ha ricoperto un’alta carica per così tanti anni”.
Tutto questo a Renzi non importa. Per lui è normale che un decisore pubblico flirti con una banca mentre è in carica e poi vada a farsi remunerare dopo, anche per la cordialità dimostrata mentre era al potere. Questa è la visione del potere di Renzi. Non si sforza nemmeno più di nasconderlo.