Se le Regionali in Sicilia dovranno essere l’anticipazione delle prossime Politiche, il copione del film che vedremo nel 2018 pare abbastanza scontato: Matteo Renzi e il Pd che abbracciano Angelino Alfano, Berlusconi che ricompone il centrodestra e la sinistra che corre da sola. Ormai nell’isola i giochi sono quasi fatti, perché tutti ragionano in ottica nazionale.
Forza Italia, nonostante i tentativi del commissario Gianfranco Miccichè, ha mollato Alternativa Popolare per salvare l’alleanza con Salvini e Meloni (e per la stessa ragione potrebbe ripiegare sul nome di Nello Musumeci). Così agli alfaniani non resta che annunciare il loro sostegno a Fabrizio Micari, rettore di Palermo che ha ricevuto la benedizione di Renzi, facendo scappare i bersaniani di Articolo 1 e Sinistra italiana.
Mollato da Forza Italia perché avrebbe rotto l’asse con Lega e Fratelli d’Italia, Angelino Alfano adesso rischia di spaccare il centrosinistra. Ad oggi, infatti, i fuoriusciti del Pd (insieme a SI e civatiani) sono fuori dalla coalizione che dovrebbe sostenere Micari. “Noi non ci stiamo più”, afferma Angelo Capodicasa, coordinatore regionale di Art. 1-Mdp.
Il patto Renzi-Alfano farà naufragare definitivamente l’ipotesi di un “campo largo” sul modello di Palermo, auspicata anche dal sindaco del capoluogo, Leoluca Orlando. Lui, ma solo lui, dovrebbe rimanere con Micari (lo ha promesso a Renzi). Tutte le altre anime della sinistra sono pronte a trovarsi un altro candidato, che non dovrebbe essere l’editore Ottavio Navarra (già in campo con Rifondazione comunista). “Aspettiamo solo che il Pd faccia la sua scelta definitiva, poi andremo per la nostra strada”, dice Capodicasa: “Renzi ha barattato le Regionali siciliane con l’accordo per le Politiche”.
È un po’ la stessa logica che muove i passi di Silvio Berlusconi. “Il presidente ha in testa solo le prossime elezioni”, confida chi ha parlato con lui. “Tutti i sondaggi a livello nazionale ci danno vincenti in coalizione e non si può rischiare di spezzare questo trend positivo”. È per questo che il commissario regionale Miccichè, ancora prima di incontrarlo ad Arcore, ha dovuto annunciare la fine di ogni trattativa con Alfano, su cui pesava il veto di Matteo Salvini.
Il vertice di Villa San Martino, però, non è riuscito a sciogliere le riserve sul candidato: “La soluzione magari potrebbe essere un ticket”, spiega Miccichè. Anche se resta il braccio di ferro su chi fra l’avvocato Gaetano Armao (il preferito di Berlusconi) e Nello Musumeci (sostenuto da Fratelli d’Italia) si accontenterà di fare il vice dell’altro. Il commissario di Fi vorrebbe far valere le gerarchie, ma Giorgia Meloni non è disposta a fare passi indietro. “Va bene tutto ciò che prevede Musumeci presidente”, è l’unica cosa che filtra da FdI. E ormai anche dentro Forza Italia ci sono scricchiolii: il senatore Vincenzo Gibiino ieri ha criticato Miccichè e s’è schierato a favore di Nello Musumeci.
Il quadro siciliano è complicato da almeno un paio di variabili “isolane”: il governatore Rosario Crocetta, che ha già annunciato l’intenzione di ricandidarsi e pretende le primarie del centrosinistra; l’altro rettore Roberto Lagalla, espressione di un civismo di sinistra che va a braccetto coi resti dei governi di Totò Cuffaro (di cui fu assessore). C’è persino chi – il candidato di “Siciliani liberi” Roberto La Rosa – lancia il reddito di cittadinanza per le casalinghe.
Solo il M5S per ora ha le idee chiare, avendo da tempo candidato Giancarlo Cancelleri, la cui volata verso il voto del 5 novembre è sostenuta pure dal tour estivo lungo l’isola di Luigi Di Maio a Alessandro Di Battista. Anche per loro, in fondo, il “laboratorio Sicilia” è solo la prova generale delle prossime Politiche.