Le organizzazioni non governative si prendono qualche libertà per salvare migranti che altrimenti morirebbero in mare? Succede. Sono parte di un racket che garantisce a chi paga il salvataggio e ai salvatori finanziamenti? Non c’è alcuna prova di questa tesi. Luigi Di Maio, dei Cinque Stelle, ha chiamato le navi delle Ong nel Mediterraneo “taxi del mare”, richiamandosi a un rapporto di Frontex, l’agenzia dell’Unione europea che deve presidiare le frontiere. Il rapporto sull’analisi dei rischi 2017 di Frontex non parla di “taxi”, ma allude al concetto, con qualche perifrasi. Fissare punti fermi in questa vicenda non è facile, visto lo stratificarsi di fatti veri, altri plausibili e un po’ di fake news di propaganda.
PERCHé SE NE PARLA. A novembre una società di ricerche geopolitiche basata in Olanda, Gefira, usa un sito che traccia le rotte delle navi (marinetraffic.com) per dimostrare che spesso quelle delle organizzazioni non governative arrivano molto vicine alla costa della Libia a raccogliere persone che poi portano in Italia: “Ong, mafie, trafficanti, colluse con i governi, con la scusa di salvare vite umane, hanno portato migliaia di clandestini in Europa”. Gefira ha uno staff di sei persone di cui sono indicati solo i titoli di laurea, la sua linea anti-Ue è evidente dai contenuti del sito. Il 6 marzo Luca Donadel, che si presenta come 23enne studente di Scienze della comunicazione a Torino, replica l’analisi di Gefira (usando lo stesso sito Marinetraffic) in un video su Facebook – “La verità sui migranti” – che diventa virale e viene rilanciato da giornali e tv. Donadel cita una manciata di casi di navi che vanno vicino alla Libia a prendere migranti. Una delle ipotesi su cui si regge il video è falsa: le persone salvate non possono essere lasciate in Tunisia che non risponde allo standard internazionale di “porto sicuro” (neppure l’operazione Mare Nostrum, quella gestita fino al 2014 dall’Italia, ha mai lasciato migranti in Tunisia). Donadel, molto attivo su temi anti-Ue, usa il video per fare pubblicità al libro di Mario Giordano Profugopoli e annuncia una raccolta di fondi per finanziare le sue ricerche.
L’INCHIESTA. La Procura di Catania – oltre a quelle di Cagliari, Reggio Calabria e Palermo – è quella che da più tempo indaga sul ruolo delle Ong che salvano migranti. Il procuratore Carlo Zuccaro ha parlato a La Stampa anche di “telefonate che partono dalla Libia verso alcune Ong, fari che illuminano la rotta verso le navi di queste organizzazioni, navi che all’improvviso staccano i trasponder sono fatti accertati”. Nel 2017, ha detto Zuccaro, metà dei migranti arrivati a Catania sono stati salvati da Ong.
In passato, i trafficanti portavano i loro passeggeri su “navi madri” vicino alla costa italiana, poi li smistavano su imbarcazioni più piccole e precarie e li abbandonavano in attesa dei soccorsi. Le autorità in alcuni casi riuscivano a catturare i trafficanti puntando sulla nave madre. Oggi, invece, i migranti vengono spesso stipati su gommoni di fabbricazione cinese e abbandonati poco lontano dalla Libia, spesso senza neppure un telefono satellitare per chiamare. La Procura di Catania ha quindi avviato un’indagine conoscitiva per capire se questo comportamento dei trafficanti si spieghi con la certezza del salvataggio, magari comunicando direttamente alle Ong il punto in cui ci sono le persone da recuperare. I magistrati hanno poi vaghe curiosità sul finanziamento di cinque organizzazioni che usano sei navi: Sos Méditerranée, Sea Watch Foundation, Sea-Eye, Lifeboat, Jugend Rettet.
Il procuratore Zuccaro ha detto in audizione alla Camera che Aquarius, la nave di Sos Méditerranée, costa 11.000 euro al giorno, il peschereccio Jugend 40.000 euro al mese. Tutte le ong rispondono di usare donazioni private. Non c’è un solo elemento che giustifichi il sospetto che qualcuno si arricchisca nelle operazioni di salvataggio (a parte i trafficanti, ovviamente). Il finanziere americano George Soros, odiato da tutti i movimenti “sovranisti”, ha finanziato solo Medici Senza Frontiere nel 2010, ma solo per il terremoto di Haiti, dice l’organizzazione.
Il VUOTO EUROPEO. La principale operazione marittima che riguarda i migranti è Triton, il programma dell’Unione europea per il pattugliamento del Mediterraneo e il contrasto del traffico di migranti. Si impegna in operazioni Sar (Search and Rescue, ricerca e salvataggio) se necessario, ma lo scopo della missione non è salvare vite umane. Idem per Mare Sicuro del governo italiano e Eunavfor Med-Sophia, altra missione militare a guida europea. Il pattugliamento di Triton copre un raggio di 138 miglia nautiche e arriva a 70 miglia dalle acque territoriali libiche. Molto lontano da dove i trafficanti abbandonano i profughi. Nessuna missione istituzionale ha quindi come priorità quella di salvare i migranti. Che è invece l’unico obiettivo delle Ong operative nell’area.
Ha spiegato il procuratore Zuccaro: “Le Ong sono quasi sempre più vicine al luogo del soccorso di qualsiasi altro peschereccio o imbarcazione che si trovi a operare nel Mediterraneo, il che è facilmente comprensibile perché lo scopo delle Ong è proprio quello di andarli a cercare, mentre gli altri natanti hanno ben altro tipo di scopo (vanno a pescare o a svolgere altre attività commerciali)”. Questo spiega anche perché gran parte delle persone vengano salvate proprio da barche non governative.
La zona grigia.A coordinare le operazioni nel Mediterraneo è il Mrcc Roma (Centro di coordinamento del soccorso marittimo) della Guardia costiera, che risponde al ministero dei Trasporti. Michael Buschheuer, imprenditore tedesco, ha fondato Sea-eye, una Ong con un peschereccio che dal 2016 interviene per aiutare i migranti sui barconi mentre sono in mare ma senza portarli in porto. In audizione alla Camera ha spiegato che “nel 50 per cento dei casi” è il Mrcc a segnalare necessità di intervento vicino alle acque territoriali libiche (12 miglia dalla costa). Sull’altro 50 per cento è stato vago, soprattutto avvistamenti diretti. Anche in quel caso, comunque, l’informazione viene comunicata al centro della Guardia costiera che poi fornisce indicazioni su come muoversi.
In sintesi: ufficialmente non ci sono interventi pubblici di salvataggio, ma c’è una regia della Guardia costiera che coordina le barche delle Ong, tanto di quelle grandi come Medici Senza Frontiere quanto di quelle più piccole tipo Sea Eye e Moas. Non c’è alcun controllo istituzionale sul flusso delle informazioni. E la missione delle Ong è salvare vite, non combattere i trafficanti (che in alcuni casi hanno sparato, contro Msf o sequestrato imbarcazioni, come a Open Eye). Questo contesto determina, secondo Frontex e i critici, un pull factor, cioè un incentivo che attira i migranti verso chi li salva e li porta in Italia. Ma, come riassume il sottosegretario agli Esteri Mario Giro, “il vero pull factor è quello geografico, la vicinanza dell’Italia alla Libia”.