Einaudi in materia di fumetti ha una politica riconoscibile e, si immagina, con qualche risultato di vendita vista la tenacia con cui la persegue: puntare non tanto sul nome dell’autore, quanto sull’argomento trattato, qualcosa di impegnato, che garantisca visibilità tra il pubblico generalista, pazienza se chi legge davvero fumetti rimane tiepido. È chiaro che dietro la pubblicazione di Che c’è questo ragionamento: una biografia breve, un centinaio di pagine, accessibile a tutti, disegnata con grande leggibilità. E in uscita con un certo preavviso sulla ricorrenza, in modo da intercettare l’inevitabile onda di celebrazioni per i cinquant’anni dalla morte di Ernesto Guevara, il 9 ottobre 1967. Al netto delle scelte di marketing, questa volta l’autore attira anche il pubblico più esigente: Manuel Rodriguez, che si firmava “Spain Rodriguez”, scomparso nel 2012. Ogni singola vignetta rimanda a quella scuola di fumettisti underground poi diventati venerati maestri che arriva fino a Robert Crumb, Art Spiegelman e quello stile radicale e arrabbiato che troverà la sua consacrazione nella rivista Mad.
Poteva un radicale newyorchese nato nel 1940 rimanere indifferente al fascino del “Che”? Ovviamente no, e la sua biografia non ha alcuna pretesa di terzietà, si chiude addirittura con una specie di testamento politico: “Che Guevara era un precursore impulsivo e testardo ma sempre concentrato sulla sofferenza di chi lavora per mantenere i privilegi altrui, purtroppo per i servi di queste sanguisughe il suo nome è onorato in tutto il mondo, che sia sempre così”. Questo è lo spirito della biografia. Ma lo sforzo titanico di condensare una vita così ricca, dal viaggio latinoamericano sulla motocicletta Poderosa all’assassinio in Bolivia, ha spinto Spain Rodriguez a sfrondare, a ridurre la narrazione all’essenziale, sacrificando magari qualche sfumatura ma anche quasi tutta la retorica che di solito permea queste agiografie.
Il libro arriva ora in Italia, a pochi mesi dalla morte di Fidel Castro, ma negli Usa è uscito nel 2008, l’anno dell’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca, quando Hugo Chavez era vivo e rappresentava l’ultimo erede di quella stagione (in una delle ultime vignette, Fidel gli mette una mano sulla spalla e dice: “Hai ragione tu, Hugo, di questi tempi le elezioni sono la strada giusta” e non c’è ironia). Oggi il mondo è più cupo, Castro è morto e anche questo culto del Che inizia a sembrare davvero un po’ vintage.