L’isolazionista divenuto interventista grida forte ‘Al lupo! Al lupo!’. Ma, se non fosse per i missili sulla Siria, nessuno gli baderebbe: il ‘braccio di ferro’ verbale tra Usa e Corea del Nord va avanti da tre settimane e viene considerato, dal New York Times, un remake alla moviola della crisi dei missili a Cuba nel 1962 tra Usa e Urss. Gelido il brivido di paura che corse allora lungo la schiena, rapido l’epilogo, diverso lo spessore dei personaggi: il vecchio Trump non è il giovane Kennedy; e il dittatorello Kim non è il commissario politico della battaglia di Stalingrado, Kruscev.
Meglio, quindi, che tutto accada ‘al ralenti’: se nel 1982 la Thatcher avesse mosso la sua flotta con la stessa flemma con cui la portaerei Vinson ha fatto rotta verso la penisola coreana, le Falkland oggi sarebbero ancora Malvine. Perché i rischi stanno, più che nella situazione coreana, da anni sostanzialmente stabile, nella imprevedibilità dei leader coinvolti. Il presidente Trump ha la tentazione di aggiustare le cose del Mondo assestando qualche martellata, visto che quelle dell’America non vanno a posto da sole. I suoi metodi gli hanno valso un ennesimo record: le ricerche su Google su Terza guerra mondiale, e su Guerra nucleare, non sono mai state così numerose dal 2004, da quando cioè ne esistono statistiche.
Minacce e lusinghe s’intrecciano, nei cento giorni di Trump alla Casa Bianca: i tamburi di guerra per la Corea del Nord; e i miraggi fiscali per i cittadini americani, meglio se ricchi. Alla fine della luna di miele con gli elettori, il magnate si conferma maestro nello ‘spostare la palla’. In inglese, le manovre militari si dicono “war games”, ossia giochi di guerra. E giochi di guerra sono le schermaglie tra Washington e Pyongyang: come se Trump considerasse Kim III un bersaglio da esercitazione.
Nell’ennesima intervista sui cento giorni, alla Reuters, il presidente avverte che “la tensione è alta” e ammette che “un grande, grande conflitto con la Corea del Nord è possibile”; e mentre fa l’elogio della Cina, che prova a tenere a freno il riottoso alleato, dubita del successo della diplomazia. Così, fornisce missili-antimissili alla Corea del Sud. Esperti di Dipartimento di Stato e Pentagono, che seguono da decenni le ricorrenti crisi coreane, confidano ai giornalisti che la retorica e il flettere dei muscoli rendono la minaccia più imminente di quanto sia: “Vogliamo che Kim ritrovi il buonsenso, non metterlo in ginocchio”. Cina e Ue lavorano per riaprire i canali di negoziato chiusi dal 2008.