Torneo letterario - La vincitrice del concorso nel 2010

Valentina D’Urbano: “Non volevo fare la scrittrice. Poi ho inviato il mio romanzo”

Di Valentina D’Urbano
13 Gennaio 2017

Io non volevo fare la scrittrice. Non avevo mai pensato che scrivere potesse diventare un lavoro, anche se sono sempre stata attirata dai mestieri originali e creativi, quelli che la nonna ti chiede se hai trovato lavoro, tu le dici che fai l’illustratore, tua nonna ti guarda confusa e ti chiede: “Va bene tesoro, ma di lavoro che fai?” e poi ti allunga 50 euro. Ecco, a me ha sempre affascinato il fatto di fare un lavoro che per forza lo devi spiegare. E per questo volevo fare l’illustratrice, non la scrittrice, ché è una roba ancora più difficile da fare e da spiegare. Anche se poi scrivere mi piaceva, l’avevo sempre fatto.

Forse è stato il caso, forse il destino, ma un pomeriggio piovoso del 2010, stavo giocando a Baldur’s Gate, un videogame fantasy, e in quel momento mi apprestavo a incanalare la mia rabbia e la mia disillusione giovanile nella mazza chiodata di un nano, quando suona il telefono e sullo schermo appare il numero di un amico mio. “Oh” dice lui. “Eh”. Faccio io. “Ho visto una cosa su Internet”. “Oddio, ancora il video delle capre che ridono? E basta, dai. C’hai 25 anni”. “Non sono le capre che ridono. È una cosa per te. Un Torneo Letterario”. “Che?” “Un Torneo Letterario, si chiama IoScrittore. Tu invii il tuo romanzo e vieni valutato dagli altri concorrenti, e intanto tu valuti i romanzi degli altri”. “Ah, che strano”. “È una cosa nuova, la prima edizione… Provaci, no?”. “Nah… non ho niente da inviare”. “Le iscrizioni scadono tra venti giorni. Scrivi qualcosa e manda, puoi farcela”. “Torneo Letterario IoScrittore? Dai casomai gli do un’occhiata”. “Vabbè, io torno a guardare il video delle capre che ridono“. Chiudo la comunicazione, spengo la Playstation.

Esco in balcone, guardo giù la strada sporca e i muri scrostati, guardo su, i tredici piani di palazzone popolare che ho di fronte, la pioggia che annega tutto, ma non nasconde. E ci penso a quella cosa che ha detto l’amico mio, il Torneo Letterario. Ma che devo raccontare io? Che cosa ho da dire? Questo. Dice la mia perfida vocina interiore. Questa roba qua che c’hai davanti. Le case popolari e la gente che si ammazza e gli spari di notte, il terzo piano con gli appartamenti occupati, i ragazzi accasciati sulle panchine rotte. Questo gli devi raccontare. C’avevi 16 anni quando hai detto che prima o poi avresti scritto una storia su questo posto, tu magari non te lo ricordi, ma io sì. C’avevi 16 anni, e hai detto che l’avresti scritta quando saresti stata più grande. Ecco, adesso sei più grande. Scrivi.

Torno dentro, accendo il pc, cerco questo Torneo Letterario. Ci provo, nessuno mi obbliga a partecipare, nessuno mi obbliga a finire un romanzo in venti giorni. Non ce la farò mai, ma ci provo. E invece ce l’ho fatta. Ho inviato il mio romanzo l’ultimo giorno utile, col cuore in gola. E avevo il cuore in gola perché la storia che avevo scritto mi aveva coinvolto, mi aveva tenuto sveglia la notte, mi aveva fatto incazzare, mi aveva fatto ridere, mi aveva fatto piangere.

Carico il file sulla piattaforma di Io Scrittore e premo Invio. Tra sette mesi saprò che ho vinto, che Il rumore dei tuoi passi verrà pubblicato da Longanesi. Tra sette anni invece, di libri pubblicati ne avrò cinque, traduzioni all’estero, molti premi, una bella carriera per cui ringrazio tutti i giorni. Ma per adesso sono solo una 24enne spaventata, che ha paura che qualcuno possa criticare quella storia venuta dal cuore e dallo stomaco, che non sarebbe mai uscita se non ci fosse stata l’opportunità di mettersi in gioco col Torneo. Allora alzo il telefono e chiamo l’amico mio. “Oh”. Faccio io. “Eh”. Dice lui. Rumore di capre che ridono in sottofondo. “Ce l’ho fatta, eh. Ho inviato il romanzo a IoScrittore“. “Hai visto che ci riuscivi?” “Mi sento un po’ strana, sai? Hai presente la sensazione che hai quando vai in vacanza, conosci qualcuno, ti affezioni, poi però a fine agosto lo devi salutare e sei triste, ma sei anche contento che lo rivedrai l’anno prossimo?”. “No, io non so mai andato in vacanza in vita mia”. “Vabbè, però la sensazione l’hai capita.

Ecco, è così che mi sento adesso. Sono triste perché ho lasciato i miei personaggi. Ma sono felice perché posso scrivere un’altra storia… ehi?” “Che c’è?” “Mi sa che voglio fare la scrittrice”.

 

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