La Microsoft sembra rimasta indietro rispetto ai più dinamici campioni della Silicon Valley, Apple, Amazon, Google, Facebook, che ormai ritmano le nostre giornate a suon di smartphone, super computer, elettrodomestici e auto iper digitali. Ma il dinosauro di Redmond occupa una posizione da monopolista nei desktop della pubblica amministrazione, un settore, che da solo pompa il 30% dei ricavi dell’Information Technology in Europa. Eppure l’alternativa esiste e si chiama open source, software libero: chi sviluppa i codici li mette a disposizione della comunità, basta scaricare gratuitamente un programma e poi cercare l’assistenza sul web o pagare dei professionisti. Imprese locali. Senza la licenza che t’imprigiona a vita.
Il “Lock-in”, primo problema – Nel 2014, un tremito di panico ha attraversato i servizi digitali di Olanda, Regno Unito e le province tedesche di Berlino e della Bassa Sassonia. La Microsoft ha annunciato di sospendere il sistema di sicurezza di tutti i computer delle amministrazioni pubbliche, se i governi non si affrettavano a sostituire il vecchio Windows XP con Windows 7. Non c’era possibilità di negoziare. Risultato: solo per un anno il governo olandese ha dovuto sborsare 6.5 milioni di euro per un software di protezione del suo vecchio sistema operativo, prima di migrare verso il nuovo modello Microsoft. Lo stesso hanno dovuto fare le altre amministrazioni europee. Il problema si ripresenterà nel 2020, quando Microsoft aggiornerà i suoi sistemi operativi Windows. Perché l’amministrazione pubblica dei nostri Paesi è incatenata ai programmi Microsoft. Gli esperti lo chiamano “vendor lock-in” essere legati a un solo venditore. I documenti sono tutti formattati con Windows.
Questa dipendenza si è accentuata negli ultimi dieci anni. Spiega Martin Schallbruch, fino al 2016 capo del servizio informatico del governo federale tedesco: “Il lock in delle amministrazioni sarà un tema molto serio nel futuro, se non si agisce con investimenti importanti i nostri Stati rischiano di perdere il controllo sul proprio sistema informatico. È una questione di sovranità”.
Diego Piacentini, il commissario voluto da Renzi per digitalizzare l’Italia, manager in aspettativa di Amazon, spiega: “Nella Pubblica amministrazione italiana ci sono tanti servizi che non sono utili e non si parlano tra loro. Il vero problema oggi è la mancanza di operabilità e questa la puoi ottenere non solo con open source, ma anche con un altro applicativo proprietario”. Ma se si continua a investire in software e nuove applicazioni (l’anagrafe unica, le fatture on-line, i documenti on line) che si agganciano sempre al sistema operativo Windows, della Microsoft, non se ne uscirà più. “La Pubblica amministrazione non può e non deve essere ricattabile”, dice Flavia Marzano, Assessore IT al Comune di Roma, una lunga carriera come professore di Tecniche per l’Amministrazione Pubblica. “Devo avere il controllo sul software che controlla i dati dei miei cittadini”.
Le istituzioni europee sanno, ma non agiscono – La Commissione europea conosce bene il problema della dipendenza. Nel 2013 ha pubblicato il rapporto Contro il lock-in, domandando una nuova politica per superare la dipendenza dai software proprietari. “Gli standard aperti creano concorrenza, spingono all’innovazione e fanno risparmiare denaro”, scriveva la Commissaria alla concorrenza Neelie Kroës quattro anni fa, quantificando in 1,1 miliardi di euro all’anno il costo della “non–concorrenza” nel settore pubblico. Ma nulla si è mosso. L’anno prossimo scadrà un importante blocco di licenze alla Commissione. Occasione per cambiare? “No, firmeremo con la Microsoft, stiamo valutando le alternative, ma per il momento non ce ne sono, non possiamo bloccare tutto il sistema”, ha detto a Bruxelles Gertrud Ingestad, direttrice generale per le infrastrutture digitali. Eppure Google, Facebook e Skype (che appartiene a Microsoft) usano il sistema a codice aperto Linux. La stessa cosa per il controllo del traffico aereo europeo, per gli uffici fiscali di mezz’Europa (ma non in Italia), per la Marina olandese, per la gendarmeria francese. Tutti con Linux.
La Difesa italiana diventa libera – Alla caserma De Cicco, a Roma, il generale Camillo Sileo sta portando avanti una rivoluzione. Tre anni fa, in spirito di spending review, ha proposto ai suoi superiori di tagliare il costo delle licenze Microsoft, 28 milioni di risparmi in 4 anni. Il ministero della Difesa ha accettato. Microsoft non l’ha presa bene: si racconta che il Capo del servizio commerciale della Microsoft sia volato da Redmond per impedire questa migrazione, ma niente. Sileo e il suo staff tecnico avevano preparato bene il colpo, con uno studio che spiegava perché era possibile migrare a LibreOffice (il software open source per i computer fissi). “Abbiamo scoperto che solo il 15 per cento degli utenti usa appieno Office, cioè Word, Excell e Power Point, per il resto il desktop è come una macchina per scrivere. Non c’era quindi bisogno di pagare tutte queste licenze”. È partito LibreDifesa: da settembre 2015 ad oggi sono stati cambiati 33.000 computer, si arriverà a 100.000 nel 2020. E nei tre corpi della Difesa, l’Esercito, la Marina e l’Aviazione. “Abbiamo preparato questa migrazione con l’aiuto di LibreItalia, un’associazione no profit che diffonde l’open source nella Pa italiana”. Dietro al generale Sileo, per sei mesi, c’era l’occhio attento di Sonia Montegiove, presidente di LibreItalia, un’informatica della Provincia di Perugia. Sileo mostra due schermi con i due software da lavoro, Office e Libre Office. “Sono uguali”. Solo che uno costa 280 euro a utilizzatore, ogni tre anni, l’altro è gratuito e lo posso cambiare come voglio. Sonia Montegiove spiega che altre Pa italiane sono passate a Libre Office: “I comuni di Bari, Verona, Trento, Assisi, Norcia, Todi, la Provincia di Perugia e il consiglio regionale dell’Umbria. Alcuni altri hanno migrato, ma non vogliono farlo sapere, per paura della Microsoft”.
Vietato disturbare il gigante – In Italia il codice per l’amministrazione digitale o CAD, esiste dal 2005 ed è stato riveduto già tante volte. Però l’impianto resta: “Le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici, dopo una valutazione comparativa tra (nell’ordine): “software sviluppato per conto della pubblica amministrazione; riutilizzo di software sviluppati nella Pa; software libero o a codice sorgente aperto; software fruibile in modalità cloud computing e software di tipo proprietario”. Prima il software libero e poi quello proprietario. Peccato che non ci siano sanzioni, né incentivi. E dunque chi si avventura verso l’open source, rischia di scontrarsi con Microsoft. Nella provincia di Bolzano per quattro anni un’equipe di quattro funzionari ha lavorato a tempo pieno al viaggio verso Libre Office: si risparmiavano 500 mila euro di licenze il primo anno e 1 milione ogni anno successivo. Ma nel 2014 cambia la giunta e il 12 aprile 2016 viene approvata una nuova delibera in cui si annuncia un contratto con la Microsoft, 5,2 milioni su tre anni per andare sul Cloud (il software O365). Delibera votata dopo aver chiesto a una società “indipendente”, la Alpin di Bolzano, di dire la sua tra LibreOffice, Google a sempre Microsoft. La Alpin, che nel suo sito fa promozione di prodotti Microsoft e chiede a chi cerca lavoro di saper usare i suoi programmi operativi, in sei giorni e con un compenso di 12 mila euro, conclude che ormai è un’esigenza andare sul cloud, quindi meglio restare con la Microsoft. Ma lo stesso responsabile IT, Kurt Pöhl, nella delibera di aprile ammette: “La banda non è pronta a sopportare una tale migrazione verso il cloud”. Intanto da maggio 2016 la Provincia versa 150 mila euro al mese nelle casse della Microsoft per un programma non ancora installato.
Nella Regione Emilia Romagna la Microsoft ha dovuto essere più generosa: a ogni utilizzatore in regione sono state date quattro licenze in più, da usare privatamente, più cinque licenze per smartphone e 5 per tablet. E un nuovo contratto è stato firmato. “La nostra priorità non è fare la guerra a Microsoft”, risponde l’onorevole Paolo Coppola (Pd), presidente di una Commissione parlamentare d’inchiesta che dovrebbe dirci come vengono usati i 5,2 miliardi che ogni anno la pubblica amministrazione spende sul digitale. “Noi dobbiamo insegnare agli italiani ad usare un computer. Se i big ci possono aiutare, ben vengano”.
Ma quanto si spende per le licenze ? Nessuno lo sa. Né in Italia, né in Germania, in Francia, in Portogallo. La pressione sui dipendenti Microsoft è altissima, ogni tre mesi ricevono una graduatoria sulle loro prestazioni. “Se per due anni non vai bene, ti propongono un pacchetto di soldi, ma ti mandano a casa”, ha raccontato un impiegato italiano. “Le licenze vengono fatturate dall’Irlanda, da noi tutto si concentra sulle vendite, sulla lobby”.
“Microsoft sa benissimo quante licenze vengono taroccate e da chi, lo sa da subito, ma non si muove, fin quando non sente aria di bruciato”, spiega un funzionario pubblico. Poi si negozia, diciamo, e di solito arriva il super sconto: “Azzerano le licenze non pagate, installano un nuovo software che ci permette di andare sul cloud e sul totale tolgono ancora il 30-40 per cento. Difficile rinunciare”.
Le strane gare della Consip – La potenza politica della Microsoft è evidente. Nel Regno Unito i suoi finanziamenti ai partiti politici sono pubblici, ma un ex-consulente IT dell’ex premier Cameron, Rohan Silva, ha rivelato le minacce della società americana al governo conservatore: niente fondi in caso di passaggio all’open source. In Portogallo, il giovane manager Microsoft Mauro Xavier è stato scelto dal capo del partito conservatore Pedro Coelho come capo della sua campagna elettorale nel 2011, per poi tornare in azienda dove oggi è a capo dell’Europa orientale. E continua a consigliare i governi portoghesi sulle migliori scelte in materia digitale. In Francia Investigate Europe ha trovato almeno cinque impiegati al ministero degli Interni e della Difesa, membri dello staff del ministero, con regolare indirizzo mail e telefono fisso, ma pagati da Microsoft e con un profilo da consulenti o venditori dentro l’azienda americana. Roberta Cocco è assessore al comune di Milano per la trasformazione digitale: in Microsoft dal 1991, ex direttore del Marketing in Italia e ha quasi quattro milioni di dollari in azioni Microsoft, per ora congelate.
In Italia, come in molti altri Paesi, i prodotti Microsoft vengono venduti attraverso delle gare pubbliche della Consip (società del ministero del Tesoro, azionista unico). Ogni due anni in media la Consip apre un bando chiamato “Enterprise agreement per prodotti Microsoft”, la concorrenza è già tagliata fuori. Chi li vince? A ruota la Telecom o Fijutsu che rivendono dunque software, hardware e servizi della società americana. Una volta firmata questa Convenzione, le Pa non hanno più bisogno di andare a gara, firmano contratti sulla base dell’accordo Consip: 5 milioni qui, 10 là, i soldi vanno tutti in Irlanda da dove la Microsoft fa partire le fatture per le licenze. Abbiamo chiesto a vari avvocati in diversi paesi europei se lanciare bandi per una sola società, fosse in linea con le norme europee sugli appalti pubblici. “Non aprire ad altri fornitori è una chiara violazione della direttiva Ue sugli appalti”, risponde Matthieu Paapst, un avvocato olandese tra i massimi esperti in materia. “Il problema è che la Commissione europea è la prima a non rispettare le regole, firmando contratti con la Microsoft senza un bando pubblico”.
“Cominciare una causa costa tempo e denaro”, spiega Marco Ciurcina, un avvocato torinese che nel 2006 vince una causa contro il ministero del Lavoro che voleva acquistare 4,5 milioni di licenze Microsoft. L’associazione Assoli riuscì a far bloccare l’acquisto per non rispetto della concorrenza. L’avvocato Ciurcina oggi però pensa ad altre soluzioni: “Non si può cambiare il sistema per vie legali. Deve cambiare la consapevolezza politica”. Microsoft non ha mai voluto rispondere alle nostre richieste d’interviste, nè dalla sede europea, né da molte sedi nazionali, tra cui l’Italia.