Tanto rumore per nulla. L’operazione del canone Rai in bolletta rischia di produrre lo stesso gettito della vecchia “imposta di scopo”, con una bella differenza rispetto al passato: senza il “tesoretto” delle nuove entrate, si aprirebbe un buco in grado di assestare un colpo mortale a tv e radio locali, oltre che sottrarre risorse per ridurre le tasse e per esentare dall’imposta gli anziani in condizioni economiche precarie.
Renzi ha annunciato la novità nell’estate del 2015, poi inserita nella legge di Stabilità in ottobre: “È l’applicazione di un principio liberale”, spiegò il premier. Il canone è così divenuto una tassa modellata anno per anno dalla manovra di bilancio da cui attingere per ogni evenienza. Per indorare la pillola, è stato tagliato da 113,50 a 100 euro l’anno, con l’obiettivo di “scendere a 95 euro dal 2017”. La norma è diventata operativa, con grande ritardo, a maggio. A luglio è approdata in bolletta: 70 euro per i mesi arretrati (le prossime rate saranno da 10 euro).
L’obiettivo vero è fare cassa, passando da un’evasione molto alta a una minima, dal 27% (stimato) degli anni scorsi a circa il 4% registrato dalle compagnie elettriche sulle bollette. Il governo aveva fatto così circolare una stima dell’extra-gettito intorno ai 300-400 milioni di euro grazie a una proiezione dell’imposta sull’intero bacino degli utenti delle società dell’energia: 21,2 milioni di persone (contro i 15,5 del vecchio canone). La Rai ha fatto lo stesso: nel 2015 ha incassato 1,716 miliardi dal canone, che salgono a 1,941 miliardi quest’anno stando al piano industriale 2016-2018 presentato dall’ad Antonio Campo Dall’Orto ad aprile: “Il budget 2016 prospetta maggiori introiti per 174 milioni grazie all’extra-gettito”, recita il documento. Gli addetti hanno storto il naso. La Slc Cgil è andata oltre: con una dettagliata analisi – che il Fatto ha visionato – ha studiato i numeri. Il risultato è preoccupante per il governo: secondo le proiezioni, difficilmente arriveranno soldi in più.
Il primo dubbio è sull’effettivo livello dell’evasione. Non è chiaro, infatti, chi davvero ha diritto a non pagare. C’è stata poca informazione, il decreto attuativo è arrivato solo il 13 maggio e chi non aveva l’apparecchio doveva comunicarlo all’Agenzia delle Entrate entro il 31. Il rischio di contenziosi è alto. Chi riceve l’addebito in bolletta per errore, poi, può pagare in maniera disgiunta stralciando l’imposta. Chi non paga rischia multe salate (e addirittura il carcere), ma toccherà all’Agenzia verificare (inizialmente con avvisi bonari). La confusione, però, regna.
Per il quotidiano Italia Oggi, dai dati di luglio di molte compagnie emergerebbe un’evasione al 50% a luglio, con punte del 60% al Sud. Il ministero dell’Economia ha replicato nei giorni scorsi fornendo i dati provvisori dell’Enel – il maggior operatore del settore – che parlano di “un’evasione al 10% a luglio, comprensivo della morosità fisiologica e dell’eventuale non pagamento del canone per errori di fatturazione”. Le banche dati, infatti, non comunicano fra loro. Il guaio è che con questi numeri in cassa non entra un euro in più. Dai calcoli fatti dal Sindacato dei lavoratori della comunicazione della Cgil, con un’evasione a zero l’extra-gettito sarebbe di 220 milioni, che si riducono a 100 con un’evasione al 4%. Con quella provvisoria fornita dall’Enel (cioè 2,1 milioni di evasori) l’importo finale supera di poco gli 1,6 miliardi e non c’è extra-gettito. Dal numero complessivo dei paganti stimato, vanno infatti tolti gli 820mila utenti che hanno chiesto l’esenzione all’Agenzia e i 300 mila ultrasettantacinquenni con reddito fino a 6.850 euro annui che lo sono per legge. I 13,50 euro in meno sull’importo del canone valgono poi 283 milioni di minori incassi. Poi ci sono i balzelli. Sul gettito, la Rai paga l’Iva, la tassa sulla concessione governativa (il 4,10%) e il prelievo del 5% imposto da Renzi con la manovra del 2014 (82 milioni solo nel 2015) che si applicherà anche all’extra-gettito.
L’azienda ha chiuso il bilancio 2015 in perdita, con un’esposizione finanziaria netta in “rosso” per 400 milioni (rimarrà tale fino al 2018). “Se le previsioni del governo non venissero confermate, l’operazione si ridurrebbe a un atto contabile con un danno per lo Stato e per radio e tv locali, che non avrebbero altra forma di finanziamento pubblico”, spiega Alessio De Luca della Slc Cgil. La legge di Stabilità, infatti, già impegna una grossa fetta dell’extra-gettito: il 33% nel 2016 (che sale al 50% dal 2017) è destinato al nuovo “fondo per il pluralismo dell’informazione” che sovvenziona le emittenti locali; a esentare dal canone gli ultrasettantacinquenni con reddito fino a 8 mila euro e ad alimentare il “fondo per la riduzione della pressione fiscale”. Quello che in passato il governo ha saccheggiato per fare tutt’altro.