Gode di universale stima e simpatia e la formula, tipica delle valutazioni dei giudici “bravi”, si attaglia a Catello Maresca. Nonostante lo sconcerto che il magistrato, pm della Procura distrettuale antimafia di Napoli, apprezzato per le sue inchieste, ha suscitato con un’intervista pubblicata su Panorama del 13 gennaio 2016, originata da un suo libro sul clan dei Casalesi.
Maresca, di certo, non è andato leggero. Definisce l’antimafia, in generale, “la più eccezionale via di fuga che la mafia ha escogitato per celarsi”. Ma più spesso sembra puntare contro “Libera”. Tant’è che quando “registra e osserva che associazioni nate per combattere la mafia hanno acquisito l’attrezzatura mentale dell’organizzazione criminale e tendono a farsi mafiose esse stesse”, l’intervistatore subito gli chiede se stesse “parlando forse dell’associazione di don Luigi Ciotti”. E Maresca non si dissocia più di tanto. Anzi risponde che “Libera è stata una importante associazione antimafia. Ma oggi mi sembra un partito che si è attribuito un ruolo diverso [di gestione] dei beni sequestrati alle mafie in regime di monopolio [una gestione] pericolosa”.
Risposta che Manzoni avrebbe forse catalogato in un certo modo, mentre Panorama ci ha piazzato sopra un titolo sferzante: “L’antimafia a volte sembra mafia. A iniziare da Libera, che non è più un esempio ma un pericolo”. Come a imprimere le stimmate della mafia sulla associazione fondata da Ciotti nel 1995, impegnata contro ogni declinazione di illegalità, nota e celebrata (anche all’estero) soprattutto per le sue significative realizzazioni sul piano dell’antimafia sociale e dei diritti.
Veemente la reazione di Ciotti: “Quando viene distrutta la dignità di migliaia di persone, di gruppi e di associazioni, penso sia un dovere ripristinare la verità”. E nella convinzione che Maresca avesse travalicato i limiti della legittima critica, annunciava querela poi effettivamente presentata, mirando in modo particolare a dimostrare la “distanza dalla verità reale o anche solo putativa” della tesi offensiva secondo cui “Libera ha monopolizzato la gestione dei beni sequestrati alle mafie”. Intanto, l’intervista (lanciata proprio nel giorno in cui doveva esservi un’audizione di Ciotti alla Commissione antimafia) veniva ripresa alla grande dai media, mentre costituiva un invito a nozze per il plotone d’assalto in servizio permanente contro il coraggioso sacerdote. Nello stesso tempo, obiettivamente diffuso era il disorientamento di molti, stante il credito goduto da Maresca.
Oggi, la querelle registra un ultimo capitolo. Con una lettera Maresca si dispiace per “lo spiacevole equivoco nato a seguito dell’intervista”.
Parla di “libera interpretazione di un concetto più articolato”, secondo cui in certi territori l’affidabilità di “Libera” può far sì che anche “persone solo apparentemente perbene” cerchino di avvicinarla al solo scopo di trarne vantaggi personali. Di qui un grido di allarme, all’unico scopo di ammonire contro possibili strumentalizzazioni. Mai pronunciate né condivise le parole del titolo dell’articolo. Mai voluto screditare il quotidiano impegno degli “amici di Libera”. Con un Comunicato/Commento, Libera e Ciotti ribadiscono la sofferenza patita per i giudizi ingiusti dell’intervista. Definiscono la lettera di Maresca “un gesto importante che gli fa onore, in sintonia con il suo ruolo e la sua responsabilità di magistrato”. Condividono il suo “grido d’allarme”, ma rivendicano di essere stati tra i primi a denunciare gli intrallazzi di certa antimafia di facciata.
Bene così. Lettera e commento mettono una pietra su di una vicenda che (ritornando a Manzoni) poteva trasformare in “polli di Renzo” soggetti ugualmente mossi da risoluti intenti antimafia. Può riprendere un proficuo percorso comune.