L’arrivo a Roma del quarto assessore al Bilancio in un anno, senza contare i valzer all’Ambiente, all’Urbanistica, all’Ama (rifiuti) e all’Atac (trasporti) è l’ennesima prova del dilettantismo, del pressappochismo, dell’improvvisazione e dell’inesperienza con cui non solo Virginia Raggi, ma tutto il M5S hanno affrontato un’impresa già di per sé disperata: governare Roma. E questo lo sappiamo, ma repetita iuvant, visto che i 5Stelle si candidano nientepopodimenoché a governare l’Italia. Ciò che pochi notano, in un panorama informativo a senso unico, è che ai fallimenti grillini nella Capitale s’aggiungono quelli della “società civile” che avevano coinvolto nell’avventura romana. Fra i tanti errori, la Raggi ne aveva evitato almeno uno: quello di chiudersi nel recinto grillino con un monocolore pentastellato. A parte un paio di nomi, aveva pescato il grosso degli assessori, collaboratori e manager all’esterno, tra figure indipendenti “di area”, alcune brave e titolate. Ed è proprio da queste – tranne il vicesindaco e assessore alla Cultura Luca Bergamo e pochi altri – che ha subìto le più cocenti delusioni.
Paola Muraro, fra i massimi esperti di compostaggio-rifiuti, ha pagato suo malgrado un’inchiesta della Procura poi finita quasi nel nulla (a parte un’infrazione al Testo Ambientale oblabile con pochi euro) e un massacro mediatico mai visto per così poco, che infatti s’è interrotto il giorno delle dimissioni. L’urbanista Paolo Berdini, icona della sinistra ambientalista, aveva collaborato col M5S negli anni dell’opposizione in Campidoglio e aveva finalmente l’occasione di fare ottime cose: purtroppo l’ha persa, con pochi fatti e troppe parole, dalle continue giravolte sullo stadio della Roma e persino sulle Olimpiadi all’intervista-harakiri sugli amori (peraltro inventati) della sindaca. All’Atac, dopo vari sommovimenti, era giunto per concorso un fuoriclasse come Bruno Rota, risanatore dell’Atm milanese: la Raggi gli aveva dato carta bianca sul concordato preventivo, ma un po’ la paura di finire nei guai con la giustizia per qualche firma di troppo in quel verminaio, un po’ le resistenze dell’assessore Mazzillo, l’hanno indotto a fuggire dopo pochi mesi. Il primo assessore al Bilancio era Marcello Minenna, tecnico Consob di indiscusso prestigio, che però se ne andò in due mesi perché la sindaca aveva seguito il parere Anac sull’illegittimità del contratto d’ingaggio della giudice Carla Raineri come capo-gabinetto. Minenna fu sostituito con Raffaele De Dominicis, ex Pg della Corte dei Conti, che però era indagato e non aveva avvertito la sindaca.
Fu così che la Raggi optò per un grillino doc, Andrea Mazzillo. Che ha lavorato benino, ha superato i rilievi dei revisori su un bilancio che tutti giuravano impossibile far quadrare. Poi, ai primi caldi, ha sbroccato: interviste a raffica per attaccare la sindaca, Grillo e Casaleggio sui “manager dal Nord Italia” (manco portassero la peste), lanciare bizzarri “allarmi sui conti” (e a chi, se l’assessore era lui?), sparare sul concordato preventivo di Atac e addirittura sposare il referendum radicale per privatizzare la municipalizzata. Una bestemmia per un Movimento nato nel 2009 proprio per difendere i servizi pubblici (una delle cinque Stelle era proprio il trasporto comunale) e in prima linea per il referendum 2011 sui beni comuni. Se voleva farsi cacciare, Mazzillo non poteva scegliere parole migliori, infatti era noto a tutti che dopo le ferie sarebbe stato sostituito con uno che condividesse il programma M5S. Cosa che, mentre Mazzillo bloccava alcuni pagamenti ad Atac mettendo a rischio gli stipendi, è avvenuta l’altroieri con l’ingaggio di Gianni Lemmetti, l’assessore uscente della giunta Nogarin che in tre anni ha risanato i conti di Livorno e gestito il concordato preventivo della municipalizzata dei rifiuti Aamps. Quest’operazione gli ha procurato, in tandem col sindaco, un avviso di garanzia per concorso in bancarotta fraudolenta, abuso d’ufficio e falso in bilancio tuttora pendente dopo due anni e probabilmente destinato all’archiviazione: non solo l’Aamps non ha fatto bancarotta, ma non è neppure fallita. Se la Raggi e i vertici M5S pensano che Lemmetti replicherà a Roma il piccolo miracolo livornese, possono pure assumersi il rischio di arruolare un indagato. Ma devono spiegare perché ciò che valeva per Muraro e De Dominicis non vale per Lemmetti. Ne va della trasparenza: spetta ai partiti valutare il merito di un “avviso” e deciderne le conseguenze politiche; ma se poi, anziché l’archiviazione, arrivasse il rinvio a giudizio, bisognerebbe cercare il quinto assessore. E supererebbe il ridicolo.
Intanto Mazzillo, come tutti gli ex della giunta Raggi, è stato prontamente adottato dai giornaloni, Repubblica in testa, come mascotte. Era già accaduto a Raineri, Minenna, Muraro e Rota: quando la Raggi li nominava, erano dei deficienti o dei delinquenti; quando se ne andavano o venivano cacciati, diventavano dei geni e dei gigli di campo da usare contro la putribonda sindaca. Quando Rota arrivò a Roma, i giornaloni gli diedero il benvenuto spacciandolo per un arraffa-poltrone imposto da Casaleggio (mai conosciuto) e superpagato dalla Raggi. Poi, quando se ne andò, ne magnificarono il sacrosanto concordato Atac ostacolato dal pessimo Mazzillo. Ora che l’ex incompetente Mazzillo si fa cacciare, diventa il competentissimo martire che vuole salvare l’Atac dall’assurdo concordato dell’ex incompetente ed ex genio Rota. Ora, la Raggi ha commesso un’infinità di errori. Ma è improbabile che sbagli sia quando sostiene il concordato, sia quando caccia Mazzillo perché si oppone al concordato. A meno che il vero errore della Raggi non sia quello di esistere.