“La mafia legale – io conosco bene quella universitaria – è ovunque. Sono nato nel Regno Unito e metà della famiglia è di là. Ho studiato (bene e tanto) sia in Italia che a Londra e quel mondo mi manca tanto. Ma piuttosto che fare ‘l’italiano in Inghilterra’ ho preferito fare ‘l’inglese in Italia’… In questo modo riesco, con molta più facilità, a distinguermi… mi basta fermarmi alle strisce pedonali…”. Parola di Philip Jezzi Laroma, il professore universitario che, con la sua denuncia, ha fatto partire le indagini che ieri hanno portato al terremoto nel ramo del diritto tributario in Italia. Parole che Laroma ha scritto un anno fa, al Fatto Quotidiano, da lettore e abbonato, per denunciare pubblicamente, con una lettera, quel che andava denunciando alla Procura di Firenze e alla Guardia di Finanza.
“Mi basta fermarmi alle strisce pedonali”, è sufficiente fare il mio dovere, ovvero denunciare, perché – come ama dire ad amici e conoscenti – “non c’è bisogno di eroi, è sufficiente la banalità del bene”. “Piuttosto che fare ‘l’italiano in Inghilterra’ ho preferito fare ‘l’inglese in Italia’”, scriveva al Fatto Laroma, citando, senza che nessuno potesse immaginarlo, la conversazione registrata con Pasquale Russo, professore ordinario di Diritto tributario nella facoltà di Giurisprudenza a Firenze. Russo – scrive il gip Angelo Antonio Pezzuti – gli aveva “chiesto di ritirare la sua candidatura per favorire l’abilitazione di altri candidati, promettendogli che si sarebbe poi speso perché venisse abilitato alla tornata successiva”. “È stata fatta la lista e tu non ci sei”, gli dice Russo il 21 marzo 2013, mentre Laroma lo sta registrando. “Ciascuno ha chiesto – continua – tutti hanno dato agli altri, quindi c’è stato un do ut des… non è che non sei idoneo alla seconda fascia… non rientri nel patto del mutuando… io ti chiedo Luigi e tu mi dai Antonio, tu mi dai Nicola, tu mi dai Saverio…”.
Laroma non ci sta: “Come si fa ad accettare una cosa simile?”. “Il professor Russo – scrive il gip – taglia corto e risponde: ‘Tu non puoi non accettare… Fai ricorso? (…) Però ti giochi la carriera così...”. “Smetti di fare l’inglese”, aggiunge Russo, “e fai l’italiano”. Ma piuttosto che “fare ‘l’italiano in Inghilterra’”, come scriveva al Fatto, Laroma “fa l’inglese in Italia”: “Se loro gestiscono la cosa pubblica in questa maniera – risponde Laroma a Russo – penso sia una cosa che interessi l’Autorità giudiziaria”. E quella registrazione finisce in Procura e avvia l’inchiesta. Il 16 dicembre 2013, Laroma verifica di non essere stato abilitato né alla prima né alla seconda fascia. Il 14 febbraio 2014 registra un altro colloquio, oltre che con il professor Russo, anche con Guglielmo Fransoni. E Russo dice: “La logica universitaria è questa… è un mondo di merda… è un do ut des”. Ma non è finita. Il 21 settembre 2016 Laroma, dinanzi al luogotenente della Gdf Daniele Cappelli, chiama in “viva voce” un ricercatore di Siena, offrendo in diretta alla polizia giudiziaria nuovi spunti investigativi.
C’è da dire che, nei colloqui registrati, Laroma aveva avvertito che in passato aveva fatto arrestare qualcuno. Come aveva scritto al Fatto: “A fronte della richiesta del direttore dell’Agenzia delle Entrate di Firenze (Nunzio Garagozzo, ndr), di soldi per avere una corsia preferenziale, in sequenza ho detto ‘no’, ho fatto un esposto in Procura, collaborando con la Gdf, dove ho incontrato persone eccezionali, a raccogliere prove schiaccianti sul ‘sistema’ gestito dal dirigente che è stato arrestato insieme ai suoi accoliti…”. È fatto così, il professor Laroma: si ferma alle strisce pedonali. E fa l’inglese in Italia.