Prima o poi doveva arrivare ed è arrivato: il momento di diventare renziani. È stato precisamente due giorni fa, quando anche Monica Cirinnà, folgorata sulla via di Orlando, ha scoperto all’improvviso che Renzi “è stato un pessimo segretario, da lasciare alle spalle” visto che ha rovinato il Pd (“un partito immobile e isolato”). E dire che il 4 dicembre scorso, appena cinque mesi fa, twittava giuliva: “Grazie @matteorenzi, senza il tuo coraggio non avremmo governato x 1000 giorni approvando leggi innovative come #unionicivili”.
Grazie @matteorenzi senza il tuo coraggio non avremmo governato x 1000 giorni approvando leggi innovative come #unionicivili @pdnetwork
— Monica Cirinnà (@MonicaCirinna) 4 dicembre 2016
Ora, Renzi ha tanti difetti, ma non il mimetismo: almeno da quando è segretario è sempre lo stesso. Cosa può essere cambiato dal 4 dicembre? Una sola cosa: il 5 dicembre ha perso il referendum e il governo. Per la verità il referendum l’ha perso tutto il Pd, a parte i pochi che votarono No e ora sono andati in Mdp. Ma gli altri preferiscono sorvolare. Anzi trasvolare verso altri lidi. Scelta legittima: solo i cretini non cambiano idea. Ma può capitare che cambino idea anche i cretini, e per sposarne una altrettanto cretina: accade quando si dimenticano di chiedere scusa per aver sbagliato l’idea precedente e passano direttamente alla successiva con la stessa disinvolta sicumera. Se poi la nuova idea è più conveniente della vecchia, il sospetto è che siano pure opportunisti e voltagabbana. Mai visto uno che traslochi dal carro del vincitore a quello del perdente: si attende il referto del medico legale, poi si finge di non aver mai visto né votato né leccato il caro estinto.
Tutti fascisti, tutti antifascisti; tutti democristiani, tutti antidemocristiani; tutti craxiani, tutti anticraxiani; tutti dipietristi, tutti antidipietristi; tutti berlusconiani, tutti antiberlusconiani; tutti montiani, tutti antimontiani; tutti renziani, tutti antirenziani. Negli anni 70, quando nell’intellighenzia andava di moda la sinistra, per chi non s’intruppava era difficile lavorare: Montanelli, il più grande giornalista di tutti i tempi, fu sbattuto fuori dal Corriere e dovette, a 68 anni, farsi un Giornale tutto suo. Subito messo all’indice, ghettizzato, snobbato, tacciato di essere fascista. Poi, con comodo, quando il comunismo finì sotto il muro di Berlino, fu tutto un fiorire di anticomunisti fuori tempo massimo che intrepidamente ne combattevano il cadavere. “Che strano – scherzava il vecchio Indro – quando cercavo anticomunisti per il Giornale era un fuggifuggi. Ora che il comunismo non c’è più, tutti contro. A me i nemici piace combatterli da vivi. Da morti, mi vien voglia di abbracciarli”. La stessa che viene a noi ora che “Renzi chi?” è rimasto solo e si accinge a vincere le primarie di un partito che, nei sondaggi, è terzo su tre.
Iniziò il 6 dicembre Dario Franceschini, la cui fedeltà è sempre al di sotto di ogni sospetto: “Non consentiremo a Matteo di portarci a sbattere contro il muro”. Napolitano, che ha seppellito ben altri cadaveri, lo liquidò sprezzante: “L’idea di Renzi di votare subito è tecnicamente incomprensibile”. A Vincenzo De Luca, Matteo parve tutt’a un botto “strafottente” e autore di “riforme demenziali”. Ed ecco Andrea Orlando: mai un gemito, un vagito, un pigolio contro Renzi per tre anni, poi il ruggito del coniglio: “Troppi errori, voglio ricostruire il Pd” (e chissà dov’era mentre si facevano gli errori e si polverizzava il Pd col suo voto). Sergio Staino, incautamente promosso da Renzi a direttore dell’Unità, gli dà del “cafone”. Nel fuggifuggi generale non tutti notano il consigliere economico Filippo Taddei che lascia il Nazareno in macerie per i “troppi errori: non c’è stato il cambiamento radicale promesso”, anzi “è passata l’idea di un Pd più empatico con i forti che con i deboli” (l’avesse detto quando l’amico era lingua in bocca con Marchionne, Boccia, Briatore & C. sarebbe stato meglio). Repubblica, turborenziana fino al 4 dicembre pomeriggio, inverte la rotta con agile piroetta in serata con Ezio Mauro (Renzi è un “populista”), Stefano Folli (“Matteo esca dalla nebbia” di un “sistema di potere famelico, spregiudicato e del tutto privo di etica pubblica”) e Francesco Merlo (“bullo bellimbusto”, “pacchiano”, “potente spavaldo gonfio di boria”, “scarafaggio”). Galli della Loggia, sul Corriere, ora che ha perso lo trova “insopportabilmente antipatico”.
I prodian-renziani passano armi e bagagli con Orlando. E Sala, il candidato sindaco più a destra di Milano travestito da Renzi e Pisapia nell’alfiere della sinistra? Disperso. Dice: “Alle primarie non mi schiero”. Ah però. Poi firma su Repubblica un appello che sa tanto di fuga con un altro renziano intiepidito, Chiamparino: “Caro Matteo, cambia mare se vuoi restare capitano” (qualunque cosa voglia dire). Restava giusto il Foglio, con Stanlio e Ollio al secolo Cerasa e Ferrara a contendersi le grazie di Matteo. Ma stanno cedendo anche loro. Cerasa scopre che Renzi “rincorre grillini e salviniani sul ridicolo terreno dell’antieuropeismo”, dunque non deve più governare, perché ora si porta molto Gentiloni: il prossimo governo “in nome della mediazione che rottama la rottamazione non potrà che essere affidato a leader affidabili ma con poco consenso”, mentre il prossimo leader Pd dovrà “fare ciò che non ha avuto la forza di fare fino in fondo negli ultimi 4 anni: il segretario di un partito destinato a condizionare il governo più con le idee che col carisma”. Ferrara resiste un po’ alla tentazione di buttarsi sul nuovo premier come su tutti gli altri, da Craxi ad Andreotti, da B. a D’Alema, da Amato a B., da B. a Monti, da Letta a Renzi: “Elezioni subito, non si sospende la democrazia”. Poi inizia a tentennare e ora si capisce benissimo che ama Gentiloni. Perciò, finalmente soli, siamo tentati di passare con Renzi. È vero che gli sono rimasti Scalfari e mezzo Ferrara. Ma queste, com’è noto, sono due aggravanti.