Essendo noi agnostici, almeno politicamente, dunque alieni da atti di fede a scatola chiusa verso tutti i leader o garanti, non sappiamo esattamente perché Beppe Grillo abbia annullato le “Comunarie” online per l’aspirante sindaco a 5Stelle di Genova, dove aveva vinto la candidata che non piaceva a lui e aveva perso il candidato che piaceva a lui. Non possiamo dunque né affermare né escludere che Marika Cassimatis fosse una temibile infiltrata dei dissidenti o dei nemici del Movimento, come fanno capire a mezza bocca Di Maio, Di Battista e gli altri ortodossi che “si fidano” di Grillo sulla parola. Ma di un fatto siamo certi: se la candidata che aveva vinto le primarie tra gli iscritti genovesi al blog, poi cancellate per ripetere la consultazione con un solo candidato, il tenore Luca Pirondini, non era ritenuta idonea a rappresentare il Movimento, il garante in capo doveva escluderla prima di chiamare i suoi alle urne telematiche, non dopo. Invece l’ha fatto dopo, autorizzando tutti a pensare che le Comunarie siano una farsa: o vince chi vuole Grillo, o si rivota finché non esce il nome giusto. Il che fa di lui ben più di un garante o di un capo: un dittatore.
Si dirà: agli italiani la democrazia interna alle forze politiche non interessa, anche perché nessun partito può dare lezioni di democrazia ai 5Stelle. Può darsi. Ma ciò non significa che la questione sia trascurabile: anzi, è cruciale per le sue conseguenze sulla democrazia esterna, quella delle nostre istituzioni: con le nostre pessime leggi elettorali, che trasformano le elezioni in pure ratifiche formali di scelte compiute altrove, è dal sistema di selezione delle candidature che dipendono in gran parte gli eletti negli enti locali e in Parlamento. Che poi i partiti di destra piazzino sempre chi vuole il capo e il Pd trovi sempre il modo di taroccare le sue primarie con tessere comprate e truppe (anche straniere) cammellate, è vero, ma non assolve i 5Stelle: che, essendo un movimento, avevano promesso addirittura la democrazia diretta. Grillo ricorda che la democrazia è fatta di regole e quelle molto primitive del Movimento danno l’ultima parola al garante, cioè a lui, e chi non è d’accordo vada in un altro partito o ne fondi uno nuovo. Ma le regole servono proprio a evitare gli arbitrii e gli abusi: una volta fissate, devono essere chiare e valere sempre e per tutti, non confuse, variabili e revocabili a posteriori se producono risultati sgraditi. Altrimenti non sono regole, ma abusi. Quattro anni fa i 5Stelle presentarono per la prima volta le liste (bloccate, come previsto dal Porcellum) per Camera e Senato.
E selezionarono le candidature con le primarie online (“Parlamentarie”): gli iscritti al blog potevano votare, nei rispettivi collegi, tra una serie di autocandidati che presentavano un breve video declamando il proprio curriculum e programma. Un sistema pieno di difetti, anzitutto quello di consegnare a poche centinaia o decine di iscritti per ogni collegio la scelta dei futuri rappresentanti di un’enorme platea di elettori (furono 8,5 milioni, alla fine). Ma con un pregio indiscutibile: sottrarre ai fondatori Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ogni influenza sulle liste e dunque sugli eletti. Quando andai a intervistare Casaleggio, gli contestai i limiti delle Parlamentarie. Lui ribatté che erano l’unico modo per far scegliere ad altri e non a lui e a Grillo i parlamentari del M5S: “Io non conoscevo nessuno. Ha fatto tutto la nostra base. Cosa che non si può dire di nessun partito”. Era vero. Il guaio fu che, accanto a diversi “cittadini” di valore, sbarcarono in Parlamento un sacco di sprovveduti, voltagabbana o squilibrati che non tardarono a rivelarsi per quel che erano (una quarantina uscirono poi spontaneamente o spintaneamente a suon di espulsioni e l’altro giorno, per dire, qualcuno ha persino votato per salvare Minzolini, dimostrando di essere salito sul taxi dei 5Stelle senza capirne o condividerne neppure il principio di legalità). In quattro anni quel sistema ha rivelato un’infinità di altri difetti, compreso quello denunciato – chissà mai se a torto o a ragione – da Grillo a Genova. Se in una metropoli di quasi 600 mila abitanti la scelta del candidato sindaco è affidata a 700 iscritti al blog (alle prime Comunarie, poi annullate, la Cassimatis aveva vinto con 362 voti contro i 338 di Pirondini), è naturale che l’esito sia condizionabile dai più spregiudicati e manovrieri o comunque più abili a organizzarsi con pacchetti di voti.
Grillo e Casaleggio jr. lo sanno bene, tant’è che l’anno scorso autorizzarono una serie di deroghe al voto online per le Comunali 2016: i candidati sindaci furono scelti un po’ per acclamazione, un po’ per alzata di mano, un po’ con voto online, un po’ per investitura dall’alto. E ci fu pure il caso milanese di Patrizia Bedori che, sopraffatta dall’emozione per un compito tanto più grande di lei, rinunciò e fu sostituita in corsa, troppo tardi perché il rimpiazzo avesse qualche chance di vittoria. Ora il caso di Genova, ma anche quello di Monza (dove la vincitrice delle Comunarie con 20 voti su appena 66 elettori si è poi ritirata fra le polemiche), dimostrano platealmente che quel sistema non regge più perché si presta a possibili abusi e scalate dal basso (cosa che non avvenne nel 2013, quando il meccanismo era nuovo e chi voleva utilizzarlo per infiltrarsi non ebbe tempo di organizzarsi). Ma la soluzione non è tenerlo in piedi e poi correggerlo ex post, a seconda dei risultati, con abusi e controscalate dall’alto. È sbaraccarlo e inventarne uno migliore. Possibilmente in tempo per le prossime elezioni. Possibilmente per mandare avanti i migliori, anche a costo di introdurre un filtro preventivo dei garanti e di un direttorio allargato, e di lasciare a casa i peggiori.