La foto di gruppo Matteo Renzi alla fine della Conferenza programmatica a Pietrarsa la fa sul treno, davanti ai giornalisti, e non sul palco a conclusione del comizio, come in tutte le ultime conclusioni pubbliche. La squadra, che nell’intervento di sabato Paolo Gentiloni gli ha raccomandato, è un concetto relativo: basta che sia chiaro chi decide.
Il segretario del Pd parla in chiusura: “Sono più importanti i voti dei veti. Non possiamo permetterci di chiudere l’alleanza senza avere il centro e non possiamo mettere veti a sinistra”.
Il premier gli aveva chiesto un allargamento, come da mesi fanno Orlando e Franceschini, lui a parole lo segue. Ma la vera apertura è verso il centro. Dà dell’ “ultras” a Pietro Grasso, appena uscito dal Pd. E anche sui contenuti: “Dobbiamo avere due parole chiave: abbassare le tasse sul lavoro. E poi ridurre le tasse alla famiglie”. A rivendicare le politiche del governo – quelle che Mdp gli rimprovera – era stato Matteo Orfini: “Io faccio fatica a immaginare un’alleanza con chi mi dice di chiedere scusa per i 900mila posti di lavoro creati grazie al Jobs Act”. L’apertura, dunque, è più di forma, che di sostanza. Renzi al massimo spera di “svuotare” Mdp (e infatti “saluta” l’arrivo di Dario Stefano e ancora aspetta Pisapia) e si rivolge al centro. Con quel mondo lì, da Alfano a Casini, dai cattolici di Sant’Egidio, passando per il gruppetto di Della Vedova e dei Radicali, c’è tutto un lavorio in corso. In questi giorni, il treno si è trasformato in una specie di ufficio trattative per i posti sicuri. Da vedere se poi il centro sceglierà l’ex premier.
Ieri, intanto, i flash sono tutti per Maria Elena Boschi: giro da diva, tacchi altissimi con borchie dorate (che poi si cambia). E l’ influenza che l’avrebbe tenuta lontana dal Cdm di Visco?
Poi, via sul treno. Renzi si porta dietro lei, più 6 ministri (Fedeli, Minniti, Franceschini, De Vincenti, Pinotti e Madia), oltre a una serie di parlamentari (Bonifazi, Richetti, Giachetti). La photo opportunity stavolta suggerisce che il governo è sul treno.
Fondamentale un’assenza nel comizio di Renzi: neanche una parola sullo ius soli, dopo che Minniti e Gentiloni avevano espresso il loro impegno. In treno Renzi a domanda risponde: “Me l’ero appuntato, poi..”. Poi, non ne ha parlato. Distrazioni selettive. Chiarisce: “Se ci sarà la fiducia il Pd la voterà convintamente. La decisione se metterla o no è nelle mani del presidente del Consiglio”. Come dire, la scelta (e la responsabilità) con i centristi che fanno le barricate e il rischio che si sciolgano le Camere su un voto di sfiducia è tutta del premier. Non risparmia neanche Franceschini: “Tu sarai contento, tu che sei sempre stato un fautore della vocazione maggioritaria”, dice, prendendolo in giro. Poi lo invita a tornare sul treno, a Ferrara: “Tu sai i collegi a memoria”. Una maniera indiretta per fargli sapere che sia lui che i suoi uomini se vogliono essere eletti i voti dovranno andare a prenderseli nei collegi, non sperare in un posto nei listini sicuri. Il ministro della Cultura, quando esce, non sorride più.
Renzi, invece, si diverte. Tanto che si improvvisa pure capotreno. In un messaggio diffuso dall’altoparlante avverte: “Gentili clienti, vi ringrazio per aver scelto il treno del Pd, vi informiamo che il treno è in arrivo a Roma, con 25 minuti di anticipo e questo conferma che il Pd è sempre avanti. Vi ringrazio per averci scelto, vi sarò ancora più grato se lo farete a marzo del 2018”. Incidentalmente, detta pure la sua data del voto. A proposito di chi comanda. Almeno fino a prova contraria. Per cominciare, il voto in Sicilia. Oggi comunque vola da Obama, a Chicago, con Giuliano da Empoli, e sparisce per tutta la settimana.